Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

ROMITI

Cesare Roma 24 giugno 1923. Manager («il manager per antonomasia dell’industria italiana»). Laureato in Economia e Commercio, ha cominciato la sua carriera nel gruppo
Bomprini Parodi Delfino, divenendone vicedirettore generale nel 55. Nel 68 ha
giocato un ruolo chiave nella fusione fra il gruppo Bomprini e la Snia Viscosa,
di cui assunse poi la guida. Nel è 70 all’Alitalia, nel 73 all’Italstat, nel 74 è giunto al gruppo Fiat come direttore finanziario, scalando via via la gerarchia
del gruppo. Amministratore delegato dal 76, ha affrontato gli anni del
terrorismo, la grande ripresa degli anni Ottanta, la crisi del 93, il successo
degli anni Novanta. Nel 98 ha lasciato la carica di presidente del gruppo per
diventare presidente della Rizzoli-Corriere della Sera. Attualmente è presidente della Impregilo e del patto di sindacato della Gemina
• Prima di andare alla Fiat e di diventare un pezzo di storia dell’industria italiana, aveva «già fatto qualcosetta. Per dire, ero già stato amministratore delegato dell’Alitalia. Lo so, l’esperienza a Torino accanto all’Avvocato (venticinque anni: e che anni!) è stata così importante che pare io abbia fatto solo quello. Ma andai alla Fiat che avevo già passato la cinquantina» (da un’intervista di Gian Antonio Stella)
• è figlio di un impiegato statale: «Si chiamava Camillo, era figlio di un artigiano e lavorava alle Poste. Eravamo
tre fratelli, io ero quello di mezzo. Abitavamo dalle parti di Santa Croce in
Gerusalemme e stavamo piuttosto stretti. Non era una famiglia ricca. Anzi,
diciamo pure che, con uno stipendio solo in casa, facevamo una vita dura. Di
stenti. Pollo solo alla domenica? Quando c’era. Dopo la morte di papà, che perdemmo nel 41, quando io avevo 17 anni, mancò pure quello. Mamma non lavorava, vivevamo con la sua pensione di vedova. Eppure
mi ricordo felice. Sì, sono stati gli anni più felici della mia vita»
• «Si rideva con niente. Per andare a scuola mi facevo cinque chilometri a piedi,
ridendo e giocando, senza prendere il tram perché costava. Non ricordo di essermi mai posto neppure il problema, del tram. Si
camminava e basta. In allegria. Si camminava e si pedalava. L’anno prima di morire papà, una mattina, mi fece trovare una bicicletta in regalo. Nera. Non ricordo di
aver più avuto un momento di felicità intenso come quello. Mai. Ci andai perfino in Abruzzo, con quella bici. Panini
con la mortadella e marmellata in tavoletta. Ma ero pieno di progetti. Ero
indeciso fra tre idee. Il primo sogno era quello di fare il segretario comunale
in un paese piccolissimo, il più piccolo possibile. Il secondo di fare il direttore d’orchestra: in realtà non sapevo molto di musica ma mi affascinava questa figura con la bacchetta che
riesce a dirigere tanti uomini. Il terzo era fare il farista. Guardiano del
faro. Vado matto per i fari. Ecco, questi erano i sogni. Non son riuscito a
realizzarne uno»
• «Cominciai come impiegato in un paio di banche. Poi andai a lavorare a
Colleferro, alla Bombrini Parodi Delfino. Lì si compì la mia formazione manageriale, lì fui il promotore della fusione con la Snia Viscosa, lì diventai direttore generale finanziario. Da lì partii per arrivare a fare l’amministratore delegato all’Alitalia. Mi sono sposato giovane. Molto giovane. E squattrinato. Mia moglie
venne a vivere con mia madre e i miei fratelli. Il nostro primo “lusso” fu una Topolino. Di seconda mano. Fatti dieci chilometri cominciò a fumare e si piantò»
• «A Torino finii su consiglio di Cuccia. L’avevo conosciuto al momento della fusione con la Snia Viscosa. Personaggio
affascinante. Unico. Apertissimo. Un azionista antifascista che aveva la moglie
che si chiamava Idea Socialista e una cognata di nome Vittoria Proletaria. Un
uomo intellettualmente interessato a tutto, che trattava coi grandi della
finanza ma era pieno anche di amici di sinistra. Ricordo la curiosità con cui volle conoscere Valentino Parlato, che era amico mio. Valentino venne a
Torino durante quei famosi 35 giorni di sciopero dell’80. Praticamente si era proprio trasferito a Torino. Era convinto non solo che
io avrei sbattuto il grugno su quello sciopero, non solo che la Fiat ne sarebbe
uscita stravolta ma che nella scia di questa vittoria operaia sarebbe arrivato
proprio il comunismo. Lo volli conoscere. Per capire come mai... Ci trovammo a
pranzo con Guido Rossi. Scoprii un uomo intelligentissimo»
• «Quando arrivai le impiegate Fiat non potevano vestire di rosso, non potevano
portare i pantaloni, non potevano mettere le scarpe a punta... Era una enorme
azienda dove tutta la contabilità era ancora fatta a mano. Dove i conti erano stati tenuti per anni e anni, così voleva Valletta, dalle segretarie. Come la leggendaria “Tota” Bava. Quando arrivai trovai una situazione da mettersi le mani nei capelli.
Valletta era morto da sei anni lasciando una liquidità enorme: enorme. Eppure, eravamo in novembre, non c’erano in cassa neanche i soldi per le tredicesime. In sei anni avevano fatto
delle cose... Il fatto è che quella è un’azienda che ha bisogno di un capo. Un capo vero. Ne avrò parlato mille volte con l’Avvocato, che ne era perfettamente cosciente: gli Agnelli sono bravissimi a
regnare. Non a governare. Dissi: qui bisogna pagarle, le tredicesime. Mettiamo
tutte insieme le banche con cui abbiamo a che fare e facciamoci dare i soldi.
Mi ricordo il viaggio a Milano con il responsabile dei rapporti con le banche.
Era affranto, inconsolabile: “Noi, la Fiat, chieder soldi, che vergogna, che vergogna...”. C’era da cambiar tutto, là dentro. E facemmo davvero la rivoluzione. La situazione era pesantissima,
economicamente e politicamente. Rapporti sindacali tesissimi, infiltrazioni
eversive, collegamenti diretti col terrorismo... Tanti anni dopo pare
impossibile ma, a parte gli assassini terribili di Casalegno e Ghiglieno,
spararono a sessanta dipendenti. Dico: sessanta dipendenti vittime di
attentati! Era invivibile. Invivibile»
• Tentarono di rapirlo: «A Roma. Mi andò bene che quella volta avevo cambiato programma. Quella sera mi dissi: qui si
vede se ho i nervi saldi o no. Se dormo ce li ho, sennò no. Dormii. Quelli che mi volevano rapire, poi, parlarono. Ci furono polemiche
forti. Il giudice aveva detto ai poliziotti: “Ci vediamo lunedì”. In pratica lasciò loro un giorno e mezzo per i primi interrogatori. E da lì partì anche la liberazione di Dozier. Me lo chiesero, qualche anno dopo, un incontro.
Mi scrissero dal carcere. Volevano conoscermi. Dissi di no. Sbagliai. Oggi mi
dispiace, di non aver accettato»
• «L’errore più grosso? Mah... Ne ho fatti talmente tanti... Una cosa di cui mi sono pentito,
per esempio, è aver rinunciato per due volte di fare il presidente di Confindustria. “Ma che ci va a fare...” mi diceva l’Avvocato. Invece... Insomma, mi sono convinto che, in quegli anni, avrei potuto
segnare una svolta. Si poteva incidere molto più che oggi» • «La condanna per le tangenti? Quello fu il momento più amaro» • «Ha ottenuto la quota in Gemina come liquidazione per i suoi 23 anni al timone
della Fiat. E con il supporto di Cuccia e dei suoi alleati ha preso il
controllo di Rcs (allora Hdp) e di Impregilo. In Hdp ha “sistemato” il primogenito Maurizio, mentre il business delle costruzioni è stato affidato all’altro figlio Piergiorgio. Il primo, nei suoi anni di gestione, si è cavato poche soddisfazioni e ancor meno ne ha regalate ai suoi azionisti visto
che con la disastrosa diversificazione nella moda ha bruciato oltre 500 milioni
di euro di perdite. Unica consolazione — per lui, meno per i soci — la maxi-liquidazione da 16,7 milioni con cui è uscito di scena. Piergiorgio invece ha pagato le difficoltà delle grandi opere e alla fine, venduta Impregilo a Gavio e Benetton, ha dovuto
passare la mano. L’inizio della fine è stato però a giugno 2004 quando Gemina, a corto di liquidità, è stata costretta a cedere la quota in Rcs. Strappare il Corriere a Cesare Romiti
è stato come tagliare i capelli a Sansone: il suo potere d’interdizione in quello che resta del salotto buono — dopo l’addio a Via Solferino — si è ridotto di molto. Così in pochi mesi le vecchie alleanze — in apparenza granitiche — si sono rivelate più fragili del previsto» (Ettore Livini)
• è tifoso della Roma, ma a Torino ha imparato ad apprezzare i colori bianconeri: «Nella mia città, quando ci tornavo, me lo rinfacciavano, ma io me la cavavo dicendo che la Roma
restava mia moglie e che la Juve era “solo” l’amante» (da un’intervista di Franco Arturi).