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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

FORMIGONI

Roberto Lecco 30 marzo 1947. Politico. Presidente della Regione Lombardia (dal 95). Nel
2006 eletto senatore (Forza Italia). «Buttiglione fa il filosofo, ma è laureato in Legge. Sono io quello laureato in Filosofia» • Nel 67 ha aderito a Comunione e liberazione di don Giussani, movimento di cui è stato a lungo il leader. Nel 71 si è laureato in Filosofia all’Università Cattolica di Milano con una tesi sugli Studi giovanili di Marx. Nel 76 ha fondato il Movimento popolare, emanazione politica di Cl. Nell’84 è stato eletto per la prima volta al Parlamento Europeo con 450 mila preferenze
sconfiggendo clamorosamente Oscar Luigi Scalfaro. Nell’87 e nel 92 è stato eletto deputato con le liste Dc. Nel 93 è diventato sottosegretario all’Ambiente nel governo Ciampi • Padre ingegnere, madre ex insegnante, poi casalinga: «La mia era una famiglia unita e serena, con due genitori amorevoli e severi
quanto basta, una sorella e un fratello più piccoli. I miei genitori sono morti nel 2000, a distanza di sei giorni uno dall’altro» • «Hanno detto che mio padre era un assassino, ma non è vero. Nel dopoguerra fu accusato di aver partecipato all’uccisione di quattro partigiani a Missaglia, un paese della Brianza dove era
podestà e dove lavorava come ingegnere responsabile della cementeria. Non era andato in
guerra proprio perché faceva un lavoro di utilità bellica. Alla fine del 44 c’erano stati scontri cruenti tra partigiani e fascisti che finirono con la
fucilazione di quattro ragazzi del paese. Mio padre fu processato: ma, prima
della conclusione, venne prosciolto con l’amnistia voluta da Togliatti. Ho studiato attentamente le carte del processo e
ho visto che, in ogni caso, la sua posizione si stava risolvendo e sarebbe
stato sicuramente assolto. Lo interrogai e lui negò sempre, con grande calma e quindi con grande convincimento, qualsiasi
partecipazione a episodi di violenza. Perciò io sono sicuro, come può essere sicuro un figlio, della sua innocenza. Del resto mio padre non rinnegava
il fatto di essere stato fascista. Votò per il Movimento sociale finché non ebbe l’occasione di votare per me. Ed era noto che da ragazzo aveva partecipato alla
marcia su Roma. A questo proposito c’è persino un particolare divertente. Riguarda l’uso che un adolescente può fare di un fatto serio e drammatico, come la marcia su Roma. Nel 22 mio padre
aveva solo 18 anni e per lui fu probabilmente poco più di una scampagnata, perché dopo qualche giorno era già tornato a casa. Ma io ne approfittai nella polemica per le prime libertà. Dicevo: “Non rompere le scatole. Tu alla mia età hai fatto la marcia su Roma e io non posso neanche avere le chiavi di casa”. Aprì la strada a tutte le altre libertà, comprese quelle dei miei fratelli, che essendo più piccoli, godevano gratis i frutti delle mie fatiche di emancipazione. Erano gli
anni del liceo e, come tutti i ragazzi, io volevo le ali. Fuori di metafora
feci anche un corso di pilota di aerei e arrivai a guidare un piper insieme al
mio compagno di classe Roberto Castelli» (da un’intervista di Stefania Rossini) • «Ama descriversi come un generale giovane ma carico di medaglie. è vero solo per le medaglie» (Enrico Arosio) • «Servo del padrone, fascista, integralista. Gliene hanno dette di tutti i colori.
Per i gruppettari era un nemico ideale. Un cattolico che non faceva finta di
non esserlo, che sbandierava la sua verginità. Eppure era un ragazzo come tutti gli altri, con gli stessi miti, le stesse
abitudini. Organizzava movimenti giovanili, viveva in una specie di comune,
leggeva i classici del marxismo. Ma era il leader di Comunione e liberazione, l’unico movimento giovanile che, nel vuoto lasciato dai partiti, osava opporsi all’attivismo dei gruppi extra-parlamentari» (Claudio Sabelli Fioretti) • «Verso i vent’anni la mia vita cambiò. Avevo già aderito alla Gioventù studentesca, l’organizzazione cattolica dell’epoca, ma vivevo anch’io lo spirito del tempo, pieno di ansie e anelito al mutamento. Don Giussani ci
dimostrò che si poteva cambiare il mondo essendo cristiani. Ci fece capire che non
avremmo dovuto rinunciare a niente, ma che anzi avremmo approfondito la
dimensione del tutto. Aveva un carisma assoluto. Era capace di dedicare ore
intere al colloquio con uno solo di noi. Non ho più incontrato una persona così umanamente completa e travolgente» • «Ciriaco De Mita si morde la lingua per quell’antico giudizio, assassino e imprudente: “è il politico più stupido che conosco”. Ne è passato di tempo da quando la vecchia Dc guardava con sospetto e cercava di
fare terra bruciata attorno a quel neoeletto che alle europee dell’84 aveva preso 450 mila voti, il marziano di Lecco che alla prima esperienza
aveva sbaragliato perfino un lupo delle preferenze come il ministro dell’Interno Oscar Luigi Scalfaro, costretto da 84 mila schede all’umiliazione del secondo posto. Da allora la Dc è morta, De Mita si è un po’ perso per la via, mentre “lo stupido” Formigoni di strada ne ha fatta parecchia. Oggi è uno dei politici italiani di maggiore evidenza. Al Pirellone, il grattacielo
della Regione Lombardia di cui è presidente dal giugno 95, lo chiamano “il Maratoneta”. Pensano soprattutto al percorso politico di Formigoni, quello fatto finora e
quello a venire. Tre volte deputato, per due legislature europarlamentare,
vicepresidente del Parlamento di Strasburgo per cinque anni, per dieci
presidente del Movimento popolare, una breve esperienza come sottosegretario
all’Ambiente nel governo Ciampi del 93, Formigoni ha capito in anticipo sulla
concorrenza che dal palcoscenico della Lombardia, nel ruolo di governatore
della prima regione d’Italia (9 milioni di abitanti), avrebbe avuto grandissima visibilità. Sono anni che ambisce a un ruolo sempre più eminente. Gli effetti a volte sono stati discutibili: come nello sbandieramento
del voto di castità del Formigoni aderente all’associazione laicale dei Memores Domini (“Ad alcuni cristiani il Padreterno chiede di fare a meno del sesso”); o negli epici duelli ingaggiati con l’ex ministro Rosy Bindi sulla riforma sanitaria lombarda (“Non giurerei sulla sua verginità” lo mordeva lei. E lui: “Io sulla sua, invece, ci giuro: l’avete vista bene?”); per arrivare fino alle comparsate in tv su
Scherzi a parte» (Maurizio Tortorella) • «Anche soltanto affidandosi alla memoria, viene in mente che fece della sua
popolarità una questione internazionale fondando il Milan club al Parlamento europeo. E
che fece della sua caratura politica una questione intercontinentale stringendo
rapporti con Saddam Hussein, sicuramente non illeciti (risvolti corruttivi di “Oil-for-Food”), sicuramente imprudenti. E che fece della gestione del suo corpo una questione
pubblica e scandalosa, annunciandosi vergine come Rosy Bindi in tempi in cui si
raccoglievano i frutti scintillanti della rivoluzione sessuale degli anni
Settanta. E che però in tempi diversi, più recenti e meno spavaldi, sciorinò il cambiamento di rotta sotto forma di fotomodella, tal signorina Emanuela
Talenti, che per qualche settimana (campagna elettorale per le Regionali del
2000) si qualificò come fidanzata di Formigoni e successivamente (dopo l’elezione di Formigoni, neo presidente e neo single) come ex fidanzata di
Formigoni» (Mattia Feltri) • «Quello che collaboratori e amici chiamano con affettuosa ironia “Il Celeste”, variante mistica e ciellina dell’azzurro forzista, non ha mai nascosto di puntare in alto. “Bobo” (come lo chiamano dai tempi in cui divideva la casa e il desco con sei fratelli
laici dei “Memores Domini”) decise di farsi trovare pronto per il momento in cui Sua Emittenza gli avrebbe
passato il testimone. E dopo essersi affacciato sulla scena internazionale alla
vigilia della prima guerra del Golfo andando a Bagdad nel tentativo di
scongiurare il conflitto e aprendo quel canale con Saddam Hussein che anni dopo
gli avrebbe procurato il fastidioso inserimento nell’elenco dei politici occidentali in qualche modo toccati dall’affare Oil-for-Food, prese a battere il pianeta, continente per continente,
Stato per Stato, metropoli per metropoli. Da allora ha aperto “ambasciate” lombarde a Bruxelles, Shanghai, New York o San Paolo, ha compiuto più visite ufficiali di tanti ministri degli Esteri (carica alla quale avrebbe
fatto un pensierino dopo le dimissioni di Renato Ruggiero e poi di nuovo dopo
la scelta di Berlusconi di rinunciare all’interim per tornare a tempo pieno a Palazzo Chigi), si è preso come consulente diplomatico quanto di meglio c’era su piazza e cioè l’ex ambasciatore a Washington Boris Biancheri, si è fatto fotografare con tutti i potenti del mondo, da Tony Blair a Vladimir
Putin. Una formidabile e inesauribile trottola. In grado, grazie anche al
fisico da giocatore di basket che gli consente di sventolare un certificato
della “Stramilano” che gli attesta d’aver corso 15 chilometri in 78 minuti netti, di reggere anche all’estero i ritmi che sfoggia durante le campagne elettorali. E se è vero che si vanta di aver fatto per le Europee una media di 26 comizi al giorno
(sulle parole mitragliate al minuto non siamo in grado di fornire dati
precisi), nelle missioni oltrefrontiera dicono riesca ad arrivare addirittura a
una trentina di appuntamenti quotidiani. Lasciandosi dietro una miriade di
contatti e alcune leggende. Come il corteo imperiale allestito per la visita in
Brasile aperto da otto motociclisti che in autostrada “gli aprivano la strada tra le macchine come Mosè aprì il Mar Rosso nei Dieci Comandamenti di Cecil De Mille” o la fantastica Limousine Lincoln lunga un chilometro affittata a New York
(cercò di salirci il presidente del Senegal, che ce l’aveva più corta) per mostrare agli americani che “la Lumbardia l’è minga un staterel de bamba”. Convinto da anni d’avere la statura dell’uomo di governo (“Sono sempre stato il primo degli eletti e non mi han mai dato uno straccio di
ministero!”), fiero del suo lavoro al punto di dire (terza persona) che “la giunta Formigoni è largamente apprezzata dagli elettori”, disposto a concedere qualcosa alla demagogia caciarona come quando gridò ai ministri ulivisti “alla Scala dovete pagare il biglietto!”, sopravvissuto alle denunce leghiste di esser figlio di un rastrellatore
fascista e perfino alle interviste d’una fidanzata ciarliera che raccontava ai giornali cose tipo “i problemi di castità appartengono a lui, non a me”, il Governatur è certo: “In politica l’umiltà non è una virtù”. Paura di gettarsi nel vuoto non ne ha. Basti ricordare cosa gli combinarono
quelli di Canale5 quando, con la scusa di un’intervista, lo caricarono su un elicottero. Sul più bello, mentre sorvolavano il Lago di Como davanti a Lecco, videro un uomo
cadere in acqua da una barca: “Aiuto! Aiuto!”. “SuperBobo” non ci pensò un attimo: “Imbragatemi: mi calo io”. E finì scaricato, dopo mille peripezie, nella piscina di una villa dove due molossi
presero a ringhiargli contro mentre dall’alto calava una scritta: “Sei su
Scherzi a parte”» (Gian Antonio Stella).