Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
SAVI Roberto Forlì 19 maggio 1954. Serial killer. Detto “Il corto”. Di professione poliziotto: quando finiva il turno, prendeva il comando della cosiddetta “Banda della Uno bianca” (dall’automobile usata per le loro imprese) formata dai suoi due fratelli, Fabio (detto “Il lungo” e Alberto, poliziotto anche lui
SAVI Roberto Forlì 19 maggio 1954. Serial killer. Detto “Il corto”. Di professione poliziotto: quando finiva il turno, prendeva il comando della cosiddetta “Banda della Uno bianca” (dall’automobile usata per le loro imprese) formata dai suoi due fratelli, Fabio (detto “Il lungo” e Alberto, poliziotto anche lui. In sette anni, 24 morti ammazzati, 103 feriti, 92 rapine, un bottino di 2 miliardi e 170 milioni • Hanno fatto saltare in aria un palazzo a Bologna, e ferito 40 persone, per portar via 20 milioni, hanno ucciso la proprietaria e il commesso di un’armeria per prendere due calibro 9, hanno ammazzato due senegalesi a San Mauro Mare e altri due in un campo nomadi col solo scopo «di depistare le indagini, far scorrere l’adrenalina dell’odio razziale, provare due fucili appena comprati» (Pino Corrias), hanno ucciso un benzinaio per rubare un milione. Roberto personalmente ha freddato due ragazzini per un diverbio stradale, poi è tornato indietro e ha freddato Paride Pedini che era rimasto a guardare la Uno bianca abbandonata e spalancata. Corrias: «A volte capaci di aprire il fuoco solo sospettando un’intercettazione, come al Pilastro, quartiere di Bologna, notte del 4 gennaio 1991, tre carabinieri fucilati, Otello Stefanini, Mauro Mitilini, Andrea Moneta, tutti e tre ventenni, spazzati via da un volume di fuoco impressionante, proiettili Remington 222 ad alta velocità. Con Roberto Savi, che al processo dirà senza emozione: “Il motivo? Temevamo un controllo. Sì, signore, avevo il fucile mitragliatore al fianco. Sì, signore, siamo scesi. No, negativo signore, non abbiamo più sparato, erano tutti morti”» • Freddissimo. Al processo, alla domanda se ci fossero complici o burattinai dietro la loro attività, ha risposto: «Negativo signore, dietro la Uno bianca non c’è proprio niente. Dietro la Uno bianca c’è solo la targa» • Alla questura di Bologna lo chiamavano “il monaco”, «ma a bassa voce, per non dover assistere a una esplosione d’ira. Carattere taciturno e spigoloso, era un vero travet dell’ordine pubblico. Una piccola carriera tutta fatta in silenzio, la sua, 18 anni di servizio in polizia. Comincia nel 76 come semplice agente. Quando lo arrestano, nel novembre 94, è assistente capo in servizio nella sala operativa, quella che riceve le segnalazioni d’allarme, che smista le auto della polizia: un punto caldo, un osservatorio privilegiato da cui è possibile controllare tutta la città. Poliziotto efficiente, tra il novembre del 91 e il giugno del 92, in quanto capo pattuglia, lo chiamano a tenere un corso per allievi delle Questure d’Italia. Nel suo stato di servizio solo due note negative: un colpo di pistola in pancia a un “topo d’auto” e quel tossicodipendente a cui aveva deciso di tagliare i capelli, così, per sfregio» (Sandro Provvisionato) • Luciano Baglioni e Pietro Costanza, i due poliziotti che col sostituto procuratore Daniele Paci, arrestarono i tre Savi, identificarono prima Fabio, Il lungo (vedi), poi trovarono la foto di suo fratello poliziotto, cioè Roberto “il corto”. In questura subito un collega disse: «“Ma no. Questo lo conosco, è Roberto Savi, un collega, sta su, alla sala del 113. Te lo chiamo?”. Gelo. Baglioni è il più svelto, chiude il fascicolo, ringrazia, dice: “Ci siamo sbagliati”. Escono a respirare. Raccontano: “Fu un momento terribile, a quel punto non sapevamo più di chi fidarci”» (Corrias). Si scopre che alle date dei colpi della banda corrispondono sempre assenze di Roberto in questura, o per ferie o per malattia. Studiano le banche assaltate, identificano le prossime possibili, vedono Roberto Savi che sta facendo un sopralluogo a Marina di Ravenna. Anche se hanno solo indizi, decidono di fermarlo. Lui non batte ciglio. Dice solo: «Potevo farvi saltare in aria» • A Forte Boccea, dove è rinchiuso, ha tentato un’evasione e un suicidio. Nel 2006, saputo che il capo dello Stato aveva concesso la grazia a Ovidio Bompressi, l’ha chiesta anche per sé. Gli è stata negata • Madre Renata Carabini, su una sedia a rotelle per via di un ictus. Il padre Giuliano era famoso per l’amore delle armi e l’odio per zingari, negri ed ebrei. Si è suicidato ingoiando sette scatole di Tavor il 29 marzo 1998 dentro una Uno bianca parcheggiata a Villa Verrucchio, 13 chilometri da Rimini.