Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
RANIERI
Massimo (Giovanni Calone) Napoli 3 maggio 1951. Cantante. (Vincitore del Festival di
Sanremo 87 con Perdere l’amore). Attore (Metello di Bolognini, La patata bollente di Steno, numerosi sceneggiati tv). Conduttore tv (nell’89 Fantastico) • Figlio di un operaio dell’Italsider, iniziò a 12 anni come cantante di matrimoni: «Sembra incredibile ma a spingermi a cantare in napoletano fu Vittorio De Sica:
venne in camerino, ero giovane, allora cantavo in italiano, fu un concerto
orrendo e quando lo vidi mi tremavano le gambe. Lui mi abbracciò, mi strinse la testa tra le mani e disse: “Figlio mio, ma come, tu che sei napoletano, e con la voce che ti ritrovi...”. Non me lo sono mai dimenticato» (da un’intervista di Gino Castaldo)
• «Nel 67 il primo successo, Pietà per chi ti ama, bissato due anni dopo con la storica Rose rosse; nel 70 e nel 73, i trionfi a Canzonissima, rispettivamente con Vent’anni e con Erba di casa mia. Quindi il teatro, Patroni Griffi, Scaparro, Strehler. Il cinema con Bolognini
e Lelouch. Il musical, la televisione, l’opera» (Rita Sala) • «Io ho cominciato a fare l’artista da molto piccolo, tutto mi è arrivato quasi naturalmente, una cosa dopo l’altra, a prezzo di tanto lavoro, ma anche con le scansioni giuste. Ho incontrato
gente che mi ha valorizzato» • «Aveva 18 anni quando, nel 70, iniziò a girare Metello; il regista lo aveva conosciuto a Catania due anni prima, lui faceva il
Cantagiro, Bolognini era sul set di Un bellissimo novembre con Gina Lollobrigida» (Alessandra Rota) • «Bolognini aveva deciso che la mia faccia era quella di Metello. Gli volevano imporre Belmondo, l’intellighenzia di allora era contraria ad un giovincello, per di più cantante, ma Bolognini mi rassicurava: “tanto il film lo fai tu”. Rifiutai Rosse rosse, mi avrebbero dato 20 milioni contro i due e mezzo che presi per il film da
Pratolini. All’inizio pensavo che Metello fosse un antico romano. Ero troppo giovane per capire
l’importanza di quello che mi stava accadendo, ma il mio destino di interprete è cominciato grazie a Bolognini. Poi abbiamo fatto Bubù e Imputazione d’omicidio per uno studente, film che lui non amava e che fu costretto a girare per esigenze di produzione.
Fu l’unica volta in cui si arrabbiò anche con me. Era inquieto, insoddisfatto» • «Metello lo vedevo come mio padre, che da bambino mi parlava di scontri e
scioperi, e per recitarlo riandavo a quei racconti, lo interpretavo d’istinto, con Bolognini che non mi dava molte indicazioni. Non ero un attore. Non
sapevo nemmeno quello che stavo facendo e ne ho preso coscienza lavorando sul
set. Man mano mi sorprendevo a mettere a fuoco la figura di Metello e
cominciavo a capire e dare un senso a quel che dicevo. Bolognini però, quando mi vedeva in difficoltà, mi incitava: “Dillo in napoletano, non ti preoccupare!”. Se esistesse ancora il sonoro originale, quello realizzato in presa diretta,
mi si sentirebbe spesso recitare le battute in napoletano. Tutto veniva più vero, anche se mi pareva mi costringesse a rompere quel giocattolo che stavo
costruendomi a fatica»
• «La mia vita si divide in tre: anni Sessanta, anni Novanta, forse il momento
culminante dopo la seconda esperienza con Strehler. Fu la consacrazione, e come
se mi avesse detto: ora sei un attore, hai la patente, io ti definisco come
attore e mo’ puoi andare in giro. Ora è la terza fase, in cui analizzo tutto quello che mi ha lasciato il passato» • «Cantare mi piace, ma cantare solo non mi basta. Ho rinunciato a diventare ricco
quando ho cominciato a recitare anche in teatro, abbandonando tournée internazionali, serate, comparsate in televisione e dischi incisi uno dietro l’altro. Non ho ville con la piscina né palazzi nel centro di Roma, ma sono contento perché ho capito presto che si poteva barattare la quantità con la qualità» (da un’intervista di Simonetta Robiony)
• «Mi piacerebbe non finire mai di esercitarmi nella disperazione dei produttori
che badano ai costi e vogliono andare veloci. Provare e riprovare è un sogno impossibile».