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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

FAZIO Antonio Alvito (Frosinone) 11 ottobre 1936. Economista. Settimo governatore della Banca d’Italia, a partire dal 1993 (succede a Ciampi)

FAZIO Antonio Alvito (Frosinone) 11 ottobre 1936. Economista. Settimo governatore della Banca d’Italia, a partire dal 1993 (succede a Ciampi). Ha lasciato l’incarico nel dicembre 2005 • Protagonista di uno dei più gravi casi economico-finanziari del dopoguerra, quello di un governatore della Banca d’Italia che, sia pure applicando la legge, non vede quello che non gli interessa vedere, orienta gli scalatori delle banche, intrattiene rapporti segreti con finanzieri, accetta regali per molte migliaia di euro, non si rassegna ad andarsene nonostante le esplicite dichiarazioni di sfiducia rilasciate dal presidente del Consiglio, da numerosi esponenti del governo, della maggioranza e dell’opposizione, da accreditati ambienti internazionali • Per capire il caso Fazio si deve sapere che: • 1 - Fino alla legge approvata nel dicembre 2005, la carica di governatore della Banca d’Italia era a vita; • 2 - Qualunque operazione di mercato relativa alle banche (acquisizioni, fusioni, Opa, Ops) aveva bisogno, prima di essere perfezionata, dell’approvazione vincolante della Banca d’Italia; • 3 - Acquisizioni, fusioni, Opa e Ops non furono frequenti nel primo mezzo secolo di vita della Repubblica italiana. Ma, man mano che i mercati si aprivano (globalizzazione), è risultato sempre più probabile che le banche estere volessero comprare banche italiane e sempre più necessario che le banche italiane — di dimensioni risibili in campo mondiale — si fondessero tra loro, per diventar più grandi e poter così far fronte alla concorrenza internazionale; • 4 - L’ingresso dell’Italia nell’euro (1° gennaio 2002) tolse al governatore della Banca d’Italia il governo della moneta, trasferendolo a Francoforte (Bce, Banca centrale europea); • 5 - In Italia, il sistema delle imprese e quello delle banche ha sempre avuto un punto di riferimento centrale, che è stato finanziario, ma in un certo senso anche morale. Fino alla morte di Enrico Cuccia (24 novembre 1907—23 giugno 2000) questo centro era costituito da Mediobanca; • 6 - La morte di Cuccia aprì la guerra per un nuovo centro. Potevano aspirarvi: la stessa Mediobanca, con gli amministratori subentrati a Cuccia; Capitalia (già Banca di Roma), che aveva fortissimi rapporti con la politica romana; la Banca d’Italia; un qualunque soggetto finanziario diverso da questi ma capace, necessariamente ingrandendosi, di determinare la vita altrui (tra questi, soprattutto Banca Intesa e Unicredit). Si tenga conto che, dal dopoguerra in poi, in Italia di fatto la politica è stata in mano ai cattolici, la finanza ai laici; • 7 - Fazio è un cattolico, forse dell’Opus Dei, certamente in stretti rapporti con l’entourage di Giovanni Paolo II e in particolare con i cardinali Camillo Ruini (presidente della Cei, cioè capo dei vescovi) e Gian Battista Re (il più ascoltato consigliere del Papa). Governatore «latinista, tomista, umanista» (Aldo Cazzullo), «superbo cultore di San Tommaso, sostenitore dei Legionari di Cristo» (Alberto Statera). Ha scritto una prefazione a un libro dell’attuale cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi, noto conservatore (soprattutto su famiglia e genetica). Porta la penna fuori dal taschino della giacca, là dove i laici eleganti (quelli che indossano solo i calzini lunghi) mettono casomai il fazzolettino. L’ex ministro Siniscalco, che è bravo nelle imitazioni, quando rifaceva Fazio cominciava da quel particolare e bastava questo a far sganasciare tutti. Fazio è sposato con Maria Cristina Rosati, figlia di un falegname di Alvito, anche lei devotissima (dà tutto quello che può in beneficenza). Hanno quattro figlie e una di queste, Maria Chiara (nata nel 1982), ha fatto voto di castità, povertà e obbedienza, primo passo per farsi monaca. Il figlio maschio, Giovanni, che lavora a Londra in una banca d’affari, sembra avere un temperamento meno pio, ama le auto veloci e ha corso una Mille Miglia d’epoca con Chicco Gnutti. • 8 - I princìpi a cui si attiene Fazio nel governo delle banche sono due: nessuna istituzione straniera possiederà mai più del 15 per cento di una banca italiana; nessuna Opa su una banca sarà mai ammessa dalla Banca se ostile, se cioè lanciata contro il parere del management della preda. Queste due regole significavano: a) che il mercato italiano era chiuso; b) che le banche potevano crescere solo attraverso accordi e mediazioni e, poiché aveva in mano le regole, l’arbitro di questi accordi non poteva che essere il governatore. è questo il fondamento della cosiddetta moral suasion: quando qualcuno vuol fare un’operazione che a Fazio non va bene, il governatore lo convoca e lo persuade (suasion) che sarà meglio (moral) lasciar perdere. è intuitivo che il governatore impedirà accordi che rendano qualche banca troppo grande, capace cioè di candidarsi a centro del sistema in alternativa a lui; • 9 - Nel 1999 Fazio impedisce le fusioni Unicredit-Comit e San Paolo-Capitalia, che avrebbero dato luogo a due gruppi abbastanza grandi, capaci di competere sul mercato internazionale e di proporsi come punti di riferimento in quello domestico; • 10 - Fazio non poteva pensare di porsi al centro del sistema senza alleati politici. Il sostegno dei cattolici più sensibili alle indicazioni del Vaticano (presenti in tutti i partiti) era ovvio. Il sostegno della sinistra, invece, da conquistare. Nel 1999 l’amministratore delegato di Telecom, Franco Bernabè, tentò di opporsi all’Opa di Colaninno fondendo Telecom e Tim: la nuova società, dopo la fusione, sarebbe diventata un boccone troppo grosso e Colaninno avrebbe dovuto rinunciare. Per la fusione Telecom-Tim ci sarebbe voluto il sì dei soci e per ottenenerlo bisognava che in assemblea fosse raggiunto il 33,33 per cento del capitale ordinario. Tra questi soci c’era il ministero del Tesoro (azionista numero uno col 3,46 per cento), a cui il presidente del Consiglio, Massimo D’Alema (totalmente schierato con gli scalatori), aveva dato ordine di non intervenire. Un’altra quota importante (2,29 per cento) era in mano ai fondi pensione della Banca d’Italia. Fazio non mandò il suo rappresentante all’assemblea e naturalmente le altre banche che possedevano quote attraverso i loro fondi pensioni si regolarono allo stesso modo. La fusione Telecom-Tim fallì, Colaninno ebbe via libera, il governatore si conquistò la simpatia della sinistra; • 11 - Un altro candidato a diventare centro era Cesare Geronzi, cattolicissimo a sua volta, in rapporti assai cordiali con tutti i partiti politici, da An ai Ds (ha tra l’altro dato una mano alla ristrutturazione del debito del Pci). Tra i clienti di Geronzi, naturalmente grande alleato di Fazio, ci sono la Cirio e la Parmalat. Geronzi accompagna le due aziende al crack facendo in modo non solo che i conti della banca siano preservati, ma che si realizzino quasi fino all’ultimo cospicui guadagni sulle emissioni di bond e relative commissioni. Fazio non dice mai una parola né prima né dopo i crack. Messo sotto accusa dal ministro Tremonti (febbraio 2004), risponde, riferendosi a Parmalat: «Erano quattro soldi» e a Tremonti: «Lei certo che fa il commercialista si intende di più di paradisi fiscali». Geronzi si rivolgerà al suo amico Gianni Letta perché al ministro sia tolta la facoltà di nuocere. Gianfranco Fini imporrà alla fine la sua uscita dal governo, dando l’impressione al mondo intero che Fazio, alla fine dell’estate 2004, sia l’uomo più potente d’Italia (su Parmalat vedi TANZI Calisto, su Cirio CRAGNOTTI Sergio); • 12 - Inseguìto da Valerio Staffelli di Striscia la notizia, che vuole consegnargli un Tapiro d’oro (onoreficenza riservata ai troppo furbi o ai troppo fessi), lascia che la sua scorta picchi il giornalista (secondo alcuni glielo ordina); • 13 - Impedisce altre fusioni o acquisizioni: Monte dei Paschi che vuole prendere Banca Nazionale del Lavoro, soprattutto Capitalia che vuole acquisire Antonveneta (ottobre 2004). Dicendo no a Capitalia, Fazio rovina la sua alleanza con Geronzi, che passa nel novero dei suoi nemici; • 14 - Esiste in Lombardia una piccola banca, che si chiama Banca di Lodi, guidata da un ex giornalista che s’è fatto banchiere e si chiama Gianpiero Fiorani. Costui, attraverso operazioni al limite e anche oltre il limite (finirà in galera), ha fatto diventare l’istituto così importante da avergli cambiato nome: da Banca di Lodi a Banca Popolare Italiana, cioè Bpi (secondo le regole odierne di pronuncia: B-P-Ai). è un uomo — almeno secondo molti di quelli che lo conoscono — dalla parlantina inarrestabile e maestro nell’arte dell’adulazione. La famiglia Fazio ne è conquistata al punto di consentire, ai primi di febbraio del 2002, che il tradizionale convegno del Forex si svolga a Lodi. Il governatore era così preso che non andò in albergo, ma si lasciò ospitare da Fiorani in una sua villetta in via monsignor Beccaria 21: «Tralasciando la leggenda metropolitana secondo cui la moglie del governatore in persona avrebbe indicato il colore delle tende e della tappezzeria della dimora temporanea, è accertato, però, che la Bpl fece arredare di tutto punto la villetta, prendendo a noleggio da una ditta di Firenze i mobili: ingresso, cucina, soggiorno, camere, bagni. Armadi, tavoli e letti montati a tempo di record, quindi smontati e riportati via, pochi giorni dopo» (Marisa Fumagalli - Mario Gerevini). è molto importante quello che accadde durante il Forex: «Il Forex — narrano le cronache — registrò molte autorevoli presenze. In primis, mezzo governo Berlusconi: da Bossi a Castelli, da Tremonti a Lunardi. Poi, il Gotha delle banche: Masera (San Paolo Imi), Geronzi (Banca di Roma), Profumo (Unicredit). Con passeggiata finale per le vie del centro storico del governatore Fazio, accompagnato da un inedito terzetto: Fiorani, Geronzi e l’“outsider” Emilio Gnutti. Che, nell’odierna vicenda giudiziaria, figura, assieme a Giovanni Consorte, come “complice esterno” dell’ex leader della Popolare» (ibidem). La foto di quella passeggiata venne riprodotta dall’Economist uscito a Ferragosto 2005, quello con la copertina bianca, rossa e verde che aveva lo strillo: «Italy’s bank scandal». Il titolo che accompagnava l’immagine era: «Please go, mr. Fazio»; • 15 - Infine, nella primavera del 2005 era diffusa la convinzione che, l’anno dopo, Berlusconi avrebbe perso nettamente le elezioni. Per tutti (compreso Berlusconi) si trattava di riposizionarsi in tempo in vista di quell’evento. Tentativi di accordi bipartisan, che consentissero ai contendenti di presentarsi più forti alle trattative con gli alleati (dopo la vittoria degli uni e la sconfitta dell’altro), erano all’ordine del giorno e in questo quadro va visto l’incontro di aprile tra Berlusconi e De Benedetti, avvenuto dopo sedici anni di ostilità ininterrotta. Certo, scalare il Corriere della Sera senza informare i due protagonisti della nostra vita economica e politica era impensabile. Il contesto rendeva possibile quindi concepire un piano bipartisan: far avere un’importante banca alla sinistra e un’altra importante banca ai cattolici, collocarsi — dirigendo questa operazione — definitivamente al centro del sistema, inalberare la bandiera della difesa dell’italianità del sistema e ignorare quanto si sarebbe fatto intorno al Corriere della Sera. Fazio aveva dalla sua anche la Lega, a cui aveva consentito la sciagurata avventura della Banca Credieuronord, portata poi al disastro e salvata da Fiorani (che la Lega visse sempre con un banchiere suo). Le due banche da distribuire erano la Banca Nazionale del Lavoro (BNL), destinata alla sinistra (era già stata chiesta vanamente dal Monte dei Paschi, ma al di fuori di qualunque intesa politica: adesso il Mps si rifiuterà di essere della partita, rivelando una frattura all’interno dello schieramento diessino). E la banca Antonveneta, per la quale Fazio punta su Fiorani «banchiere padano che con modi zuccherosi da tempo sta cercando di conquistare la sua fiducia. La rottura (di Fazio — ndr) con Geronzi, è il passo falso del governatore. Il “cambio di cavallo” viene alla luce in maniera evidente nell’ottobre 2004, quando Fazio si oppone al matrimonio tra Capitalia e Antonveneta che Geronzi e gli olandesi hanno messo in cantiere proprio a cavallo dell’estate. Abn Amro chiede di salire al 20 per cento del nuovo aggregato, con il chiaro intento di inserire uomini chiave nella gestione della banca. Ma il “niet” di Fazio è netto, coerente con il suo credo: le banche straniere non devono salire oltre il 15 per cento negli istituti di credito italiani, altrimenti gli argini cedono e il risparmio degli italiani diventa terra di conquista dei banchieri stranieri. L’uomo chiamato a respingere gli olandesi è proprio Fiorani che schiera la piccola Banca Popolare di Lodi contro un colosso del credito europeo e mondiale. Ma le dimensioni non contano, ciò che serve, nell’era Fazio, è avere in tasca il via libera di Bankitalia. Fiorani è legato a doppio filo a Emilio Gnutti, azionista di Antonveneta entrato in rotta di collisione con il management di Antonveneta che gli ha chiesto senza mezzi termini di rientrare dai generosi prestiti elargiti nel tempo. Gli olandesi vorrebbero invece rinnovare il patto di sindacato appoggiandosi ai Benetton, titolari di un 5 per cento della banca, e sulla Mediolanum di Ennio Doris, anch’essa piccolo azionista di Antonveneta. La convocazione in Bankitalia è immediata e il governatore con modi suadenti li convince che quel patto non va rinnovato e che è meglio appoggiare Fiorani che ha in mente un grande progetto per creare una banca padana. Siamo a fine 2004, il patto viene disdetto e dopo pochi giorni il piano per la conquista di Antonveneta viene messo a punto proprio negli uffici di Bankitalia. Il governatore riceve Fiorani e Gnutti, parla a entrambi separatamente e da quel colloquio i due finanzieri d’assalto capiscono che la partita è grossa e che possono contare sull’appoggio incondizionato dell’inquilino di via Nazionale» (Giovanni Pons) • Fazio non aveva però tenuto conto di due variabili: l’accordo politico aveva escluso la Margherita, nella cui area di influenza ricadeva la BNL (era della Margherita anche il suo presidente Luigi Abete: in passato BNL era stata la banca del Psi); la magistratura stava indagando su Lodi e ad agosto 2005, quando il governatore aveva già autorizzato Fiorani a lanciare l’Opa e Consorte controllava più del 50 per cento di BNL, le intercettazioni a cui la magistratura di Milano aveva sottoposto i telefoni di Fiorani vennero pubblicate, prima dal Giornale (il quotidiano di Paolo Berlusconi) e poi dagli altri giornali. Scandalo enorme: si sentiva Fiorani dire al governatore, che lo aveva chiamato per comunicargli che la Banca d’Italia aveva appena autorizzato l’Opa su Antonveneta: «Tonino... io sono commosso, con la pelle d’oca, io ti ringrazio, io ti ringrazio... Guarda, ti darei un bacio in questo momento, sulla fronte ma non posso farlo... So quanto hai sofferto, prenderei l’aereo e verrei da te in questo momento se potessi». Da altre telefonate risultava una confidenza impropria tra la moglie del governatore, Maria Cristina Rosati, e il medesimo Fiorani. Si veniva a sapere che Fiorani era di casa in Banca d’Italia, dove veniva fatto entrare da Fazio segretamente. Insomma il governatore, che avrebbe dovuto esser arbitro ed equidistante tra i soggetti che si contendevano Antonveneta, risultava pienamente coinvolto e tifoso di una delle parti • Dalle telefonate risultava anche l’esistenza del cosiddetto “concerto”: erano in corso in quel momento tre scalate, una ad Antonveneta, un’altra alla Banca Nazionale del Lavoro, e una terza al Corriere della Sera (vedi RICUCCI Stefano) e ascoltando si capiva che gli scalatori erano in contatto tra loro e si aiutavano vicendevolmente, scambiandosi informazioni e operando sui mercati secondo un unico disegno. In una telefonata Gnutti, che stava cenando con Berlusconi, rivela senza volerlo che Fazio aveva effettivamente messo in piedi una specie di compromesso storico della finanza. Si rivolge a Ivano Sacchetti, il vice di Giovanni Consorte: «Ho detto a Berlusconi che a loro interessava molto appoggiare Gianpiero perché dall’altra parte stanno facendo quell’altra. Per cui, per una questione di equilibrio, si fa una per una, quindi vado in appoggio anche di là. Berlusconi mi ha risposto che faccio bene...» • Lo scandalo rivelato dalle intercettazioni ebbe vasta eco internazionale, con copertine — come s’è visto — anche dell’Economist. L’assedio a Fazio perché si dimettesse divenne sempre più forte, con qualche esitazione del governo Berlusconi che provocò le dimissioni del ministro Siniscalco e il ritorno all’Economia di Giulio Tremonti, il gran nemico del governatore. Infine, da Bruxelles si annunciò una procedura contro Fazio per i regali accettati da Fiorani (valore fra 30 e 50 mila euro), si venne a sapere che la Procura di Roma gli aveva inviato un avviso di garanzia per insider trading e il governo annunciò che, indipendentemente dalle sue decisioni, avrebbe nominato il suo successore. Fazio preferì dimettersi. Era il 19 dicembre 2005. Il giorno prima, domenica, Fiorani, in carcere dal 13 dicembre, aveva cominciato a vuotare il sacco • «La sua elezione al soglio supremo della finanza in sostituzione di Ciampi, il 4 maggio 93, venne salutata da un coro generale di evviva, mentre ad Alvito il paese intero scendeva in piazza a festeggiare il suo eroe, figlio di contadini e fratello di un piccolo costruttore locale diventato sindaco e ribattezzato Cementone. Politici, sindacalisti, banchieri e analisti internazionali dichiaravano convinti che era stato eletto il migliore e facevano a gara nel ricordare le sue umili origini, la laurea con 110 e lode, l’apprendistato americano col guru Modigliani, il pragmatismo avulso dalle fumisterie degli economisti professorali, la costruzione del modello econometrico della Banca d’Italia e la paternità del piano di risanamento realizzato dal governo di unità nazionale di Giulio Andreotti. I commentatori esaltavano “l’uomo giusto senza ombre”, “lo studioso che ha superato tutte le tappe di una carriera irta di ostacoli”, persino “l’angelo custode dei piccoli risparmiatori”» (Massimo Gramellini) • «Fu scelto nel 93 per il suo profilo di funzionario modesto, corretto, austero, coriaceo e riservato. Nell’arco di una dozzina d’anni ha visto rovesciare questa sua immagine fino a rendersi irriconoscibile. Una metamorfosi che si è tentati di spiegare con le categorie dell’umanità. Era pio, Fazio, e l’hanno ribattezzato “Pio tutto”» (Filippo Ceccarelli) • «Pensare che praticare la politica dello scambio con la Lega, strizzare l’occhio a una parte dei Ds, bere qualche bicchierino di sciacchetrà con Silvio Berlusconi, mettere su un piccolo gruppo parlamentare di fazisti duri e puri potesse essere una strategia vincente si è rivelato un errore imperdonabile, una sciagura. Eppure nella prima parte del governatorato, almeno fino al 97, aveva accumulato meriti. La sua interpretazione della politica monetaria aveva permesso di evitare la ripresa dell’inflazione e di arginare le pressioni del potere politico. Nella dozzina di Considerazioni Finali, curate fino all’ultima virgola, si possono leggere analisi brillanti degne di un economista di rango, e in fondo dobbiamo a lui il contributo più chiaro e tempestivo alla diagnosi del declino italiano» (Dario Di Vico) • «Le citazioni in latino medievale poste con accento ciociaro, l’elemosina molto fotografata al barbone, i sodali di Alvito con cui recitare il rosario e preparare gli arrosticini di pecora, gli occhiali dalla montatura fuori moda, la casetta di pietra accanto a quella della fidanzata e moglie Cristina, le messe riparatorie dell’onta di Porta Pia con il coro che intona: “Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat...”. Antonio Fazio è tutto questo, ma anche molto altro» (Aldo Cazzullo).