Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
TURCO Livia Morozzo (Cuneo) 13 febbraio 1955. Politico. Senatore. Dell’Ulivo. Ministro della Salute nel Prodi II • Figlia di un operaio, diploma di maturità classica, insegnante, dal 78 all’82 è stata segretario provinciale della Fgci di Torino
TURCO Livia Morozzo (Cuneo) 13 febbraio 1955. Politico. Senatore. Dell’Ulivo. Ministro della Salute nel Prodi II • Figlia di un operaio, diploma di maturità classica, insegnante, dal 78 all’82 è stata segretario provinciale della Fgci di Torino. Nella segreteria del Pci dall’86, ha poi aderito al Pds. Ministro per la Solidarietà sociale nei governi Prodi I, D’Alema I e II, Amato II. Prima firmataria con Giorgio Napolitano della legge sull’immigrazione del 98 • «“Perché dai trentamila lire al giorno agli zingari?” le chiese il padre, sconvolto, prima ancora che lei posasse a terra le valigie. Fu in quel momento che Livia Turco decise che un giorno o l’altro avrebbe dovuto scrivere un libro che spiegasse il senso di una battaglia così poco popolare da seminare dubbi e zizzania perfino dentro la sua famiglia. Dove riuscivano a lasciar traccia, al di là della fiducia nella figlia diventata ministro per la Solidarietà sociale, campagne di stampa come quella del Giornale che, attaccando il decreto varato in favore degli sfollati dalla ex Jugoslavia con regolare permesso di soggiorno, “aveva scritto per settimane che il governo finanziava gli zingari ‘per rifocillarli e tenerli allegri’”. Mica facile tener duro, in una Italia dove interi partiti cavalcano le paure di un Paese dimentico di un passato in cui erano saliti sui treni e sui bastimenti quasi 27 milioni di persone. Meno ancora in un paesino di 1.979 anime chiuso e tradizionalista come Morozzo, a metà strada tra Cuneo e Mondovì, famoso per l’allevamento del cappone. Tanto più che dall’altra parte, con quel Mario Borghezio che strillava contro le “merdacce levantine e mediterranee” e quell’Umberto Bossi che straparlava in nome della “razza padana, razza pura, razza eletta”, c’era un compaesano come Domenico Comino (“da piccoli eravamo molto amici”) che sparava su ogni apertura. Assediata a volte dentro il suo stesso schieramento, dove non pochi temevano le conseguenze elettorali di quella politica “troppo generosa verso gli immigrati” che le aveva guadagnato da Giovanni Sartori il soprannome di “signora Perdivoti”, la Turco assicura di non esser pentita affatto» (Gian Antonio Stella) • «Piango spesso, anche per le piccole cose. Ho un rapporto liberatorio con il pianto. Però succede che di fronte a un fatto molto grave resti con gli occhi asciutti» (da un’intervista di Lucia Castagna).