Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
DELBONO
Pippo Varazze (Savona) 1959. Attore. Regista. Autore • «Ha cominciato quando aveva 5 anni e faceva Gesù Bambino nel teatrino della parrocchia. Ha vissuto on the road sulle strade d’Italia e del mondo, ha studiato teatro in Oriente, nel mitico Odin Teatret in
Danimarca, a Wuppertal con Pina Bausch. È “residente” nello Stabile di Emilia e Romagna. I suoi spettacoli si chiamano La Rabbia, Barboni, Il silenzio, Gente di plastica, L’Urlo. In Italia, dice Delbono, “sono passati quasi inosservati”. Ma riempiono le sale del mondo, soprattutto francesi. Parigi, luccicante e
snob, gli ha offerto per un mese uno dei suoi teatri più belli. E gli intellettuali di destra e di sinistra si sono messi in coda. Il
teatro, dice Delbono, “dev’essere un luogo di verità: sogni, amore, rabbia, poesia. Gli uomini, così come sono”» (Cesare Martinetti) • «Io nasco in un paesino piccolo della Liguria, ho fatto il chierichetto e il
boy-scout, a tre anni e mezzo ero un Gesù Bambino coi riccioli biondi. Madre insegnante, papà segretario d’ospedale (dopo aver deposto il violino, lui forse discendente di Paganini). Io
amavo il teatro. Ho lasciato Economia e commercio a quattro esami dalla laurea.
Ho condiviso arte, viaggi ed esperienze con un grande amico divenuto
tossicomane, stroncato giovane. Un trauma. Nell’89 mi sono scoperto affetto da una malattia grave, con conseguente esaurimento
nervoso. Pur figlio di madre cattolicissima, ho scelto un’altra spiritualità (lei mi diceva “Tutto passa perché Dio perdona” e andava a Lourdes). Ho avuto bisogno del teatro. Ho fatto pratica di nascosto,
sono stato un ribelle in un corso del polacco Ryszard Cieslak, ho incontrato
Pepe Robledo in un seminario, ho fatto un training all’Odin in Danimarca, da noi ho dato ripetizioni in una scuola per cuochi, ho
frequentato danza, a Farfa ho dato grande fiducia a due donne, la Bausch e la
Rasmussen, forti ma anche fragili. Gli uomini sono più chiusi, hanno paura di restare feriti, ma io amo il maestro che sa piangere,
come in
Madadayo di Kurosawa. Feci proposte anti-Odin, a base di Blues Brothers, Laurie
Anderson, Janis Joplin. Pina Bausch mi disse “Segui la tua strada, tu sei un creatore”. Poi, anni dopo, mi ha voluto a Wuppertal con Barboni, accanto a Baryshnikov e
Forsythe. Nel frattempo ero andato in Sud America, nei villaggi indios, per
trovare lo spirito della gente comune, che veniva allo spettacolo dopo essere
andata a messa. Anni duri, con la malattia che m’aveva causato un’infezione al midollo, da non farmi camminare. Ma fare l’attore e impostare temi e storie era tutto. Ne
La rabbia mi servì molto la coscienza del Pasolini uomo anche incoerente, diverso, ma mai di
lobby. E poi m’hanno riscattato i diseredati, l’animalità dei miei attori-compagni» (da un’intervista di Rodolfo Di Giammarco).