Il Catalogo dei viventi 2009, 6 luglio 2011
CONTE Paolo Asti 6 gennaio 1937. Cantante. Autore. Il più grande cantautore italiano vivente. Molto noto anche all’estero (soprattutto in Francia)
CONTE Paolo Asti 6 gennaio 1937. Cantante. Autore. Il più grande cantautore italiano vivente. Molto noto anche all’estero (soprattutto in Francia). Tra gli album Un gelato al limon (1979), Appunti di viaggio (1982), Paolo Conte (1974), Aguaplano (1987), Parole d’amore scritte a macchina (1990), Novecento (1992), Una faccia in prestito (1995), Razmataz (2000), Elegia (2004), Psiche (2008). «Proprio come Salgari faccio viaggiare i personaggi delle mie canzoni, senza conoscere esattamente i luoghi che evoco. Mi bastano le sensazioni date da un nome o da un profumo. Ci sono giorni d’inverno, quando fiorisce il calicantus nel mio giardino, che basta avvicinarsi ad uno dei suoi fiori per salire su un tappeto volante». Ultime Nel settembre 2008 è uscito l’ultimo album di inediti Psiche, presentato in anteprima alla Salle Pleyel di Parigi con l’orchestra sinfonica dell’Ile de France diretta da Bruno Fontaine (a cui seguirà una tournée europea). «Psiche piacerà ai contiani fedeli, che vi ritroveranno i miti di sempre, dalla bici al circo, dai misteri femminili alle suggestioni esotiche. Ma ci sono anche sapori e colori inediti, una ricerca musicale che accantona per un po’ jazz e swing e sposa per la prima volta l’elettronica, “i suoni di gomma e di plastica dei sintetizzatori, con la loro strana poesia”» (Curzio Maltese) • Ha cantato per la Rai la sigla del Giro d’Italia 2007, Silenziosa velocità (poi inserita in Psiche) • Nel maggio 2007 l’Accademia delle Belle Arti di Catanzaro gli ha conferito la laurea honoris causa in Pittura per l’opera multimediale Razmataz • Gli Avion Travel hanno pubblicato l’album Danson metropoli — Canzoni di Paolo Conte (2007) • «Anacronistico per stile e vocazione, Paolo Conte riemerge ormai sempre più di rado dalla sua aristocratica pigrizia di provinciale di lusso amato dal mondo intero. Sempre meno dischi, sempre meno concerti, non parliamo poi di vetrine e passerelle: se le sue interviste sono autentiche rarità, dalle parti di tv e talk show nessuno in quarant’anni di proscenio l’ha mai visto. Passati da poco i settanta, Conte pare sempre più vicino a sfumare in un personaggio dei racconti cantati, delle tele moderniste, dei film in bianco e nero del suo lussureggiante, malinconico universo salgariano, lasciandoci, per sopravvivere, il solo ma prezioso conforto dei suoi baffi in smoking, della sua voce scorbutica, delle sue canzoni, preziose archeologie di jazz, parole e sentimenti» (Paolo Russo). Vita È nato un anno esatto prima di Celentano: «Siamo stati entrambi portati non dalla Befana, come si tende a dire, ma dai Re Magi» • Di origini borghesi, il padre era un notaio con la passione della musica, la madre proveniva da una famiglia di proprietari terrieri. È avvocato: «Sono laureato, in Giurisprudenza, ma all’epoca, per vari motivi, un po’ perché non avevo punteggi stratosferici, poi perché già pensavo ad altro, fu una cosa sbrigativa, mi ricordo: era un freddo mattino di nebbia, senza nessuno che mi festeggiava» • Appassionato di jazz fin dall’adolescenza, prese parte come pianista e vibrafonista a piccole formazioni locali, poi cominciò a scrivere canzoni per Celentano (Chi era lui, 1966; Siamo la coppia più bella del mondo, 1967; Azzurro, 1968), Caterina Caselli (Insieme a te non ci sto più, 1968), Enzo Jannacci (Mexico e nuvole, 1969), Bruno Lauzi (Onda su onda, Genova per noi) • «In genere mi rivolgevo agli editori con i provini, a volte uscivano fuori interpreti a sorpresa. Quando affidi la tua canzone a un altro o segui da vicino tutto (l’arrangiamento per esempio È importantissimo) o vai incontro a dei rischi. C’È sempre la possibilità che un vero interprete crei qualcosa di grande e inaspettato, ma c’È anche il rischio del tradimento» • «Come autore, cercavo una credibilità vocale. Non mi soffermavo troppo sul personaggio. Non mi piaceva chi cantava da cantante, preferivo quelli che usavano la lingua italiana in modo credibile, naturale. Ecco perché mi È sempre piaciuto tantissimo Celentano» • Nel 1974 cominciò a cantare le sue canzoni: «A un certo punto, mi accorsi che stavo scrivendo, in una maniera meno esportabile, canzoni che non avrei potuto facilmente mettere in mano ad altri, più ermetiche. Non ricordo quale fu il primo brano che mi rifiutai di dare, ma a un certo punto cominciai a tenermi le canzoni nel cassetto. Temevo che non sarebbero state capite» • Sul primo concerto da cantante: «Avevo già i baffi. Era di mezza stagione, ero vestito di velluto marron. Mi ricordo che avevo un piano verticale, e durante le prove avevo appoggiato una bottiglia di acqua minerale che poi ho dimenticato. Quando poi di sera sono entrato in scena, nel buio, gli ho dato un colpo e ho subito battezzato le prime file. C’era già tanta gente, ad ascoltarmi, un 400-500 persone; poi per 5-6 anni ho suonato ai Festival dell’Unità e mi piaceva anche: l’intellighenzia allora era lì, erano belle le feste con le donne che facevan da mangiare, si compravano i libri negli stand. Ho tenuto concerti anche a qualche grosso Festival dell’Unità, a Roma Genova Milano; leggendarie le kermesse emiliane, con quel buon profumo di costine di maiale» • Anche pittore: «Nella mia vita il vizio della pittura È molto più vecchio rispetto a quello della musica. Risale a quando ero bambino, poi magari sono stato anni senza toccare pennelli o matite. Da piccolino disegnavo trattori. Crescendo ho disegnato donne nude e musicisti di jazz» • «Una volta mi chiesero, cosa ti piacerebbe che scrivessero sul tuo epitaffio? E io: “È stato il miglior suonatore di kazoo del mondo”. A me questa etichetta va benissimo, abdico volentieri a qualunque riferimento vocale e mi sparo tutta una carriera sul kazoo. È uno strumento di origini antiche, primitive. Si costruiva facilmente anche in casa. Io e mio fratello (Giorgio, vedi scheda), da bambini, lo facevamo con il pettine e la carta velina. Nel periodo in cui tenevo concerti da solo, perché l’orchestra non potevo permettermela, Giorgio mi regalò un vero kazoo, che ho sempre conservato gelosamente, perché usandolo avevo l’impressione di avere alle spalle un’orchestra fantasma. Mi piace il fatto che sia uno strumento con una vaga parvenza umana, perché alla fine sempre di vocalismo si tratta» • È sposato con Egle, cui ha dedicato Gelato al limon: «Se mia moglie È in platea la cerco con gli occhi, perché lei È la quintessenza del mio pubblico» (anche Benigni le ha dedicato una canzone, Mi piace la moglie di Paolo Conte: «Paolo, tu non sapevi che Egle ama il pistacchio / e che personalmente odia il limon»). [alb] Critica «Da bravo e nobile provinciale quale È sempre stato, ha narrato di un altrove che È nei sogni di tutti. Ha saputo raccontare come nessun altro lo sguardo goffo e innocente dei piemontesi di terra che per la prima volta scoprivano il mare, e Genova per noi, rimane la canzone perfetta, una delle dieci più belle canzoni italiane di tutti i tempi. Perfino un periferico bar Mocambo era diventato il luogo dove trovare sublimi e dimessi elisir. Tutti abbiamo fantasticato su quelle bionde che soggiogavano i frequentatori di balere, tutti ci siamo inteneriti su “una luna strepitosa che ci guarda con tristezza”, sul naso di Bartali, impervio come una salita, sui rebus, i calembour, su quelle parole inaspettate che deliziavano l’anima, e qualche volta anche su irresistibili volgarità (“c’È sempre chi si apparta, si mette a scorreggiar tranquillamente” cantava in Per ogni cinquantennio), dette con la grazia sorniona di chi può permettersi qualsiasi licenza» (Gino Castaldo) • «Ha più volte dichiarato che l’impulso primario di ogni sua canzone È sempre musicale; È un gruppo di note, un tema, un motivo, chiamatelo come volete, a proporsi prima come grumo sonoro e quindi via via a definirsi, ordinarsi, compiutamente comporsi. In altri termini, in principio per lui È la Musica, appresso viene il Verbo» (Andrea Camilleri) • «Il disegnatore Bill Griffith, quello di Zippy, che gli ha voluto fare un ritratto, ha colto perfettamente la sua maschera: le rughe, i baffi, gli occhi buoni, lo sguardo di chi ne ha viste di tutti i colori ma nasconde tutto dietro un broncio bonario» (Giuseppe Videtti). Frasi «Non ho mai condiviso la presunzione che una canzone possa cambiare il mondo. Posso capire che una canzone possa far compagnia, siglare un periodo della vita, mettere un sigillo su una storia d’amore. È un mezzo di comunicazione nella misura in cui l’arte, in ogni caso, comunica. Una canzone può segnare un’epoca, questo sì. La canzone ha un odore e può portarti il profumo di una certa situazione, di un momento. Se ascolto Ma l’amore no, sono investito immediatamente dal veleno di quegli anni di guerra» • «Come tanti compositori che scrivono prima le musiche e poi le parole, in genere scrivo con un finto inglese, che È elastico, ti fa sognare molto di più, i pezzi rimangono più astratti, poi quando devi fare i conti con l’italiano cambia tutto» • «Credo fermamente che la gabbia metrica e la rigidità della lingua italiana (quasi impossibile da usare su accordi jazz, meglio invece sui ritmi latinoamericani), se all’inizio creano problemi, alla fine ti costringono a un’essenzialità che fa bene al testo. Forse È anche per questo che uno degli scrittori che amo di più È Simenon. Dei suoi libri Gide diceva: non c’È un’oncia di grasso letterario» • «Io sono un appassionato di tanghi tedeschi, me li faceva ascoltare mia madre, quelli delle cantanti espressioniste come Zara Leander. Erano fatali, l’anima musicale tedesca che si esprimeva con la stessa esuberanza di quella argentina. Il mio preferito era uno che si chiamava Warum» • «Mi ricordo una volta, anni fa, era d’estate, dovevo finire di scrivere le canzoni per un album, non avevo idee, ero disperato. Così finii per comprare un nuovo rimario. Tornato a casa, lessi sul risvolto di copertina: contiene frasi di autori come Paolo Conte. Lo buttai via» • «Mi ritengo già fin troppo fortunato per quello che sono riuscito a ottenere perché all’inizio mai mi sarei aspettato un favore di questo tipo. Sono sempre stato parco nelle richieste verso me stesso, ho sempre continuato a sperare di scrivere una bella canzone, magari migliore di altre, niente di più» • «Mi piace il concetto di fuga, e anche il suo sapore. Non so se si fugge per scappare o per rincorrere, credo un po’ tutte e due. Fuggire È, insieme, allontanarsi e ritornare» • «I solitari come me, tendenzialmente un po’ malinconici, che hanno difficoltà a vivere la superficialità delle cose, sono da sempre già un po’ vecchi» (nel giorno del suo settantesimo compleanno). [alc] Vizi «Ho alcuni vizietti, cose che la televisione italiana riesce a fare benissimo: La squadra, anzitutto. E poi, su quell’onda, me li sono fatti tutti, Distretto di polizia, Montalbano, Don Matteo, Carabinieri» • Tifa per il Milan: «Mi regalarono una maglietta, da bambino, poi ci sono stati Gre-No-Li: erano meravigliosi». Appassionato di ciclismo, cui ha dedicato una delle sue canzoni più celebri, Bartali.