Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
BAGLIONI
Claudio Roma 16 maggio 1951. Cantante. Autore. Inizia a 14 anni a suonare la chitarra e il pianoforte e a
partecipare a concorsi canori vari; presto vengono le sue prime canzoni (Signora Lia, 69), ma non la notorietà. Il successo giunge nel 72, grazie alla pubblicazione di Questo piccolo grande amore contenente l’omonima canzone (che arriverà a 18 milioni di copie vendute). Seguono E tu… (74; la canzone che dà il titolo all’album vince il Festivalbar), Sabato pomeriggio (75), Solo (76, nel quale compone per la prima volta sia i testi che le musiche), E tu come stai (78), Strada facendo (81). ecc. • Il padre era sottufficiale dei carabinieri, la mamma sarta. «Si erano trasferiti a Roma da un paese dell’Umbria, dove facevano i contadini quando la terra non dava più niente. Erano animati da una gran voglia di migliorarsi. Mio padre fece la leva
con i carabinieri e restò nell’Arma come sottufficiale» • «Già a 17 anni buttavo giù delle cose. Mi presentarono a Giuseppe Berto. Gli dissi: maestro, io scrivo
canzoni. E lui (dandomi del lei): non sa quant’è fortunato, lei viaggia su una barca capace di navigare in piccoli fiumi ma
anche in grandi oceani» • «Nel 68 feci il primo provino per la Ricordi, a Milano, mi accompagnò mia madre, non avevo compiuto diciassette anni, mi dissero tu non farai mai
nulla, fui trattato a pesci in faccia, tornai a mezzanotte alla pensione dove
mi aspettava mia madre, e io sul tram, in una città che sentivo molto ostile, tirai giù il finestrino e dissi vi farò vedere, diventerò un grand’uomo» • «Ero arrivato ultimo in due concorsi per cantautori. Non penultimo, proprio
ultimo, e in tutti e due. Ero riuscito ad avere successo solo in Bulgaria e in
Cecoslovacchia, e mi trovai a dover decidere se trasferirmi lì oppure lasciare perdere. E conclusi che era meglio lasciar perdere, tornare a
Valle Giulia e ricominciare a dare i miei esami di architettura… Poi, una mattina, già da ex cantautore, mi accorsi che avevo dimenticato una chitarra alla Rca, la
mia casa discografica. Andai a cercarla, e quando stavo per uscire, nell’indifferenza generale, una segretaria mi fermò e mi disse: ma Claudio, lo sai che il tuo disco è entrato in classifica? è già al secondo posto. Tornai a casa prendendo i soliti tre autobus, abitavo a
Centocelle. E ricordo perfettamente che guardai tutte le finestre di tutte le
case di Roma, pensando che in quel momento, forse, c’era qualcuno che stava ascoltando il mio disco, c’era qualcuno che sapeva chi ero...»
• «Piccolo grande amore salì in cima alle classifiche e ci rimase per buona parte del 73, anno molto
politico, non ancora di piombo ma comunque tempestoso, e intensamente segnato
dai moti studenteschi e dalle lotte operaie. Una trepidante canzone
sentimentale, scritta da uno studente di architettura romano che si sentiva
permeabile ai tempi e all’impegno, ma aveva una sua vena intimista, introversa, in apparente
controtendenza con i fiammeggianti umori pubblici dell’epoca. Quella canzone sarebbe diventata più di un classico: la vera e propria icona del cantare leggero nazionale, piccolo
melodramma corale rieseguito in mille luoghi e mille forme, forse il più popolare e il più italiano di tutti i brani pop. Come
Mamma, come O surdato innamorato, come Volare, ma perfino più slegata dal suo contingente melodico, dal suono del momento, come se fosse la
sintesi fortunata di modi e inflessioni di molte scuole e molti periodi:
qualcosa di Battisti, qualcosa di Napoli, qualcosa della moderna malinconia
cantautorale, il cantare dispiegato della tradizione popolare romana, e
naturalmente l’eterna influenza dell’eterno melodramma» (Michele Serra) • «C’è sempre un rapporto teso e difficile tra ogni cantante e la sua
canzone-didascalia. Se non altro per l’obbligo di eseguirla sempre e comunque, che rischia di diventare ossessivo. Con Piccolo grande amore ho avuto anch’io, e per parecchi anni, una relazione tormentata. Costretto a furor di popolo a
metterla nella scaletta dei concerti, ne ho fatte tre o quattro versioni
diverse, anche piuttosto strampalate. Finché un giorno, a Palermo, alla fine di un concerto nel quale avevo eseguito una
specie di riedizione new-age di Piccolo grande amore, venni duramente affrontato da una ragazzina. Gentile ma incazzata. Lei - mi
disse - non può permettersi di fare così. Quella canzone non è più sua, è nostra, è di tutti. La faccia come piace a noi, la faccia come è davvero... Discussi animatamente con la ragazzina per un bel po’. Ci ripensai: niente da fare, la ragazzina aveva ragione. Piccolo grande amore non era più mia, era una specie di bene pubblico. E da allora ho fatto pace,
definitivamente, con la maglietta fina...» • «Dopo il successo di Piccolo grande amore il mio discografico decise che avrei dovuto scrivere un musical e lasciare l’attività di cantautore. E io obbedii, ne scrissi uno intitolato Le avventure di Dudun Maloo, una specie di marinaio che arrivava in un’isola e trovava una cattiva ereditiera usurpatrice eccetera. Andai a Parigi e
dovevo registrare il musical con l’aiuto di Vangelis. Lì decisi che era una follia. Una parte di quel materiale però finì nell’album E tu che vendette in poco tempo 600 mila copie. Il resto andò nel cestino» • è stato sposato sedici anni con Paola Massari, che gli ha dato un figlio
(Giovanni) • Nel 2004 si è laureato in Architettura (108/110).
FRASI «Noi soffriamo sempre di un complesso d’inferiorità rispetto alla cosiddetta musica seria, è inevitabile, c’è la Storia dietro. Da una parte la canzone ha un impatto emotivo che, tranne
alcune arie, l’opera non ha. Oggi non ci sono compositori colti che colpiscono il pubblico, i
nuovi Bach e Puccini» • «La canzone è come una moneta. Le due facce sono indissolubilmente legate l’una all’altra. Se mai riuscissimo a separarle e a eliminarne una, non perderemmo la metà, ma l’intero valore della moneta. Testo e musica nascono per vivere insieme e, quale
che sia il destino — felice o infelice — che li lega, devono essere ascoltati e “giudicati” insieme. Anzi, per l’insieme che generano. Divenendo canzone infatti, testo e musica perdono la loro
identità originaria. Abbandonano la “famiglia di provenienza” e assumono una nuova natura per cogliere il valore della quale non è possibile utilizzare le categorie con le quali si valutavano parole e note
nella loro vita precedente. Nuova identità e nuovo senso, e non è raro il caso nel quale parole e note che, separatamente, faticherebbero a
interessare e appassionare, riescono, viceversa, a suscitare emozioni tra le più intense che l’uomo riconosca».
VIZI Ama nuotare: «Noioso in piscina, al mare un divertimento. L’ho praticato a livello agonistico fino a 15 anni, poi ho lasciato perdere: non
vincevo. Il nuoto è una forma di pensiero. Tra una vasca e l’altra canticchio con la mente, penso a motivi, parole. Poi le riconosco, le
ritrovo, creo. Tutto in un abbraccio, per esempio, è cominciata nuotando. Il mare, invece, è il più grande giocattolo mai inventato. è un’orchestra, soprattutto in burrasca, con le sue sonorità: l’onda, la risacca, la brezza... è già bello vederlo da lontano. Quando sono a Lampedusa mi piace nuotare sulle lunghe
distanze. Una volta Fabrizio Frizzi mi venne dietro, ma io non me ne accorsi:
andavo, andavo. Poi, poveretto, è stato male».