Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
COLOMBO
Emilio Potenza 11 aprile 1920. Politico. Senatore a vita (nominato nel 2003 da Ciampi in
sostituzione di Francesco De Martino). È stato presidente del Consiglio, più volte ministro (Finanze, Tesoro, Industria, Bilancio, Agricoltura, Esteri) e,
grazie al suo impegno europeista, presidente del Parlamento di Strasburgo • «A soli ventisei anni il dottorino delle Acli varcava per la prima volta il
portone di Montecitorio per partecipare ai lavori della Costituente. Indossava
un abito modesto nella stoffa, ma di buon taglio. Arrivava da Potenza, cuore
della Lucania povera e dignitosa — così si sarebbe detto una volta — che per quasi mezzo secolo non gli volterà mai le spalle. Alle elezioni europee del 79 il neosenatore a vita raccolse
oltre ottocentomila preferenze. Una messe di voti insuperata. Quella sua faccia
da “chierichetto di campagna” incorniciata dagli occhialetti di metallo chiaro finì subito per colpire l’attenzione del vecchio Francesco Saverio Nitti. “Quel Colombo volerà”, osservò l’altro quarto di nobiltà della politica italiana di allora, Vittorio Emanuele Orlando. Ma ad aver visto
giusto sul ragazzo di casa Colombo era stato soprattutto Don Vincenzo D’Elia. Un sacerdote dalle idee moderne, almeno per l’epoca, che aveva avviato il pio Emilio sulla strada impervia dell’impegno politico. Da chierichetto a cardinale laico. Una lunga parabola per lui.
Che una volta Alcide De Gasperi definì, chissà poi perché, “un vulcano freddo”. Spiegò il diretto interessato: “De Gasperi aveva una certa immagine dei meridionali: intelligenti, vivaci,
esuberanti, clamorosi. Credo gli facesse impressione il mio contegno piuttosto
riservato...”. Di tempo ne È trascorso davvero tanto per quello che una volta si sarebbe chiamato un
democristiano di lungo corso. O, meglio, un doroteo con un solo hobby: la
politica. E basta. Doroteo dal passo felpato e dal tono della voce soave,
spesso incrinata da un fastidioso raschietto, È capace di sfuriate repentine e violente. Ne sanno qualcosa tutti i diccì, a cominciare dal suo ex allievo Angelo Sanza, che in Lucania hanno tentato di
scalfire il suo enorme potere. Una volta affrontò a muso duro il segretario Ciriaco De Mita: “Cirì sara una coincidenza ma ogni volta che c’È di mezzo Andreotti io non faccio mai il ministro degli Esteri”. Poco incline alle rivelazioni e ai pettegolezzi anche quando È storia passata, paradossalmente, spesso si lamentava di non essere stato
interpellato su quella questione e/o quella persona. Ma al cronista, che una
volta gli sollecitava un ricordo sul presidente di Mediobanca, Enrico Cuccia,
appena scomparso e da lui frequentato assiduamente ai tempi in cui guidava il
Tesoro, replicò ancora una volta alla sua maniera: “Ma tu che vuo’ da me”» (Fernando Proietti)
• «Suo il record di preferenze di tutti i tempi: alle elezioni del 72 oltre il 70
per cento dei voti Dc portava il suo nome sulla scheda (gli altri cavalli di
razza, Moro Fanfani e appunto Andreotti, oscillavano tra il 39 e il 41 per
cento). Uno dei rari politici cui pure Indro Montanelli riconosceva una
dimensione internazionale, a cominciare dalla padronanza dell’inglese e dell’economia, e che nel contempo padroneggiava il collegio e l’apparato con meticolosità» (Aldo Cazzullo)
• Coinvolto in un caso clamoroso nel novembre 2003: il costruttore Giuseppe
Martello, arrestato per spaccio di cocaina, coinvolse nella sua vicenda
personale due militari della guardia di finanza, a loro volta messi subito in
cella. I due militari facevano parte della scorta di Colombo e per scagionarli
il senatore a vita si presentò ai due pm Giancarlo Capaldo e Carlo Lasperanza e rilasciò la seguente dichiarazione: «La cocaina di Giuseppe Martello era per me. Sono un assuntore da non molto, non
più di un anno, un anno e mezzo. I due militari non sapevano assolutamente niente,
telefonavano soltanto ma non erano a conoscenza di che cosa si trattasse.
Assumo cocaina per ragioni terapeutiche». La deposizione finì sui giornali, fatto che Colombò stigmatizzò come «vergognoso».