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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

LA CAPRIA

Raffaele Napoli 8 ottobre 1922. Scrittore. «Napoli è come un’anfora antica, tirata su dal mare, tutta incrostata di conchiglie,
apparentemente senza forma: ma se l’occhio è esperto, riesce a coglierne la bellezza originale» • Vincitore del premio Strega 61 con Ferito a morte, autore di romanzi: Un giorno d’impazienza (52), Amore e psiche (73), Fiori giapponesi (79). Fra le sue raccolte di saggi, perlopiù dedicati alla cultura partenopea cui è profondamente legato, Variazioni sopra una nota sola (77), L’armonia perduta (86), Letteratura e salti mortali (90), Il sentimento della letteratura (97). Nel 2005 ha vinto con L’estro quotidiano il premio Viareggio. Nel 2006 autore di L’amorosa inchiesta. «Caro Raffaele, ho appena finito di leggere il tuo ultimo libro, e non riesco a
non chiedermi se è ancora vero quello che scrissi a proposito del tuo L’estro quotidiano un anno fa: e cioè che il tuo ultimo libro, non si sa come, è sempre il migliore» (Alfonso Berardinelli) • «Fu un canarino, un canarino che imprevedibilmente si posò sulla mia spalla mentre attraversavo i giardini della Villa Comunale, a Napoli,
a farmi intuire quanto poteva essere difficile il mestiere di scrivere. Ero un
ragazzino che frequentava la prima ginnasiale e l’unica mia esperienza di scrittura era il tema in classe. Nel momento in cui si
posò io rimasi immobile per lo stupore e così restai per non turbarlo col minimo movimento; ma il mio cuore batté tanto forte per l’emozione che dovette sentirlo anche il canarino, tant’è vero che se ne volò via. La mia storia però comincia subito dopo quando, tornato a casa, volli raccontare a mia madre quel
che era accaduto e quello che avevo provato. E appena dissi: “Mamma, oggi un canarino si è posato sulla mia spalla”, mi accorsi sconfortato di non aver detto nulla, proprio nulla, di quel che era
accaduto. Come si fa a dirlo?, pensai. Cominciai da quel momento a rimuginare»
• «Papà era un commerciante all’ingrosso di grani, fu anche presidente del consorzio agrario, e quindi era
costretto a parlare italiano. Mentre mia madre alternava l’italiano al francese. Io e mio fratello, che oggi vive a Sanremo con la moglie
Isa Barzizza, rubavamo il dialetto e i suoi misteri a Rosaria, la nostra
cameriera. Lei era una cassaforte di napoletanità. Credeva agli spiriti, ai fantasmi, e cucinava ricette che purtroppo si è portata nella bara. Giocava al lotto la mattina prestissimo, perché non voleva dimenticare i sogni premonitori della notte: e vinceva pure. Mio
fratello la chiamava “l’usuraia”, perché ogni mattina si faceva prestare da lei delle piccole somme che a fine anno
diventavano un capitale»
• Da ragazzo, al liceo Umberto I, i suoi compagni erano Napolitano, Ghirelli,
Patroni Griffi: «Quando litigavamo, o giocavamo a calcio, dialetto stretto. Era la nostra identità ancestrale. Adesso la televisione ha creato un italiano-base grigio e banale.
Oggi un napoletano che va al nord non è più un emigrato: ma un viaggiatore costretto a nascondere il dialetto nello spirito
e a parlare quella strana lingua televisiva» • «Il dialetto mi riscalda come una specie di copertura materna. Quando scendo a
Napoli, lo vado a cercare nelle zone più popolari, tra i venditori delle bancarelle di San Gregorio Armeno. Là si vendono i presepi tutto l’anno, riescono a trasmetterti il brivido di Natale anche a primavera» • «Mi sento come quei pittori che prima buttano giù i colori, e poi fanno due passi indietro per vedere che cosa hanno dipinto.
Voglio dire che, a distanza, Napoli la riesco a capire meglio. Ma quando ci
ricapito dentro, mi coinvolge ancora troppo: col suo dialetto, i suoi mille
mari del golfo. Credo che ci sia un invisibile sipario aperto su Napoli: si
rappresenta in continuazione uno spettacolo dialettale che anticipa i mali
della nazione. Si assiste chiaramente a fenomeni di criminalità e disoccupazione. Senza le ipocrisie di altre città che stanno più a nord»
• «Ho scritto con Franco Rosi la sceneggiatura di Mani sulla città, e anche di C’era una volta, con la Loren: film in cui ho studiato la mentalità scaramantica di Napoli. Nei vicoli più tormentati, il dialetto è come una membrana sottilissima tra superstizione e religiosità, sacro e profano. Parlarlo ti eccita. Smitizziamo le presunzioni umane. Come
Totò, che con i suoi “parli come badi”, o “chicche e sia”, sfotteva i perfezionisti dell’italiano. Ma sì, noi napoletani siamo per la democrazia spirituale» (da un’intervista di Paolo Mosca)
• Fino all’87 ha lavorato alla Rai: «Sono Stato quasi trent’anni alla Rai e mi occupavo dei programmi culturali e degli sceneggiati» • è sposato con Ilaria Occhini, attrice toscana, nipote del grande Giovanni Papini.
La conobbe durante la cerimonia dello Strega (61): «Mi apparve subito così bella e sublime, che il primo istinto fu di cercare una macchina fotografica
per fermare il suo sguardo».