Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
AULENTI
Gae Palazzolo dello Stella (Udine) 4 dicembre 1927. Architetto. «Ho un solo modo di vestire. Il mio».
VITA Redattore di Casabella-Continuità diretta da Ernesto Nathan Rogers negli anni Sessana e poi assistente presso la
cattedra di Composizione architettonica di Giuseppe Samonà, con il suo tratto inconfondibile ha segnato allestimenti di mostre, musei e
scenografie teatrali • «S’è laureata tardi, a 32 anni, quando già lavorava da un pezzo alla rivista Casabella, tempio dell’italian style. L’anno dopo, nel 1960, diventa l’assistente di Giuseppe Samonà e inizia una carriera eclettica e versatile a raggio cosmopolitico. Designer di
grido della Fiat e dell’Olivetti (sua la lampada pipistrello), diventa scenografa di Luca Ronconi al
laboratorio di Prato, costumista per il Wozzeck di Alban Berg alla Scala, musa di Karlheinz Stockhausen, inventandosi scene e
costumi per la prima del Donnerstag aus licht e alla fine viene promossa “interior decorator” di casa Agnelli. Forte di tanta universale reputazione, nel 1980 vince a Parigi
il concorso per trasformare il Gare d’Orsay in un museo e si sbizzarisce nell’ornato color miele dei padiglioni in forma di tombe egizie e negli intrecci di
rame e peperino, subito assurti a sigla di certificazione del gusto per il
vippaio brianzolo, mentre la signora conquista il restauro di Palazzo Grassi a
Venezia» (Pietrangelo Buttafuoco)
• «Severa, e rigorosa, maschile nei tratti, i capelli tagliati come quelli dell’Auriga di Delfi. La “magicienne des formes”, come la chiamano in Francia, miscelatrice di simmetrie e asimmetrie. La “pendolare del bello”, secondo un’altra etichetta, l’architetto della ragione, è una donna insieme aspra e cordiale, di semplicità francescana se non claustrale. Se le chiedi qual è il suo odore preferito, quello più inebriante, non ha esitazioni: l’odore del cemento. Per lei è un profumo. Il suo punto d’arrivo, quello di tutta una vita, dice, è la semplicità: “Credo sia uno dei traguardi più difficili, perché il problema è complesso. Ma attenzione all’equivoco: non si tratta di semplificazione, di rendere le cose limitate. Bensì l’esatto contrario: la semplicità è carica di tutti i contenuti. E anche dei sentimenti”. Dal particolare al generale, dal cucchiaio alla città era il motto del suo maestro Ernesto Nathan Rogers» (Laura Laurenzi)
• Al Musée D’Orsay ha lavorato dall’80 all’87: «A Parigi ha realizzato opere importanti, ottenendo riconoscimenti di prestigio,
tra cui la Legion d’Onore. Il suo nome però resta soprattutto legato alla trasformazione della Gare d’Orsay, che a metà degli anni Ottanta divenne il museo del secondo Ottocento e degli
impressionisti, un’opera che, seppure coronata da un grande successo di pubblico (nei primi due
anni vi affluirono otto milioni di visitatori), in realtà suscitò furiose polemiche tra gli addetti ai lavori. Il concorso infatti era stato
vinto dagli architetti Bardon, Colboc e Philippon, ai quali in un secondo
momento fu imposto di collaborare con l’architetto milanese, che a Parigi godeva già di solida fama e di importanti amicizie. Con indiscutibile dinamismo, Gae
Aulenti s’impadronì di fatto del lavoro, imprimendo il suo marchio su ogni dettaglio. Ridisegnò tutto lo spazio sotto la grande volta di vetro, inventò l’arredamento, i mobili, le vetrine, i piedistalli, le panchine, le sedie e le
casse dell’ingresso, al punto che ci fu chi l’accusò di essersi soprattutto preoccupata di valorizzare il suo lavoro più che le opere esposte. Perfino il presidente della Repubblica François Mitterrand, che a quanto si dice caldeggiò apertamente la sua partecipazione, se ne rese conto: “Mi sembra che la decorazione abbia preso il sopravvento sul contenuto”, commentò visitando il museo qualche tempo prima dell’inaugurazione. Ancora oggi, quando si parla del Musée d’Orsay, si evoca solo il nome della Aulenti e non quello dei tre colleghi. Fatto
che provoca qualche risentimento nel mondo dell’architettura d’oltralpe. Oltretutto diversi critici le rimproverarono, oltre l’eccessivo protagonismo, un certo manierismo monumentale, nonché un eclettismo postmoderno troppo disinvolto. Specie al piano terra del museo,
dove, come scrisse il critico d’arte dell’Express Pierre Schneider, l’architetto avrebbe “travestito dei bunker da mausolei faraonici. Risultato: una basilica di
Costantino al cui interno si scopre la Valle dei Re reinterpretata da Tintin”. Altri invece denunciarono i pilastri grigi posti in alcune sale con il
risultato di trasformare “il percorso in una sorta di passerella per secondini di prigione”. Insomma l’operazione destinata a rivoluzionare la museografia francese non convinse tutti» (Gambaro)
• è autrice del Museo di arte asiatica di San Francisco «un’opera costata 160 milioni di dollari, destinata a ospitare ben 4 miliardi di
dollari di valore in opere artistiche, una delle più grandi collezioni mondiali di arte orientale. Un progetto gigantesco che il
grande architetto italiano si è aggiudicato sconfiggendo concorrenti del calibro di Richard Meyer e il
sino-americano Pei (il padre della Piramide del Louvre) che partiva con un
vantaggio “etnico” evidente» (Federico Rampini): «Uno dei problemi che ho dovuto affrontare è la trasformazione di un edificio a vocazione “sedentaria” e statica, come una biblioteca, in un museo dinamico che invogli il visitatore
a percorrerlo. Ho conservato la facciata esterna in stile Beaux-Arts e alcuni
elementi interni: l’atrio monumentale d’ingresso con il soffitto a volta e le scalinate maestose. Questo ingresso
storico ora si apre su una piazza, uno spazio urbano con portici e logge,
illuminato di luce naturale grazie a due skyline (che per così dire “infilano” il contemporaneo nello stile Beaux-Arts). Questa parte è destinata alle funzioni sociali del museo: l’accoglienza dei visitatori, l’organizzazione delle visite guidate, il punto d’incontro per le scuole, le feste e altri eventi pubblici ospitati nella grande
hall che può contenere fino a 2 mila persone per i ricevimenti. Più un centro didattico con tre aule, un teatro-cinema, spazi per esposizioni
temporanee. Ai due piani superiori si arriva da una scala mobile esterna all’edificio, con una vetrata che offre la vista su San Francisco. Lì comincia il viaggio tra le collezioni permanenti. Un’esperienza che ho voluto rendere il più attraente possibile, offrendo al visitatore un facile orientamento perché sappia in ogni momento dove si trova. Tra le novità che ho introdotto: gli enormi tubi che legano come tiranti le diverse parti
dell’edificio prima separate»
• In Italia, ha restaurato Palazzo Grassi, sul canal Grande: «L’incarico, assolto con perizia, sfruttando la luce zenitale e usando i colori
pastello e il marmorino in voga in quegli anni, ha riscosso il successo del
pubblico, ma tra gli specialisti suscita analisi anche severe» (Arosio) • Dopo il matrimonio con un architetto, fu legata a lungo a Carlo Ripa di Meana.
Ha una figlia • «Ho Milano come riferimento perché è una città dove non ci si ferma. Si viene per partire, e si parte per ritornare. Mi
piacciono molto Parigi e New York».
FRASI «Ho imparato molto presto che quando su un’opera si riscuote il 50 per cento di pareri favorevoli e il 50 contrari è un successo. Vuol dire che c’è discussione. Un plebiscito mi metterebbe in agitazione, piacere a tutti non va
bene» • «Certo, sono severa, è la mia natura. Una forma di autodisciplina, altrimenti mi disgrego. La severità è una chiave indispensabile per affrontare problemi immensi, un’attitudine necessaria. Questo non vuol dire che non ci divertiamo, tutt’altro. La severità insieme alla pazienza è una delle virtù cardinali che permettono una buona lettura della realtà e quindi una buona sintesi» • «Non esiste la lampadina che si accende, il lampo di genio, l’idea improvvisa, l’intuizione. Si tratta piuttosto di qualcosa che matura giorno dopo giorno»
• «Mi riconoscono per strada a Milano e a New York. Ma io non ci casco. Resisto
alle interviste, non ho voglia di andare da nessuna parte. E, soprattutto, odio
i dibattiti di tuttologia. Ognuno deve saper fare il suo mestiere» • «Credo molto nell’integrazione delle arti, la letteratura, la musica, la pittura. Saper vedere,
saper riconoscere, saper scambiare. La cosa più importante è sempre lo scambio fra le varie discipline» • «Mi considero un’intellettuale, non si può fare architettura senza conoscere la musica, la filosofia, l’arte, la letteratura» • «Un quadro è chiuso in un museo: sta a me scegliere se voglio andarlo a vedere. Un’architettura invece la devo frequentare, usare, visitare, percorrere: per questo
motivo la critica può essere molto più forte e molto più pertinente».
CRITICA «In Francia è finita nel Dizionario delle donne celebri di tutti i tempi e di tutti i paesi» (Fabio Gambaro) • «Ha avuto un vantaggio dall’essere donna in un ambito professionale maschilista. è emersa come donna-alibi, tra gli architetti della sua generazione, e ha usato
la sua chance oculatamente» (Vittorio Magnago Lampugnani) • «Io non conosco bene il lavoro di Gae Aulenti. è un nome che mi riporta al passato. La Aulenti è stata una buona designer. Ma del Musée d’Orsay ho sempre pensato che se c’erano gli elefanti era perfetto per l’Aida» (Massimiliano Fuksas).
POLITICA «Aveva arredato la casa di Craxi, ma anche la prima terrazza di Eugenio Scalfari» (Buttafuoco) • Dopo Mani pulite si è schierata più volte con i candidati sindaci di Milano (sconfitti) della sinistra (Nando Dalla
Chiesa ecc.).