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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

FERRARO

Salvatore Locri (Reggio Calabria) 24 gennaio 1967. Uno dei due assistenti di Filosofia
del diritto condannati per l’omicidio della studentessa Marta Russo (colpita da un proiettile il 9 maggio
1997 mentre passeggiava sul viale dell’Università La Sapienza di Roma che fiancheggia la facoltà di Giurisprudenza). Secondo l’accusa, non sarebbe comunque stato lui a sparare. Avesse accusato l’altro condannato, Giovanni Scattone, sarebbe uscito dal carcere: il fatto che
non l’abbia mai fatto è secondo molti la prova della sua innocenza
• «Non c’è l’arma del delitto. Il proiettile, che ha colpito Marta poco sopra l’orecchio, frantumandosi in undici schegge, è un calibro 22 del peso di 2,6 grammi. Ma quale arma l’ha esploso e soprattutto da dove? Alla Sapienza si trovò un armamentario e un poligono di tiro. C’erano P38, silenziatori, pistole giocattolo, munizioni e tracce di polvere da
sparo. Undici giovanotti dell’azienda delle pulizie si divertivano a fare il tiro a segno nei magazzini e nei
sotterranei dell’università. Spararono loro? Spararono dalla toilette riservata agli handicappati dove
furono rintracciati sedimenti di polvere da sparo? Era una traccia che
conduceva al nulla: in quel bagno poteva essere entrato chiunque. Inquirenti e
investigatori cambiarono allora strategia. Partirono dal foro d’entrata del proiettile. Marta camminava nel vialetto della Sapienza, era girata
verso sinistra con il capo leggermente piegato verso il basso. Se la testa era
in quella posizione (ma lo era?), il bagno degli handicappati non c’entrava nulla perché il colpo era venuto dall’alto, alle spalle di Marta. “Quindi” dall’aula 6, dall’aula degli assistenti di Filosofia del Diritto. Sul davanzale di quell’aula, si rintracciano antimonio e bario. Non sono sufficienti
per dire che sono tracce di uno sparo (manca il piombo). Occorrono dunque
testimoni che affermino: in quell’aula hanno sparato; in quell’aula c’erano Tizio, Sempronio e Caio. Io li ho visti sparare. Passano i giorni (dodici)
e i testimoni saltano fuori. Comincia Chiara Lipari che, il 9 maggio, entra
nell’aula 6 alle 11,44 (due minuti dopo lo sparo). Dice: “Quando sono entrata nella sala assistenti per chiamare mia madre, avevo la
finestra di fronte che era illuminata dall’esterno, ma non ho visto nessuno vicino a essa. Ho avuto la sensazione netta che
nella stanza ci fosse una forte tensione nell’aria... Nella stanza c’erano due o tre persone, due certamente di sesso maschile, una probabilmente di
sesso femminile...”. Probabilmente la persona di sesso femminile è Gabriella Alletto, impiegata di segreteria. La interrogano in modo perverso e
la minacciano di arresto. Lei si difende: “Non ero lì”, confida (intercettata) a un ispettore di polizia, suo cognato. Alla fine, dopo
tre giorni, cede: “Sono stati loro. Scattone ha sparato dalla finestra, Ferraro si è messo le mani nei capelli”. Il processo contro Scattone e Ferraro è questo» (Giuseppe D’Avanzo).
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