Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
PAVAROTTI
Luciano Modena 12 ottobre 1935. Tenore. «A 12 anni rimasi in coma per 15 giorni. Fu lì che cominciai a ringraziare Dio, perché c’ero ancora. Tutto il resto è stato secondario» • Il padre Fernando era fornaio: «Da ragazzino era sempre in negozio e mangiava, mangiava... il pane, lo gnocco e
la pizza, quando la facevamo» • «Io non sono goloso, sono incontinente, mangio a ruota libera e siccome ho lo
stomaco di ferro, mangio il doppio, il triplo delle calorie che mi servono.
Preferisco i primi piatti, la pasta, i tortellini, i maltagliati, gli gnocchi.
La mia nonna, la mia mamma e le mie zie me li facevano sempre e mi davano un
gran piacere, perché il cibo è una cosa bellissima» • «Quando sono nato, mia nonna aveva 38 anni, e mia madre 23, le zie 16 e 18, e c’era pure la bisnonna sessantenne» • «“Quando Pavarotti nacque Dio gli baciò le corde vocali”, scrisse il critico del New York Times che aveva appena assistito all’esordio del tenore al Metropolitan Opera House di New York ne La figlia del Reggimento di Donizetti. Era il 72 e Pavarotti aveva illuminato quella notte newyorkese
infilando uno dopo l’altro gli otto “do di petto” della partitura dell’aria Amici miei che allegro il giorno. Ma il cantante modenese fece qualcosa di più. Infatti, agli otto “do” ne aggiunse un altro, tutto suo, preso per la coda, al termine di un vocalizzo
infinito. Il pubblico del Metropolitan restò folgorato da quell’italiano, ci furono venti minuti di applausi a scena aperta. Come quel nono “do di petto” disegnato a capriccio fuori dal pentagramma, Pavarotti ha condotto la sua
carriera sempre un po’ al di sopra delle righe, riuscendo a stupire sia gli ammiratori, sia i critici,
infastiditi dai tanti azzardi di chi, al culmine della carriera, ha trascinato
la lirica sui prati dei parchi cittadini. E i puristi del bel canto ebbero il
modo di storcere il naso quando, nel 92, Pavarotti pensò di unire insieme stili musicali ritenuti incompatibili, nell’ambito di un grande concerto a scopo benefico. Battezzò la manifestazione con il nome di
Pavarotti & Friends. Da allora, tutte le più grandi star della musica hanno duettato con Big Luciano» (Sabina Pochetti) • «I ricordi più belli? Il momento che ti dice: sei un tenore. Cioè il mio debutto, 29 aprile 61, a Reggio Emilia. Ero Rodolfo in Bohème, diretto da Molinari Pradelli. Un trionfo. Poi l’incontro con Karajan, che mi guidò come la chioccia guida un pulcino. Conservo ricordi splendidi anche dei teatri
di New York, Londra, Vienna, Parigi... Oggi nessuno prende rischi. Io invece...
Mi chiamavano The Challenger. Facevo un’opera sconosciuta, incidevo un disco di arie non note, cantavo Rigoletto quando nessuno voleva farlo» • «Mi vergognerei di chiedere più di ciò che ho. Ma dovendo far finta di non avere ricevuto niente, direi che vorrei
essere un grande pittore o un grande medico. Però un sogno canoro ce l’avrei. Un duetto con Mina: ho tentato invano di convincerla. Casomai in disco.
Forse, chissà. Nel frattempo mi onoro di esserle amico» • «A chi mi attacca per il crossover chiedo: sono più brutte le canzoni di Eric Clapton o opere scritte oggi da qualcuno che evita la
melodia perché glielo impone la modernità? Quando canto capolavori di canzoni come Caruso o Miserere mi sento bene. Con Pavarotti and Friends mi sono divertito facendo musica che
considero molto seria» • La sua fortuna più grande, dopo il dono della voce? «Vivere tra le donne. Madre, zie, nonna, bisnonna, sorella. Mia moglie Adua, le
mie cognate, le nostre figlie. Poi Nicoletta» (da un’intervista di Leonetta Bentivoglio) • I primi a credere in lui furono i genitori: «La mamma. Anche il papà era un tenore e tra noi c’erano solo vent’anni di differenza. Lui non era riuscito ad affermarsi per la strada maestra.
Credeva in me, certo, ma mi diceva: intanto parti, vai a Roma a studiare, per
il canto c’è tempo. Ma la mamma ebbe un presagio, lei ne aveva sempre. Che vada a Roma, ma
mandiamolo anche da Pola che è un tenore bravissimo, male non gli farà di certo. E così è stato. Ma lo sa lei quante tribolazioni ha dovuto patire papà? Era un corista e aveva i suoi amici-nemici. Qualcuno arrivò persino a dirgli: Fernando, ma è vero che paghi per far cantare tuo figlio? Lui questi signori non li perdonò mai. A Modena, storicamente, ci sono due cantanti, Mirella Freni (che era ai
funerali di Fernando Pavarotti) e io. Ma all’inizio ci hanno strigliato, sapesse… Dicevano: dove vogliono arrivare quei due con quelle vocine lì?» (da un’intervista di Giuseppe Videtti)
• Nella Bohème del debutto (29 aprile 61) «Luciano cantava con la Carteri e il marito era geloso pazzo perché Luciano in scena la baciava. “La baci troppo”, gli disse, “e Rosanna non può cantare”» (testimonianza del padre Fernando) • «Il personaggio che mi assomiglia forse di più è Rodolfo della Bohème» • «Si è sempre lamentato di esser più amato a Londra e Los Angeles che a Milano. Per non parlare di Parma, la culla
dell’opera, dove c’è gente che alla domanda “che fai stasera”? risponde “a vag a teater par fis-cèr al tenor”, vado all’opera a fischiare il tenore. Cioè lui, tenore per antonomasia. E i critici, stessa pasta: contano le stecche, le
amnesie, i salti di corsia (“sono malato, non vengo a Madrid, canto a Roma”), registrano i fischi. Che faccia Cavaradossi come Nemorino e Nemorino come
Rodolfo e tutti e tre come Caruso quando lo imita Lucio Dalla, per lui non c’entra. “Campano parlando male di me”» (Dante Matelli)
• «I giornalisti? Ricordo cosa mi disse il presidente Pertini: “Pavarotti, non si faccia mai nemico un giornalista”, ed è vero. Se dicessi che quel tale critico per le cose che ha detto di me è un emerito eccetera eccetera, avrei il primo piede nella fossa. E comunque per
farsi conoscere oggi ci sono i dischi, i concerti, la tv. Una volta contavano
solo i giornalisti: nel 65, quando ho debuttato alla Scala, il loro giudizio
era indispensabile. Alle 4 del mattino noi cantanti andavamo davanti al
Corriere per leggere le critiche e se era no, era no»
• L’ex manager Herbert Breslin lo descrive «come un ragazzino petulante, che pretendeva di essere accompagnato dal dentista
anche quando lo studio medico stava ad una strada da casa sua. Temeva il cibo
cinese, e quindi durante una visita nel “Regno di mezzo” si portò dietro un intero ristorante per sfamarlo. Per chiamare i suoi collaboratori
usava l’appellativo confidenziale “stupido”, e definiva Nicoletta Mantovani, sua attuale moglie e madre della figlia Alice,
“la favorita nel mio harem”. Era così attento al decoro, che nello sfortunato debutto sullo scherno con la commedia
Yes, Giorgio, “non voleva fare nulla che permettesse alla gente di ridere di lui. Visto che era
il protagonista di uno spettacolo comico, questo divenne subito un problema
piuttosto serio”. Secondo Breslin, quando nel 67 aveva conosciuto Pavarotti, il tenore era già un cantante eccezionale. Però non sapeva stare sul palco, era sconosciuto fuori dal mondo dell’opera, ed era così ingenuo da non riuscire a muoversi nel feroce business della musica. Lui, l’agente, si era assunto volentieri il compito di “guidarlo”, facendo salire i suoi compensi da 5.000 dollari a sera fino ad un milione, ad
esempio per i famosi concerti dei
Tre tenori. Lo aveva reso popolare oltre i confini abituali dell’opera, portandolo dai concerti al Madison Square Garden fino agli spettacoli
televisivi come The Tonight Show, e agli spot pubblicitari per l’American Express. Soldi e fama come non si erano mai visti prima in questo
mondo. Breslin ha “guidato” anche Placido Domingo, le soprano Elisabeth Schwarzkopf e Joan Sutherland,
Marilyn Horne, Itzhak Perlman, Leonard Slatkin, Georg Solti, e non è tenero con nessuno. Domingo, per esempio, “si sogna di essere Pavarotti: non ha mai avuto una voce come lui”. Il suo bersaglio preferito, però, resta Pavarotti, “ragazzo molto bello, semplice, amorevole, che è diventato una superstar molto determinata, aggressiva e in qualche modo
infelice”» (Paolo Mastrolilli)
• Il 14 luglio 2001 fu applaudito da 65.000 ad Hyde Park: «La traslazione di Pavarotti sul palco avviene come quella di Giovanni Paolo II
durante il suo storico pellegrinaggio in Ucraina: su un montacarichi. I motivi
in questo caso, però, sono esclusivamente contrattuali. Per non compromettere il rendimento delle
sue preziose corde vocali, gli avvocati dell’artista hanno stabilito che quando si deve esibire non deve percorrere a piedi
una distanza maggiore di 10 metri» (Renzo Cianfanelli)
• A Berlino per Elisir d’amore (primavera 95) fu chiamato alla ribalta 165 volte, gli applausi durarono un’ora e sette minuti, «alla fine hanno smesso perché mi scappava la pipì e mi sono nascosto nei cessi» • Ha avuto qualche problema col fisco (compreso un processo in cui è stato assolto). Il magistrato Manfredi Luongo lo accusò addirittura di “eversione”: «Lui è proprio un nemico. Non gli auguro niente di male, solo di avere un nemico come è stato lui per me. Avevo patteggiato e pagato, multa compresa, come altri nelle
mie condizioni, e ho dovuto sentirmi dire che dovevo andare anche in galera, io
solo» • Dal dicembre 2003 è sposato con Nicoletta Mantovani (34 anni più giovane), dalla quale ha avuto la figlia Alice. Altre tre figlie dalla prima
moglie Adua Veroni (con cui è stato sposato 35 anni e che ha convinto al divorzio solo dividendo un
patrimonio stimato in centinaia di milioni di euro). «Sono diventato prima nonno e poi papà, di nuovo» • «Mirella Freni, ecco una donna amica. Insieme abbiamo fatto tutto, tranne l’amore. Stessa città, stessi maestri, la fortuna di lavorare con Karajan. Le altre? Esigono rispetto
e qualcosa di più. Perché sul palco noi sudiamo, puzziamo di mastice, le abbiamo tutte, e se non riesci a
idealizzare una persona, il soprano, che non è sempre bella, come fai a esprimerti come innamorato? Perché il tenore è l’innamorato» (da un’intervista di Cesare Fiumi)
• «Il pubblico. è amico perché è leale. Alla Scala mi hanno fischiato due volte, secondo me mai per colpa piena,
diciamo per concorso di colpa, questo sì. Il Don Carlos non lo considero, ma dopo quella Lucia di Lammermoor mi dissi: qui non vengo più. Invece tornai per Aida e il Corriere titolò: “Celeste Luciano”. Il pubblico dice sempre la verità» • «Sono sempre ottimista e mi dispiace che la gente veda sempre il bicchiere mezzo
vuoto anziché mezzo pieno. Purtroppo, quando uno è ottimista, viene sempre considerato un sempliciotto. è vero che ci sono tantissimi problemi nella vita, ma io credo che vi siano anche
tantissime soluzioni» (da un’intervista di Alain Elkann) • Martedì 4 luglio 2006 è stato operato, allo Sloan Kettering di New York, per un tumore maligno al
pancreas. A operazione conclusa ha rassicurato i giornalisti: è stato preso allo stadio iniziale e non ci sono ulteriori pericoli.