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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

FAZIO Fabio Savona 30 novembre 1964. Conduttore tv (Che tempo che fa) • Laurea in Lettere (110 senza lode) con una tesi su Elementi letterari nei testi dei cantautori italiani

FAZIO Fabio Savona 30 novembre 1964. Conduttore tv (Che tempo che fa) • Laurea in Lettere (110 senza lode) con una tesi su Elementi letterari nei testi dei cantautori italiani. Figlio di statali. «Mia madre ancora adesso si vergogna un po’ che io faccia televisione. Dovevo fare l’avvocato. M’iscrissi a Legge, anche se volevo fare Lettere. A scuola (Liceo classico Gabriello Chiabrera — ndr) ero piuttosto bravo, studiavo, non pensavo affatto a diventare presentatore. Sapevo solo questo: che a Savona non sarei rimasto. Avevo una vita normale, non mi mancava niente, sveglia la mattina, scuola, pranzo, riposino fino alle quattro, studio fino alle sette, Happy days, cena, ripasso, sonno. D’estate le vacanze, tutti i giorni gli amici, dormire in camera col fratello più piccolo di sei anni, un fratello che io comandavo, rimproveravo, d’altra parte mio fratello era alto, atletico, forte, mentre io… all’ultimo anno mi esonerarono da ginnastica... Insomma, ero certo che me ne sarei andato, a Savona cosa potevo ottenere? La stessa vita che già conoscevo, al massimo con qualcosa in più. Ma non pensavo alla televisione, per niente. Più che altro lavoravo alle radio di Savona, sa come sono le radio locali, si fa di tutto, si apre la porta a chi suona e poi si va in voce a fare le imitazioni o a mettere musica. Ma era un gioco, quando ho cominciato avevo solo sedici anni. Radio Vecchia Savona, Radio Golfo Ligure. No, sa cosa pensavo piuttosto? Che avrei fatto il giornalista. Per i Mondiali dell’82 la Nazionale venne ad allenarsi ad Alassio. Con quest’idea di voler fare il giornalista andai con un amico mio che si chiama Paolo Foti a cercare di ottenere un accredito. Otteniamo questo accredito, che però vale solo per la mattina. Senonché, mettono la conferenza stampa al pomeriggio. Disperazione! Sa che facemmo? Entrammo dentro la mattina e quando vennero chiusi i cancelli e fatti uscire i giornalisti, ci nascondemmo in una siepe e restammo dentro. Così per tre o quattro ore, come Tom Sawyer e Huck Finn, acquattati tra i cespugli. E non perdemmo la conferenza stampa. Poi arrivò la Rai… Nell’82 la Rai, per fronteggiare l’ascesa di Berlusconi, organizzò un concorso alla ricerca di nuovi talenti. Beh, ci andai. Non avevo nessuna speranza, ma volevo vedere gli studi. Mamma mi mise il maglione a rombi girocollo e mi stirò i calzoni alla perfezione. Papà mi accompagnò con la 124 azzurra. Il provino si svolgeva nella sede Rai di Genova, corso Europa. Entriamo e in anticamera c’è un sacco di gente disinvolta, abbronzata, ragazzi e ragazze sicuri di sé, forse addirittura mezzi professionisti, parlavano ad alta voce, insomma antipatici, mi facevano sentire un bambino di dodici anni... Mentre io di anni ne avevo diciassette… Quando arriva il mio turno, mi siedo davanti a una scrivania e dall’altra parte c’erano Bruno Voglino e Guido Sacerdote. Voglino era molto materno, da allora lo chiamo mamma. Mi chiesero cosa sapevo fare. Io tirai fuori le voci, cioè le imitazioni. Imitavo gente a cui gli altri non pensavano, cioè Pertini, Paolo Rossi, Gilberto Govi. Voglino diceva “bravo, bravo”, Sacerdote invece scuoteva il capo e faceva: “Ma se non gli somiglia per niente!”. Lo faceva apposta. In realtà li avevo colpiti, soprattutto perché i personaggi imitati erano strani. In ogni caso, non ci pensai più perché avevo ottenuto quello che volevo, vedere la Rai. Tre mesi dopo mi fecero rifare un provino a Roma — a questo punto gli abbronzati della prima volta erano spariti — e alla fine mi mandarono un telegramma: “La informiamo che la Rai si riserva di utilizzarla per le sue prossime produzioni televisive”. Sulle prime ero al settimo cielo. Poi, guardando meglio, pensai: perché “si riserva”? Se avessero voluto prendermi davvero, avrebbero scritto: “La Rai la utilizzerà”. Dunque, mi hanno bocciato e me lo dicono in questo modo cortese. Presi il telefono e chiamai Voglino, per sapere che interpretazione bisognava dare a quel messaggio. Voglino si mise a ridere, tutto allegro mi disse: “Ma va là, ti abbiamo preso e ti chiameremo, sai quanti eravate all’inizio? Ottomila. E sai quanti siete adesso? Dieci”. Tra questi dieci c’erano Chiambretti, Iacchetti, Cecchi Paone, Faletti, Tedeschi, Poggi. Mi chiamarono in autunno per fare l’ospite in Pronto Raffaella. La mamma mi vestì così: abito grigio cangiante, capelli lunghi, cravatta di pelle blu. Il Secolo XIX, nella sua pagina di Savona, fece il titolo: “Un savonese in tv!” Poi cominciò la cosiddetta gavetta, che a me però pare quasi di non aver fatto. Il programma della Goggi, la radio... Mi chiamò pure Berlusconi. Mi offrì 150 milioni per andare a fare Risatissima e Drive in. In Rai prendevo 80 mila lire a puntata, ma dissi di no. Pensai: qui sto come in una famiglia e poi, dopo il Drive in, che cosa mi faranno fare? Diciamo che la indovinai. Però, quando arrivò Guglielmi venni praticamente licenziato. Avevo il contratto d’esclusiva, il che significa che, anche quando non lavori, ti mandano a casa regolarmente un assegno. A un certo punto questo assegno non arrivò più. Andai a chiedere, e alla fine mi ritrovai davanti a Guglielmi, direttore di Raitre. Il quale, molto brutalmente, disse queste testuali parole: “Fazio, la rete non ha più intenzione di utilizzarla”. Non rientravo nelle sue strategie, non corrispondevo alla tv che voleva fare. Non gliel’ho mai perdonata, lo considero con Freccero il più grande uomo di televisione in circolazione, ma non riesco a perdonargliela. è vero che è lui che poi m’ha recuperato e m’ha fatto fare Quelli che il calcio e in questo c’è naturalmente della grandezza, perché ha saputo ricredersi. Io ero finito su Odeon tv a fare una trasmissione di intrattenimento sportivo che possiamo considerare un precursore di Quelli che il calcio (si chiamava Forza Italia — ndr). L’inventore del programma però è Marino Bartoletti che mi vide su Odeon e mi chiamò. Io m’ero fatto le ossa al talk-show alle feste di Cuore con Davide Riondino e Michele Serra» • Tra i numerosi programmi televisivi realizzati in seguito ricordiamo Diritto di replica (1991, con Sandro Paternostro), Anima mia, con Claudio Baglioni, rievocazione degli anni Settanta (96: con Baglioni ha anche condotto, nel 99, Ultimo valzer, rievocazione del secolo attraverso ospiti famosi) e soprattutto Quelli che il calcio, una vera invenzione televisiva, andata in onda su Raitre a partire dal 1993 e capace dopo poche puntate di mettere in difficoltà (in termini di share) sia Domenica in di Raiuno che Buona domenica di Canale5 • Ha condotto il Festival di Sanremo nel 1999 e nel 2000, facendosi affiancare da Renato Dulbecco e Laetitia Casta il primo anno e da Luciano Pavarotti, Teo Teocoli e Ines Sastre il secondo. A Sanremo era già stato nel 95, come inviato del Dopofestival • «Enrico Vaime dice che, quanto ad ansia, solo Maurizio Costanzo batte Fabio Fazio. Ma Costanzo ha questo sistema, ben noto: cerca di farsi amici tutti quelli che può. L’ultima volta ci accolse con la domanda: “Ma io e te insieme nun famo gnente?” Fazio non si permetterebbe mai: è in effetti buonissimo, buono fino all’autolesionismo. Quando alla fine ci siamo salutati, mi ha raccontato che ben due volte i giornali gli hanno fatto lunghe interviste senza poi pubblicarle. Non aveva attaccato nessuno, anzi aveva elogiato tutti e questo ai giornali non va giù. Sul Messaggero smise di scrivere perché non riusciva a dir male dei programmi che non gli piacevano. E al contrario, se i giornali lo attaccano, se qualcuno lo critica, sta male: dissero (falsamente) che la sua villa di Celle era abusiva e gli venne la pittiriasi. Panorama, l’anno scorso, provò invano a fargli le pulci (figurarsi: è un santo) e ancora ne parla con indignazione. E perfino la battutina di uno spettatore al cinema, che, seduto nella fila di dietro, rispose all’amico che gli diceva “Vedi? C’è Fazio!” con un sonoro “E chi se ne frega”, lo fece star male, prese subito a cantare la litania che la moglie Gioia deve conoscer bene, quella secondo cui bisogna sparire, bisogna nascondersi, bisogna fuggire da questo mondo brutto e televisivo» (Giorgio Dell’Arti) • «Sono diessino, stimo moltissimo Veltroni, non capisco la storia del buonismo, cosa sarebbe il buonismo?, il contrario del cattivismo? E come si potrebbe essere cattivisti? Del resto, non ho mai fatto la collezione delle figure Panini e non capisco questa mania di voler mettere a tutti i costi uno contro l’altro D’Alema e Veltroni. Veltroni rappresenta la sinistra che abbiamo sempre sognato e mentre lo affermo dichiaro anche che D’Alema è uno statista clamoroso, importantissimo, bravissimo. Inoltre mi piace il servizio pubblico. Credo fermamente nel servizio pubblico. E non nel servizio pubblico ridimensionato, tipo una sola rete senza pubblicità, eccetera. No, credo nel servizio pubblico forte, tre reti, tanti soldi, programmi forti, i migliori giornalisti, conduttori, cantanti, sceneggiatori, autori. Una squadra che solo il servizio pubblico può mettere in piedi. Solo così si può modellare il gusto del pubblico all’arte, alla letteratura, alla musica, col linguaggio della tv naturalmente e senza fare della noiosissima pedagogia. E poi per educare al rispetto, alla cultura, al tono basso di voce, alla tolleranza. Chi vuole che formi l’anima di un paese se non la televisione?» • Interruppe Quelli che il calcio per andare a Tmc a fare un programma che poi, col cambio di proprietà della rete (passata da Cecchi Gori a Telecom), non si è realizzato (2001). è stato consolato con una liquidazione plurimiliardaria (in lire) • Adesso ha un crescente successo, secondo un andamento che ricorda la storia di Quelli che il calcio, il programma Che tempo che fa in onda il sabato in prima serata su Raitre: «Nessuno può negare che per numeri e per influenza, Che tempo che fa sta diventando, una settimana dopo l’altra, il vero potenziale Porta a porta della tv postmoderna di sinistra, l’antisalotto e pure l’antisalotto e mezzo» (Paolo Martini), «La verità è che ormai vanno tutti da Fabio Fazio, non più da Bruno Vespa. Benigni e Nanni Moretti, ricomparso dopo ventuno anni di assenza, e poi Rossana Rossanda e Walter Veltroni e Gianfranco Fini, che ammette di essersi fumato, pure lui, una canna: tutti vanno nella nicchia, in un orario tremendo, tra tigì, pacchi e Gabibbi, su Raitre, con la scusa del programma di previsioni meteorologiche, mentre lentamente — con la forza inarrestabile di tutti i fenomeni televisivi — Che tempo che fa è chiaramente diventato un palcoscenico di culto, audience in crescita, fotografi in studio, e lui, Fabio Fazio, quello che il calcio ormai lo fa ridere, quello che cantava Anima mia con Claudio Baglioni, quello con il nodo della cravatta troppo piccolo e provinciale, sta lì nella parte dell’intervistatore garbato e (quasi?) sottotono, ironico, impacciato (sul serio?) e sempre lusingato (possibile non si sia abituato alle celebrità?). Comunque vanno da lui. “Perché è bravo e — dice l’ex consigliere di amministrazione Rai, Marcello Veneziani, vicino ad An — perché ormai è chiaro che si candida ad essere il gran cerimoniere dell’Unione”. Appunto. E a un patto, però: “Che non diventi — auspica Sandro Curzi — come Bruno Vespa. Sarebbe talento sprecato”» (Fabrizio Roncone) • «Fabio Fazio non piace a nessuno. Non ai dalemiani, che lo trovano tutto figurine dei calciatori e sigle dei cartoni e insomma entelechia del veltronismo. Non a tutto-il-resto-della-sinistra, che sa bene che Fabietto è un insospettabile dalemiano. Non a destra, e figuriamoci: lì non piace mai nessuno che abbia più successo dei conduttori di destra e, siccome anche il monoscopio ha più successo dei conduttori con cui la destra fa goffi tentativi di riempimento dei palinsesti… Non piace a quelli che detestano Santoro, perché c’è solo una cosa peggiore di un conduttore che fa la lagna perché “questo è il tuo microfono ma io voglio il mio ridammelo a me che io te lo levo a te”, ed è un conduttore che prenda un sacco di soldi per levarsi di mezzo e poi se ne stia zitto, senza darci la possibilità di sbuffare perché fa la lagna. Non piace agli esegeti del chiambrettismo, quelli che “bisogna fare le domande scomode”, perché FF è troppo perbene ed educato e mellifluo e poco portato a mettere a disagio l’ospite, e imparasse piuttosto da Piero, uno che con le sue cattiverie a casaccio poi si ritrova con scarti di ospiti (cioè: con quelli disposti anche a farsi trattare a pesci in faccia pur di andare in tv) e costretto a scenette pornosoft per risicare un tristo 4 per cento. Fabio Fazio non piace a nessuno, e che sia rimasto l’ultimo — al netto dei reality — a fare la televisione, vale a dire un programma dove ci siano un paio di idee, e personaggi che non sono quelli che vedi in tutti (ma proprio tutti) gli altri programmi, ecco, che il suo programma sia una foca praticamente già estinta nei palinsesti italiani è cosa cui i commentatori hanno diritto di non interessarsi. I consiglieri d’amministrazione della Rai, però, no. Loro avrebbero il dovere di prendere Fazio da parte e di dirgli: “Tu non ci piaci, però adesso la smetti di fare il prezioso e ti smazzi cinque sere a settimana di seconda serata, invece di startene comodamente nascosto al sabato”» (Guia Soncini) • «Epigono della televisione abbastanza intelligente» (Pietrangelo Buttafuoco) • «In tutti i programmi a cui ha preso parte, ha confermato di avere la rarissima capacità di trasformare in meglio persone e cose a contatto con lui» (Aldo Grasso) • Vive a Celle Ligure (Savona), in una casa che Teo Teocoli ha giudicato «abbastanza sfigata» • Sposato con Gioia. Hanno adottato un bambino di origine ucraina.