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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

PANNELLA

Marco (Giacinto) Teramo 2 maggio 1930. Politico. Eurodeputato. Radicale. «Amo troppo la vita, per avere paura della morte» • «Seguace di Ernesto Rossi ed esponente della minoritaria ma nobile tradizione del
laicismo democratico italiano (tradizione non comunista di autentici
riformatori, nemici del capitalismo arraffone e arruffone, come dei “boiardi di Stato”); artefice, con una pattuglia di valorosi altri di memorabili battaglie per la “svaticanizzazione” della società italiana; paladino di libertà civili come l’obiezione di coscienza al servizio militare, il divorzio, l’aborto e l’“erba”; nel corso degli anni la sua azione si è andata caratterizzando più che per gli obiettivi per i metodi. La disubbidienza civile, il sit in
pacifico, il rifiuto conclamato di qualsivoglia forma di violenza, sottolineato
dal reiterato richiamo a Gandhi» (Angelo D’Orsi)
• «Europeo, capace di richiamarsi fraternamente ad Altiero Spinelli. Americano,
come le riforme politico-elettorali che ha sempre sostenuto. Fautore del
maggioritario a turno unico, a dispetto dell’essere il signore di un partitino. Corteggiato a destra e cercato a sinistra,
con i buoni uffici post-socialisti di Giuliano Amato. Trasgressivo e
trasgressore, come nelle battaglie antiproibizioniste a base di spinelli,
questa volta con la minuscola. Trasgressore o tutore, plagiario, eversore o
garante, Marco Pannella è un’autobiografia della nazione politica. Ma c’è un legame fra l’uomo delle battaglie per i diritti civili negli anni Settanta, e l’ultrasettantenne che promuove il “Satyagraha” gandhiano e non violento, ricorrendo allo sciopero della fame e della sete.
Leader senza esercito, Pannella è in grado di reinventarsi a ogni stagione. Alle elezioni politiche del 94, prima
prova del maggioritario, era riuscito a farsi concedere qualche seggio da
Silvio Berlusconi, ma protestando accanitamente contro chiunque sostenesse che
aveva stretto un accordo con il Polo. Nel 99, alle elezioni europee, gli era
riuscito il trionfo mediatico di Emma Bonino, che aveva ottenuto più consensi dei prodiani, ma scontentando immediatamente l’elettorato che credeva di essersi espresso per il volto nuovo della fanciulla
Bonino e aveva visto riapparire il ghigno del vecchio vampiro» (Edmondo Berselli)
• «Se chiedi a un politico cosa tema di Marco Pannella, risponderà: le telefonate. “Arrivano agli orari cari a Cossiga come lo erano ad Agnelli”, assicura Gianni De Michelis. Ovvero all’alba. O di notte. Hanno una specialità, a prescindere dal contenuto (testimonianza di Claudio Martelli): “Sono sistematiche, perché Marco si prende prima un dito, poi il braccio, la spalla, tutto. Chiunque sia l’interlocutore, dal Quirinale a un ragazzino del liceo, Pannella assegna compiti
e ritelefona poco dopo per controllare che siano stati eseguiti a dovere.
Ovvero come vuole lui”» (Paolo Conti)
• «Il punto di partenza è l’eccezionale padronanza delle tecniche di comunicazione, pari solo a quella di
Berlusconi, anche se forse addirittura più acrobatica perché in genere Pannella non ha soldi, né mezzi, né tutto sommato gli interessano, né mai gli è entrato nulla in tasca. Ai quattrini, d’altra parte, supplisce con una spiccata intelligenza del momento: s’inserisce negli interstizi del calendario, approfitta del vuoto di ferragosto,
coglie l’aspetto religioso della Pasqua, acchiappa l’atmosfera del Natale e ci dà dentro, da consumato rabdomante politico-sentimentale. O forse, più semplicemente, da giornalista. Del genere polemistico, o meglio provocatorio, o
meglio ancora da sperimentato costruttore di scandali. Sia come sia, nessuno più di lui ha capito quanto è scoperto e cruciale, nella democrazia televisiva, il rapporto tra emozioni e
istituzioni. Da questo punto di vista i digiuni, ormai anche brevi e simbolici,
sono un serial e un sequel perfetti. Pannella ha scoperto i reality quando gli
autori del
Grande Fratello o dell’Isola dei famosi avevano i pannolini. Chi lo conosce bene (Massimo Teodori, Pannella. Un eretico liberale nella crisi della Repubblica, Marsilio 96) è arrivato a sostenere che gli scioperi della fame e della sete hanno (anche) l’effetto di provocare complessi di colpa e indurre alla solidarietà proprio quei politici — la categoria si è ben estesa negli ultimi anni — che sono più abituati a utilizzare la cosa pubblica a proprio vantaggio. Il sostegno alla
battaglia radicale, quindi, diventa una compensazione, una riparazione, un
obbligo morale. Eppure, dopo tutto, il leader radicale mette in gioco e spesso
in pericolo il suo corpo. Anche questo accade oggi di rado, nonostante i corpi
stiano guadagnandosi una sempre maggiore centralità. Di nuovo: proponendosi fisicamente come mezzo e come messaggio, riattivando in
sé il circuito virtuoso tra parola e azione, politica e comunicazione, per primo
Pannella ha ristabilito un rapporto diretto tra leader e masse, determinazione
individuale e consenso diffuso. Tutto questo all’interno di una metodologia, ormai quasi codificata nella vita di via Torre
Argentina, che prevede il sistematico coinvolgimento di senatori a vita,
emeriti presidenti della Consulta, parlamentari di prestigio, premi Nobel,
opinion maker, artisti, operatori del settore prescelto, sacerdoti. Socci ha
parlato di un “esercito di complemento”. Esisterebbe, cioè, anzi senz’altro esiste un nucleo di supporter disposti ad assecondare l’iniziativa radicale. Nel passato remoto questa militanza informale si è vista sul divorzio, o nella campagna contro lo sterminio per fame. Ma la
questione è che questi soggetti che di volta in volta aiutano o sostengono Pannella
cambiano, a seconda delle campagne. Quel che conta, semmai, almeno per lui, è che sul piano strategico i risultati vadano indubitabilmente nella direzione da
lui stabilita. Basteranno tre recenti esempi a dimostrare questo misterioso
potere di attrazione. Nel febbraio del 97 (digiuno contro la cancellazione
televisiva dei radicali dal servizio) Pannella è riuscito a far venire, per la prima volta, nella stessa mattina, al Partito
radicale, sia D’Alema che Berlusconi. Nell’aprile del 2002, dopo aver clamorosamente ingurgitato la propria pipì per far colmare dei vuoti alla Consulta, ha ottenuto un intervento telefonico
in diretta del presidente della Repubblica che a
Buona domenica lo scongiurava di bere un bicchier d’acqua. Nel febbraio del 2003, vigilia della guerra in Iraq, pur non essendo
deputato, Pannella si è in pratica fatto mettere ai voti una mozione sull’esilio di Saddam: approvata con 345 sì, 38 no e 58 astenuti. è abbastanza plausibile che il formarsi di queste maggioranze estemporanee
dipende anche dalla chiarezza degli obiettivi e dalla semplicità delle soluzioni proposte. Di solito non si tratta di combattere demoni, ma di
aiutare persone. Tanto più una campagna funziona quanto più riesce a proiettare in politica le finalità supreme della vita. Ma il punto vero — lo scarto, l’incanto, la leva — sta nel ribaltamento delle logiche convenzionali. Alla rovescia, pensa
Pannella, si comprende di più. E controcorrente si procede meglio. Ma in entrambi i casi occorre un prodigio
di tecnica e un soffio di follia. Non l’elogio di Erasmo, per intendersi, mandato astutamente a memoria dal Cavaliere.
Un’offerta di sé, una speranza, una strana leggerezza, insomma qualcosa che nemmeno si riesce a
capire troppo bene» (Filippo Ceccarelli)
• «La sua disgrazia, la vera tragedia, le pene che devono patire il suo fegato, la
milza, il cuore, è che il titolare ha deciso di servirsene via via sempre più smodatamente. Prima il bavaglio, e soltanto la bocca veniva offesa e irrisa.
Poi lo sciopero della fame alternato a cappuccini ipercalorici, ristoro minimo
per una macchina sotto pressione. Quindi lo sciopero della fame totale: non una
brioche o un tramezzino, ma solo acqua. Le complicanze della lotta politica e
la loro variabilità hanno riprodotto ciclicamente una doppia figura di Pannella. Nella piatta
stagione della battaglia polemica ma unicamente parolaia (con la feroce
aggressività delle sue parole ha dato vita alle stagioni mirabili delle lotte civili per il
diritto al divorzio e all’aborto) il capo dei radicali ostentava l’imponenza del fisico, la sua vastità, la cura nell’abbigliamento, la spietata determinazione ad esibire sempre (o quasi) una
cravatta al collo e una giacca sulle spalle. Poi, e sempre più, ha deciso di sostituire l’arma contundente del verbo con la possanza scenica del corpo che lotta
sfibrandosi, e proporre allo spettacolo del bavaglio in tv il colpo di un filo
stremato di ossa. Sono cambiate le stagioni e persino il destino radicale, di
ritrovarsi almeno con una pattuglia in Parlamento, è stato tradito. Come Crono con i suoi figli, ha divorato i suoi pupilli e
periodicamente diserbato il partito da volti incongruenti con la logica del
dominio assoluto e incontrastato. Mauro Mellini, Francesco Rutelli, e poi
Spadaccia, Negri, Calderisi, Vigevano. Via via coccolati, amati, svezzati e poi
però rifiutati, in qualche caso dimenticati, in altri derisi o combattuti. Così, ad ogni successo politico è seguita la repentina dissoluzione delle fortune appena conquistate. Ma non è mai mancata la voglia disperata di mostrare di saper riprendere la partita in
zona Cesarini e tentare, come negli sport estremi, di dimostrare che l’ultima e più spericolata prova non è in realtà mai la definitiva. Così, ha scelto di compiere il di più che serviva per essere straordinario, nel senso letterale. E dare scandalo, nel
senso letterale» (Antonello Caporale)
• «Più e più volte hanno dato per finito Pannella. Ma lui, che pure non va mai al cinema, ha
risposto un giorno: “Avete presente il finale di Luci della ribalta, quando Calvero dice: ‘Non vi preoccupate, sono morto tante volte’? Ecco, io mi limito a dire che tante volte sono stato proclamato morto”. L’esempio filmico calza a pennello. Nessuno ha intuito prima di Pannella (che si è imbavagliato e travestito da clown, Babbo Natale, gangster e miliziano croato)
il dominio delle scene, degli spettacoli e delle rappresentazioni televisive.
Nessuno può sorridere, insomma, se Pannella è Pannella» (La Stampa)
• «Il primo digiuno fu “contro la guerra d’Algeria, sugli Champs-Elysées, insieme con un anarchico francese. Credo fosse il 61”. La prima volta in Italia fu nel 68, per il ritiro dei sovietici da Praga; ma
allora Pannella si riservava 140 calorie al giorno, per proseguire senza danni
cerebrali; di fronte c’erano Breznev e una lunga attesa. Pannella fu anche direttore di Lotta continua,
giornale che sosteneva una rivoluzione molto diversa da quella che aveva in
mente lui, “ma lo firmavo ugualmente, come ho fatto con altri 36 periodici”. Si trattava di protestare contro la legge — unico voto contrario, Umberto Terracini —
che imponeva a qualsiasi testata un direttore iscritto all’albo dei giornalisti. “L’ho fatto anche per i fogli di Brandirali e per quelli dei fascisti. Con
Spadaccia e Bandinelli abbiamo diretto giornali a centinaia”. Digiuni, qualcuno in meno. Intervistato da Pier Paolo Pasolini, Pannella si
disse pronto a testimoniare il proprio dolore posando nudo. Farà invece sfilare dodici compagni di sacrificio al teatro Flaiano, introducendoli
con citazioni di Isaia e di se stesso: “Come ci siamo fatti ricchi della nostra povertà, così ci facciamo forti di questo nostro magrore, di questi nostri corpi...”. Nel 77 digiunò nella Spagna della Transizione, contro la leva obbligatoria. Poi si batté per la democrazia televisiva. Goffredo Parise gli scrisse che non valeva la
pena morire per la tv. Pannella rispose che “la tv è il vero artefice della storia degli italiani”. Con Danilo Dolci polemizzò a distanza, e con garbo. I suoi digiuni gli ricordavano più le ascesi e le penitenze dei mistici medievali che il Sathyagraha gandhiani.
Magrezze cattoliche e laiche. E poi “Dolci digiunava a letto per risparmiare energie, noi le energie le dilapidiamo”, anche in tv se necessario, anche da Costanzo. Perché poi va a finire che le regole camminano sulle gambe ossute di un libertario,
che la normalità nasce dagli eccessi, e la saggezza di un paese sottosopra è nella ragionevole follia di Pannella» (Aldo Cazzullo)
• «Conosci l’Okavango? è il fiume più bello del mondo. Ma non sfocia nel mare. Finisce nel deserto. Pannella è l’Okavango della politica. Era l’unico grande leader di un’area laico-socialista che rappresentava il 20 per cento del Paese nel momento in
cui crollava il regime. Poteva fare un salto gigantesco. Mi hanno raccontato la
sua trattativa nel 96 con Berlusconi. Berlusconi diceva: “Vanno bene 20 deputati per voi? No? 30? No? 40? Ma quanti ne vuoi? Non ne voleva
nessuno. Voleva soldi. Per Radio Radicale. Perché il Grande Profeta ha bisogno di un megafono, non di deputati. Berlusconi di un’azienda personale ha fatto un partito. Pannella di un partito ha fatto un’azienda personale» (Giovanni Negri a Claudio Sabelli Fioretti)
• «E tutti lo chiamavano signor Hood, ma il suo vero nome era Spina di pesce» (Francesco De Gregori in una canzone dedicata a Pannella).