Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
GIMONDI
Felice Sedrina (Bergamo) 29 settembre 1942. Ex ciclista. Campione del mondo 73 (2° nel 71, 3° nel 70), ha vinto 3 Giri d’Italia (67, 69, 76), un Tour de France (65), Vuelta di Spagna (68),
Milano-Sanremo (74), Parigi-Roubaix (66), Giro di Lombardia (66, 73). «Fossi stato un po’ più utilitarista avrei vinto di più. Ma non era il mio carattere e poi non sarebbe piaciuto alla gente» • «E pensare che non avrei dovuto farlo quel Tour. Gli accordi erano: fai un Giro
alla grande e basta. Ma io in quel Giro arrivai terzo... L’entusiasmo era tanto. Pezzi e Salvarani mi dissero: fai qualche tappa, solo per
dare una mano ai compagni. Mancava Fantinato, un titolare, per un dolore al
ginocchio. Presi tempo: vediamo, dissi, parlo con papà... Ma dentro di me avevo già deciso. Vengo, dissi, però voglio ridiscutere il contratto. Mi accordai, e così fui fregato due volte. Immaginate quanto avrei potuto chiedere da vincitore del
Tour...». Una fuga clamorosa, la maglia gialla alla terza tappa, cinque giorni da
leader, poi la crisi a La Rochelle: «Pioveva, ci fu una caduta e rimasi attardato, persi la maglia. Ma come
arrivarono i Pirenei, tre giorni dopo, la ripresi subito». Mancava il grande Anquetil, avrebbe dovuto essere il Tour di Poulidor e lui
beffò tutti. «Mi sentivo forte. Venne la crono di Châteaulin; Salvarani mi disse, se perdi la maglia, non ti preoccupare, è tutto normale. Normale un cavolo! Io avevo vinto fior di crono da dilettante.
Fui secondo a soli 7’’ da Poulidor». Però sul Ventoux, alla 14ª tappa, rischiò di saltare. «Mi attaccavano in tanti. Gli italiani prima di tutto. Motta aveva lanciato l’azione su quella salita. Poulidor e gli altri francesi gli diedero man forte. Io
mi sentii improvvisamente vuoto, cominciai a sudare freddo. Poi decisi di
salire al mio ritmo, senza strappi, nel finale mi ripresi e riuscii a
conservare la maglia gialla». Dopo Rouen, vinse anche la cronoscalata di Mont Revard. «Avevo preparato la tappa meticolosamente. D’un tratto mi si ruppe un ingranaggio; misi la catena su quello più piccolo e spinsi forte. Ero in ritardo rispetto a Poulidor, rimontai e vinsi. Lì capii che quel Tour era mio. Poi dominai anche la crono finale a Parigi...» (da un’intervista di Eugenio Capodacqua)
• Sul Mondiale del 73: «Se ci penso, mi viene la pelle di gallina. Io battere il grande Merckx in
volata... Se rifacciamo 100 di quegli sprint, Eddy ne vince almeno 90. Lui
attaccava sempre e anche quel giorno partì a 80 chilometri dall’arrivo. Fu lui a promuovere la fuga decisiva. Eravamo in sette, c’era anche Battaglin con me e poi Zoetemelk. Era una fuga ben assortita. Con
Merckx la tattica era una sola: provare a stargli a ruota. Impostai la corsa su
Eddy, cercando di risparmiarmi per il finale. Fece tutto lui. Andava così: il massimo che potevi sperare era arrivare con Eddy; dentro di me sapevo che
potevo essere battuto, ma sentivo che dovevo provarci fino in fondo. Mi dicevo:
dai, arrivare dietro lui è come vincere. Io la mia parte l’ho fatta; ma quando Eddy ha dato l’ultimo strappo sulla salita del Montjuich, al penultimo giro, e siamo rimasti in
quattro, ho cercato di risparmiarmi. Mi sono incollato alla sua ruota. Quando
sbucammo in quel rettilineo enorme, Eddy fece un buco per mandarmi avanti e
cogliermi in contropiede. Io frenai e rimasi dietro. è stato lì, forse, che ho vinto. Arrivo all’altezza della pedivella di Maertens e mi accorgo che è piantato. Lui cerca di ostacolare il mio sorpasso allargando i gomiti. Io
rispondo, allargando anch’io. E poi passo. A 40 metri dall’arrivo mi rendo conto di aver vinto. Non ho mai contato le volte che Eddy mi ha
battuto, ma neppure quelle in cui ho vinto io. Non fu solo in quella occasione.
Vinsi il Giro del 67 e lui arrivò 8° a Milano, onorando il mio successo; lo superai anche nel Lombardia, quell’anno; e poi alla crono di San Marino nel 68, a Bergamo nel Giro 76, ad una
Agostoni. Non era facile... Non era facile neppure stargli a ruota».