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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

CASELLI

Gian Carlo Alessandria 9 maggio 1939. Magistrato. Dal 15 settembre 2008 procuratore capo a
Torino, dove prima era procuratore generale presso la Corte d’Appello. Nominato all’unanimità dal Csm, su sua stessa richiesta, avanzata dopo aver ricevuto una lettera dei
pm di Torino che gli chiedevano di subentrare all’allora procuratore capo Marcello Maddalena in scadenza per aver raggiunto il
tetto massimo degli otto anni di vertice. Sposato con Laura, insegnante di
matematica. Due figli, Paolo (nato nel 71) e Stefano (nato nel 75)
• Famiglia povera, nonni contadini della campagna di Fubine, padre operaio.
Maturità classica al Liceo Salesiano Valsalice (lo stesso del cardinale Tarcisio Bertone
e di Marco Travaglio). Laurea in Giurisprudenza a Torino nel 1964. Nel 1967
vince il concorso in magistratura. Dopo due anni viene assegnato alle funzioni
di giudice istruttore a Torino • «Avevo 29 anni nel 68, ma non “l’ho fatto”. Sono sempre stato un secchione, a scuola e sul lavoro, e in quell’epoca cercavo di imparare presto e bene il mestiere di magistrato» • Nel 73 comincia a istruire processi per fatti di terrorismo. Il primo, per il
sequestro di Bruno Labate, segretario provinciale della Cisnal. Poi il
rapimento di Ettore Amerio (capo personale Fiat) e quello di Mario Sossi,
sostituto procuratore a Genova (il 18 aprile 1974, è la prima azione in grande stile delle Br). Sossi venne liberato nonostante il
procuratore generale Francesco Coco si fosse opposto alla scarcerazione di
alcuni detenuti considerati progionieri politici dai
brigatisti. Pagò per questo con la vita: lui e gli uomini della scorta, Giovanni Saponara e
Antioco Deiana, vennero uccisi in un agguato a Genova, l’8 giugno 1976. Erano i primi morti ammazzati delle Br. Carassi, capo dell’ufficio giudici istruttori, nell’assegnare il fascicolo a Caselli, gli affiancò altri due magistrati (Mario Griffey e Luciano Violante): «Se siete in tre e uccidono uno di voi gli altri possono andare avanti e i
processi sono salvi» (è il primo pool di giudici istruttori, modello adottato poi da Antonio Caponnetto
a Palermo, con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino). Al momento del processo i
brigatisti non volevano nemmeno gli avvocati d’ufficio e siccome il presidente dell’Ordine degli avvocati, Fulvio Croce, li nominò contro la loro volontà, il 28 aprile 1978 lo ammazzarono. Non si trovarono allora in tutta Torino sei
cittadini disposti a fare i giudici popolari nel processo contro i capi delle
Br, fino a che, partendo dalla Fiat, la città venne mobilitata e il dibattimento potè cominciare. Ma sempre in un clima tragico: il primo giorno i brigatisti
uccisero il maresciallo Berardi, l’ultimo il commissario Antonio Esposito.
[afi]


Il primo aprile del 1980, Caselli raccoglie il pentimento di Patrizio Peci, capo
della colonna torinese delle Br. I brigatisti, allora, sequestrano il fratello,
Roberto Peci, lo torturano, lo fucilano, filmano l’esecuzione e mandano in giro la cassetta, come farà trent’anni più tardi Al Qaeda. Dopo Peci è la volta di Roberto Sandalo (Prima linea), che, tra gli altri, denuncia Marco
Donat-Cattin, figlio del leader della sinistra Dc Carlo. Contribuisce senza
volerlo alla caduta del governo: trasmette infatti i verbali a Roma e il
presidente del Consiglio, Francesco Cossiga, informa riservatamente
Donat-Cattin che il figlio è ricercato
• Negli ultimi quattro anni come giudice istruttore a Torino svolge importanti
inchieste in materia di crimine organizzato (traffico di stupefacenti e
ramificazioni torinesi della ’ndrangheta calabrese). Nell’86 è eletto consigliere del Csm nelle liste di Magistratura democratica, la corrente
di sinistra. Richiamato in ruolo nel 90 viene assegnato alla presidenza della
Prima sezione della Corte d’Assise di Torino. Nel 92 si candida per l’incarico di procuratore capo di Palermo, e viene preferito, tra gli altri, a
Piero Grasso (che allora lavorava al ministero di Grazia e giustizia,
guardasigilli Claudio Martelli). Arriva a Palermo
il 15 gennaio 1993, giorno dell’arresto di Totò Riina. Pochi mesi prima, il 23 maggio 1992, la mafia aveva messo 500 chili di
tritolo in un certo punto dello svincolo di Capaci, sull’autostrada A 29, a pochi chilometri da Palermo. Al passaggio dell’auto di Falcone, il tritolo era stato fatto esplodere da Giovanni Brusca, erano
saltati in aria il giudice antimafia Giovanni Falcone, la moglie Francesca
Morbillo, i tre uomini della scorta (Vito Schifani, Rocco Di Cillo, Antonio
Montanaro)
• Lo sistemano in un appartamento nel complesso detto Tre Torri, sede della Dia,
alla Favorita. Il giudice Aldo Giubilaro, di Magistratura indipendente,
commenta: «Non vorrei che il dottor Caselli dovesse interrogare un pentito con l’aiuto di un interprete per riuscire a capire non solo le parole, ma anche i
gesti e gli sguardi che fanno parte del linguaggio mafioso». Il padre Pintacuda giudica la nomina di Caselli un segno della Provvidenza.
Caselli, pochi mesi dopo (notte del 23 ottobre 1993), raccoglie la prima
confessione relativa alla strage di Capaci, da parte di
Santino Di Matteo, tra gli esecutori materiali • Rimane a capo della Procura di Palermo per sei anni e mezzo. Valore dei beni
mafiosi sequestrati sotto la sua direzione: oltre diecimila miliardi di lire;
persone indagate: 89.655 (di cui 8.826 per fatti di mafia); rinviati a
giudizio: 23.850 imputati (di cui 3238 per mafia). Ergastoli inflitti in
processi avviati in quel periodo: 647. Tra i latitanti arrestati: Leoluca
Bagarella, Giovanni ed Enzo Brusca, Pietro Aglieri ecc., «per numero e “caratura” criminale senza precedenti» (dal curriculum agli atti del Csm)
• «Dei miei anni a Palermo si ricordano soprattutto i processi a imputati “eccellenti”». Cioè Corrado Carnevale, alla fine assolto. Il senatore Marcello Dell’Utri, Bruno Contrada, Calogero Mannino, soprattutto Andreotti. [afj]


AndreottiIl 4 marzo 1993 Gian Carlo Caselli iscrive sul registro degli indagati il
senatore a vita Giulio Andreotti. Il suo nome era stato fatto già da alcuni pentiti, Leonardo Messina, Gaspare Mutolo, Giuseppe Marchese. Quando
Caselli si insedia a Palermo le dichiarazioni dei collaboratori diventano
sempre più circostanziate, finché Tommaso Buscetta e Francesco Maria Mannoia, interrogati negli Usa nell’aprile 1993, indicano in Andreotti il referente nazionale di Cosa Nostra.
Mannoia, secondo Caselli «preciso come una carabina», riferisce «di due incontri tra Stefano Bontate e Giulio Andreotti, aventi ad oggetto l’omicidio del Presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella» (ammazzato il 6 gennaio 1980). Nel primo (1979) Bontate avrebbe fatto carico ad
Andreotti di trovare una soluzione alternativa all’eliminazione fisica di Mattarella; nel secondo (primavera 1980, dopo l’omicidio), Andreotti sarebbe tornato a Palermo per chiedere a Bontate
spiegazioni sul delitto (ricostruzione dell’accusa).
Il 16 aprile Balduccio Di Maggio racconta di aver partecipato a un incontro a
casa di Ignazio Salvo, presenti l’onorevole Lima, l’onorevole Andreotti e Salvatore Riina, che salutò con un bacio tutti e tre (Andreotti, Lima e Salvo). Il 26 novembre Tommaso
Buscetta aggiunge che l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli (20 marzo 1979) era stato eseguito da
Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti, su richiesta dei cugini Salvo, ai quali
a sua volta l’aveva chiesto Andreotti, «poiché quegli disturbava politicamente». Rinviato a giudizio, il senatore è prosciolto definitivamente il 15 ottobre 2004: ritenuto responsabile
di associazione a delinquere per il periodo precedente al 1980 (quando ancora
non esisteva il reato di associazione mafiosa), ma la sentenza è non doversi procedere perché il reato è prescritto, assolto dall’accusa di associazione mafiosa per il periodo successivo, per insufficienza di
prove. A proposito dei due incontri con Bontate (negati da Andreotti, ma
ritenuti provati dai giudici), scrive la Corte d’Appello (sentenza del 2 maggio 2003, confermata dalla Cassazione): Andreotti «era certamente contrario» alla commissione del delitto Mattarella, ma «nell’occasione non si è mosso secondo logiche istituzionali, che potevano suggerirgli di respingere la
minaccia alla incolumità del Presidente della Regione facendo in modo che intervenissero gli organi a ciò preposti e, per altro verso, allontanandosi definitivamente dai mafiosi, anche
denunciando a chi di dovere le loro identità e i loro disegni». Per l’omicidio Pecorelli gli atti invece sono trasmessi per competenza a Perugia:
Andreotti viene assolto in primo grado, condannato in secondo a 24 anni, e
assolto dalla Cassazione (su richiesta dello stesso procuratore generale), il
30 ottobre 2003.
[afk]


Casellismo Termine coniato da Marcello Dell’Utri per indicare una lunga serie di processi di mafia sistematicamente smontati
in sede dibattimentale. Suo commento alla condanna subìta in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa: «La verità è che se m’avessero assolto, sarebbe crollato tutto il castello del pentitismo, del
casellismo» • «Ma è davvero così? Se fosse così, il “casellismo” non avrebbe raccolto condanne nemmeno nei processi all’ala militare di Cosa Nostra: lì, invece, non ne ha mancata nemmeno una» (Saverio Lodato, Marco Travaglio) • Nel 99 lascia la Procura di Palermo (gli succede Piero Grasso). Va a dirigere il
DAP (Dipartimento amministrazione penitenziaria), fino al primo marzo 2001,
quando viene designato a rappresentare l’Italia in Eurojust (coordina l’azione penale dei paesi membri dell’Unione Europea). Nel 2002 viene nominato procuratore generale a Torino.



Legge anti-Caselli Si era candidato alla nomina di procuratore nazionale antimafia (concorso
bandito il 4 novembre 2004 dal Csm, i favoriti, lui e Piero Grasso, allora
procuratore capo di Palermo, succeduto a Caselli nel 99), quando Pier Luigi
Vigna, procuratore nazionale antimafia, in scadenza il 15 gennaio 2005, viene
prorogato, con il “mille proroghe”, fino al compimento del settantaduesimo anno di età, cioè fino al giorno del suo compleanno (un codicillo prevede che il posto risulterà vacante solo a quella data). Viene di conseguenza annullato il concorso del
Csm, e nel frattempo approvata la riforma Castelli dell’ordinamento giudiziario, che tra l’altro esclude dalle funzioni direttive degli uffici giudiziari i magistrati che
abbiano più di 66 anni (cioè l’età che ormai avrà Caselli quando sarà decaduto Vigna). L’emendamento è presentato dal senatore Luigi Bobbio (An), che ammette: «Certo che la norma serve a escluderlo da quell’incarico. Non lo merita» • «Una bomba intelligente contro Caselli» (Guido Calvi, Ds) • «Non è stupefacente se, dopo la condanna di Marcello Dell’Utri, Caselli, capo della Procura di Palermo negli anni Novanta, venga visto
come una bestia nera. Non è solo una punizione nei confronti del procuratore odiato dal governo, è anche il timore per le cose che sa, per quello che può ancora fare. è il rancore verso Caselli che poi è il simbolo di una magistratura che non ha guardato in faccia nessuno» (Nando Dalla Chiesa, Margherita)
• Finisce che il 13 ottobre 2005 Piero Grasso viene nominato procuratore
nazionale antimafia con i voti dei laici del centrodestra e dei togati delle
correnti moderate del Csm. Cinque gli astenuti, di Magistratura democratica (la
corrente di Caselli), che accuseranno gli esponenti delle altre correnti di
essersi fatti influenzare dal governo (la legge sarà dichiarata incostituzionale il 20 giugno 2007) • «Sono l’unico magistrato italiano al quale il Parlamento ha dedicato espressamente una
legge. Una legge contra personam che mi ha espropriato di un diritto: quello di
concorrere, alla pari con altri colleghi, alla carica di Procuratore nazionale
antimafia» •«Mi hanno definito “toga rossa”, comunista”, ma in altra epoca — durante gli anni di Piombo — mi sono preso anche del “fascista”. Eppure nel frattempo non sono cambiato» • «Lui è un magistrato che si è esposto davanti alle due grandi minacce alla democrazia italiana: terrorismo e
mafia» (Nando Dalla Chiesa).


Ricordi Quella volta che per partecipare a un incontro organizzato da don Luigi Ciotti,
a Corleone, viaggiò sdraiato sul sedile posteriore di una macchina issata su un camion che
trasportava automobili. «Il Procuratore capo di Palermo costretto a spostarsi come un latitante (o forse
peggio)». [afl]


Tifo Il Torino: «Mio padre aveva un amico comunista, operaio come lui, uno che girava con l’Unità in tasca quando una certa connotazione era sgradita a molti, era per molti
pesante. è lui che mi ha portato a vedere le prime partite dei granata, è lui che mi ha fatto diventare del Toro: perché vedendo lui, tifosissimo, associavo l’idea della squadra in quei calcisticamente difficili suoi anni Cinquanta alla
lotta per sopravvivere, alla voglia e spesso alla necessità di essere contro, allo spirito comunque trasgressivo».



Libri Ha pubblicato Un magistrato fuori legge (2005), A un cittadino che non crede nella giustizia, con Livio Pepino (2005), L’eredità scomoda, con Antonio Ingroia (2001). Non si separa mai dai Racconti di Chechov e da La montagna incantata di Thomas Mann («La tecnica non è sufficiente a formare un magistrato»). «E poi le storie di Andrea Camilleri, un vero godimento intellettuale che nei
miei anni a Palermo si sono anche rivelate un aiuto vero, prezioso nel lavoro
quotidiano, per comprendere certi lati della psicologia siciliana e non solo». [Paola Bellone]