Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Berlusconi ha rinunciato a quelle tre righe della manovra che gli avrebbero evitato di pagare 750 milioni, o magari 490, a Carlo De Benedetti. È una storia complicata, che comincia col cosiddetto lodo Mondadori, e che converrà raccontare da principio.
Ecco bravo. Cominciamo a spiegare, o a rispiegare, che cos’è il lodo Mondadori.
Nel 1991 Berlusconi e De Benedetti si contendevano
la Mondadori. Il pacchetto decisivo, quello di controllo, era però nelle mani
di un signore che si chiamava (e si chiama) Luca Formenton (oggi fa l’editore
de “Il Saggiatore”). Sia Berlusconi che De Benedetti sottoscrissero un accordo
con Formenton per entrare in possesso di quel pacchetto decisivo. Quale dei due
accordi era però valido? Si finì in tribunale e il giudice sentenziò che era
valido l’accordo di Berlusconi. La Mondadori passò definitivamente al
Cavaliere. De Benedetti non si diede per vinto e un altro processo appurò con
sentenza definitiva che il giudice in questione s’era fatto corrompere da
Berlusconi con 400 milioni di lire. Era tardi per restituire la Mondadori a De
Benedetti, tuttavia il padrone di “Repubblica” chiese al giudice che gli
venissero rimborsati i danni provocati da quella sentenza truffaldina. Nel 2009
il giudice Raimondo Mesiano (poi messo odiosamente alla berlina da Mattino 5
per i suoi calzini celesti) stabilì che il danno c’era stato e che la Fininvest
(Berlusconi) doveva risarcire alla Cir (De Benedetti) 750 milioni. Questa cifra
è stata poi ridotta da una perizia a 440-490 milioni. La corte d’appello si
pronuncerà definitivamente sabato prossimo.
Bene. E allora che è successo?
Ricorderà che il consiglio dei ministri ha approvato
pochi giorni fa la cosiddetta manovra, quel complesso di norme che deve farci
risparmiare 47 miliardi in tre anni. Bene, l’altra sera alla fine di pagina 105
del decreto legge sono apparse sei righe – che né i giornalisti né i ministri
avevano visto fino a quel momento – in cui si stabilisce che il giudice è obbligato
a sospendere l’esecuzione di una sentenza, emessa al termine di un contenzioso
civile, se l’importo ammonta a più di dieci milioni (primo grado) o a più dio
venti milioni (secondo grado). Guarda caso, con queste sei righe gli avvocati
di Berlusconi, eventualmente sconfitto in appello sul lodo Mondadori, potranno
presentare ricorso e ottenere la sospensione del pagamento. Ieri, nei palazzi
della politica, le urla si sprecavano.
Le urla
dell’opposizione…
Mica solo. A
quanto pare Tremonti non ne sapeva niente: e per non essere costretto a
spiegare le sei righe il ministro ha annullato la conferenza stampa in cui
avrebbe dovuto spiegare gli ultimi dettagli della manovra. I leghisti – a
quanto si sa – erano furibondi. E persino i fedelissimi (Frattini, Gasparri)
cascavano o fingevano di cadere dalle nuvole. Alla fine, dopo un’altra giornata
di passione, Berlusconi si decideva: «La norma di cui tanto si discute sarà
ritirata, anche se, in tempo di crisi economica era giusta e doverosa. Le
opposizioni hanno organizzato una vergognosa montatura».
Beh, sono
curioso di sapere perché questa norma sarebbe giusta e doverosa in tempi di
crisi economica.
Per esempio perché
il pagamento di una somma molto forte potrebbe provocare il fallimento di
un’azienda. E a questo evento irreparabile non ci sarebbe rimedio se poi
l’azienda, sconfitta nei primi due gradi di giudizio, risultasse vincitrice nel
terzo. Quindi la norma ha una sua logica e sarebbe perfino difendibile.
Ma allora non
ha avuto senso ritirarla.
Sì, invece perché
si dà il caso che l’articolo 373 del Codice di procedura civile preveda già
che, benché «il ricorso in Cassazione non sospenda l’esecuzione delle
sentenze», il giudice può tuttavia «su istanza di parte, e qualora
dall’esecuzione possa derivare un grave ed irreparabile danno, disporre con
ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata
congrua cauzione». Quindi la tutela dell’azienda messa in pericolo
dall’esecutività di un pagamento c’è già. La piccola differenza è questa: Berlusconi
la rendeva obbligatoria. Il ritiro delle sei righe non tragga in ingann
Napolitano non avrebbe passato quel punto, dato che non ha le caratteristiche
di urgenza necessarie quando si procede per decrete e, creando una disparità di
trattamento per aziende condannate in base ai medesimi articoli, ha forti
profili di incostituzionalità
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 6 luglio 2011]
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