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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

RIVERA

Gianni Valle San Bartolomeo (Alessandria) 18 agosto 1943. Ex calciatore. Politico.
Eurodeputato • Lanciato dall’Alessandria (esordio in serie A non ancora sedicenne il 2 giugno 59), dal 60 al
79 al Milan, ha vinto tre scudetti (62, 68, 79), due coppe dei Campioni (63,
69), una Intercontinentale (69), due coppe delle Coppe (68, 73), quattro coppe
Italia (67, 72, 73, 77). Con la Nazionale ha vinto l’europeo del 68 ed è stato secondo ai mondiali del 70 (in tutto 60 presenze e 14 gol). Pallone d’oro 69, secondo nel 63 (dietro il leggendario portiere sovietico Lev Jascin), 6° nel 62, 7° nel 65, 8° nel 73, 9° nel 64 e nel 68, 10° nel 70, 16° nel 67, 18° nel 72. Intrapresa la carriera politica, nell’87 è stato eletto alla Camera dei Deputati (Democrazia Cristiana), rieletto nel 92,
94 (Patto Segni), 96 (
Ulivo). è stato sottosegretario alla Difesa dal 98 al 2001 (Prodi I, D’Alema I, D’Alema II, Amato II) • «è stato precoce, ma anche continuo, ha vinto il titolo dei cannonieri a 30 anni,
uno scudetto a 35. Quando ha esordito in serie A non aveva ancora 16 anni. L’apparizione del suo genio avvenne ai primi di giugno del 59, in un
Alessandria-Inter, penultima giornata del penultimo campionato che l’Alessandria avrebbe disputato in serie A. Dall’altra parte c’era Aristide Guarneri, poco più grande di lui, con cui avrebbe fatto tanta strada in Nazionale. “Ricordo poco di lui, un ragazzo gracile, che toccava bene la palla”. Meazza, quando lo vide, lo paragonò a se stesso. Gracilino. Ma certo, aveva meno di sedici anni in tempi in cui non
si “costruiva” il corpo. “Ma io correvo, a calcio se non si corre non si può giocare”. L’anno dopo, ancora con la maglia dell’Alessandria, segnò al Vomero un gol in slalom, saltando un paio di difensori del Napoli, e “appena dentro l’area calciai di destro e presi in contropiede Bugatti. Pedroni che era il
centromediano, il capitano e l’allenatore, venne ad abbracciarmi piangendo”. Certo i dribbling non li aveva fatti da fermo, ma intanto si portava dietro
quell’etichetta di minorato fisico. Glielo riconosce adesso anche Giovanni Lodetti,
quello che, si diceva allora, correva per lui. “Non era vero che non corresse: più semplicemente, al Milan avevamo capito che era comunque meglio farlo rimanere
lucido evitandogli di spomparsi”. Giocò le prime partite con il numero 9 sulla schiena, poi fu subito 10. L’Alessandria l’aveva offerto alla Juventus, ma era stato respinto appunto perché “gracilino”. Il Milan capì invece chi era quell’impassibile figlio di un contadino e lo prese per 90 milioni, cifra per allora
di una certa consistenza. Fu subito titolare dalla prima giornata, nella
stagione 60-61, con il 10 sulle spalle. è stato il leader di un gruppo di giocatori che negli anni 60 rinnovò il calcio italiano, la generazione che arrivò immeritatamente quarta alle Olimpiadi di Roma. L’Italia che non si era qualificata ai Mondiali 58, che viveva solo di Charles e
Sivori, rinasceva con lui e Bulgarelli. Il primo scudetto, a 19 anni (“Il ricordo più bello, una gioia particolare, ero giovane”), la Coppa dei Campioni a 20 anni, quando il “gracilino” strappò il pallone a centrocampo e lanciò due volte Altafini in contropiede contro il Benfica, a 21 anni capitano della
Nazionale (“ma perché si era infortunato Salvadore”), e poi a 26 la grande vittoria sull’Ajax, la seconda Coppa dei Campioni, con la famosa azione del quarto gol. Rivera
tentò di saltare il portiere e si allargò il pallone, troppo. Allora si fermò e mise a mezz’aria una palla sul palo lontano sulla quale si avventò Prati, che aveva capito tutto partendo cinque secondi e cinquanta metri prima.
A vederla, stupisce ancora il tocco perfetto con il quale Rivera mette il
pallone lì dove non c’è nessuno. Aldo Maldera raccontò una volta che Rivera gli disse: quando ho la palla, anche se io non ti guardo
scatta e io te la faccio trovare davanti. Maldera magnificava la precisione di
quei passaggi. Ma è vera questa storia? “è vera, ma nel senso che accadeva. Ma non ce lo siamo mai detto. è l’intesa che hai con i compagni che fa accadere queste cose”. Il miglior talento del calcio italiano ha avuto anche molti nemici. “C’era una cupola che decideva, tra giornali e federazione, gente per di più con una mentalità ‘federale’, nel senso del Ventennio. Una minoranza che aveva il potere e i suoi servi
sciocchi. Tutti i guai nascevano da lì. E il Milan allora non aveva peso politico, non aveva rapporti con questa
struttura”. Nella semifinale dei mondiali 70 contro la Germania fu il protagonista del
minuto più eccitante della partita più eccitante di tutti i mondiali azzurri. Era vicino al palo, avrebbe dovuto
impattare il colpo di testa di Müller. “Credevo che andasse fuori, cercai di deviarla con l’anca. Non mi venne neanche in mente di deviarla con il braccio”. Fu 3-3. Ma poco più di sessanta secondi dopo, il riscatto e l’Italia in finale, quando sul cross di Boninsegna scelse di prendere in
contropiede Maier. “Ebbi la visione del portiere che si spostava e si tuffava. Anche se poi non si
era ancora spostato e stava per prenderla! Più che una visione è stata una premonizione”. E fu 4-3. Quella finale Rivera non la giocò, la cupola gli concesse solo sei minuti all’Azteca, un affronto al talento e al buon senso. “Ma Valcareggi non aveva colpa, non è che sapesse cosa doveva fare. Cercava di restare a galla”» (Corrado Sannucci)
• «Ho avuto la fortuna di fare per mestiere quello che mi divertiva di più, cioè giocare a pallone. Ricordo che era la penultima giornata di campionato, che da
una settimana l’Alessandria s’era messa in salvo e che l’allenatore Pedroni decise di lanciarmi contro l’Inter. Ricordo pure di non essermi emozionato perché l’emozione non ha mai fatto parte del mio carattere, nemmeno da ragazzino. Abatino
è una definizione che Gianni Brera affibbiò a me, Mazzola e Bulgarelli. Loro due se ne infischiarono, mentre io risposi,
innescando una polemica. Andò a finire che l’unico abatino rimasi io, ma il termine non mi ha mai infastidito. Avrei potuto e
dovuto vincere molto di più. In parte fu colpa nostra, ma in parte dipese da scelte politiche nella stanza
dei bottoni. Più che un barricadero, comunque, ero uno che cercava di ragionare e riteneva di
poter esprimere le proprie opinioni perché, oltre ai piedi, possedeva una testa, nel senso del cervello. Quando l’ho fatto, ero consapevole di dover affrontare tutte le conseguenze. La pressione
di una “cupola” di giornalisti dell’epoca che mi vedevano come il fumo negli occhi. Dicevano che fossi poco mobile.
Con Mazzola ci sono sempre stati rispetto e stima reciproca, mai amicizia,
perché all’epoca era impensabile che i capitani di Milan e Inter si frequentassero. In
Nazionale, però, legavamo benissimo perché possedevamo caratteristiche diverse. Dopo il ritiro ho passato i primi due anni
quasi in trance prima di abituarmi a un’altra vita. Mi hanno aiutato il tennis, qualche partitella fra amici e poi il
matrimonio e i figli» (da un’intervista di Mario Gherarducci)
• «L’uomo che mi manca di più è Rocco. A volte mi manca fisicamente, perché con lui avevo un rapporto straordinario. Spesso mi accorgo che uso le sue
frasi, penso a quello che potrebbe dire lui e mi vengono in mente tutte le sue
espressioni. Rocco per me è stato uno di famiglia. Mi sento un tifoso del Milan fino a quando i risultati
non vengono sfruttati dal suo presidente a titolo personale» (da un’intervista di Alberto Cerruti)
• «L’Alessandria mi cedette al Milan nel 60. Volevano darmi tre milioni a stagione,
firmai per nove. Nel 79, al passo d’addio, viaggiavo sulla settantina, lira più lira meno. Da piccolo ero gracile e timido. Piano, piano ho messo su ciccia e
artigli. Devo molto a mio padre, Teresio. Faceva il ferroviere, votava
socialista. Mi ha insegnato ad anteporre gli ideali alle ideologie. Nel 68, con
Sergio Campana, Giacomo Bulgarelli, Sandro Mazzola e altri fondammo il
sindacato calciatori. Ecco, gli eccessi sessantottini non li ho mai capiti. E
pure i traumi di Tangentopoli mi hanno lasciato perplesso. Avrei preferito
sbaragliare la vecchia politica con metodi meno cruenti. Per esempio, a colpi
di referendum» (da un’intervista de La Stampa).