Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
TOSI Piero Firenze 10 aprile 1927. Costumista. Scenografo • «Da ragazzo era talmente magro che Anna Magnani, sul set di Bellissima, lo chiamava “San Luigi, il segaiolo”
TOSI Piero Firenze 10 aprile 1927. Costumista. Scenografo • «Da ragazzo era talmente magro che Anna Magnani, sul set di Bellissima, lo chiamava “San Luigi, il segaiolo”. Che avrebbe fatto il costumista scenografo l’ha sempre saputo, tant’è che abbandonò Firenze per muovere alla conquista di Cinecittà. Non fece né anticamera, né gavetta. Ad attenderlo c’era Luchino Visconti. Il maestro intuì subito che quel giovanotto timido e schivo avrebbe potuto dare forma e colore alle sue visioni. Tosi sapeva muoversi con strabiliante sensibilità in ambiti ed ambienti diversi, in epoche ed epopee differenti. Che fosse l’Italia con le pezze al sedere di Bellissima, la Berlino nazista della Caduta degli dei, o l’agonizzante Palermo del Gattopardo. “Luchino era un uomo di grande rigore e determinazione. Aveva una sicurezza nel lavoro che gli derivava dalla limpidezza del suo pensiero. Poteva difendere la scelta di un colore fino allo stremo. Guai a disubbidirgli. Un’unica volta ho fatto di testa mia. Lavoravamo all’Innocente. La polemica si accese su un tailleur di Laura Antonelli che D’Annunzio descriveva di vigogna. Per Visconti doveva essere beige; io lo vedevo grigio. Discutemmo a lungo e alla fine seguii il mio istinto. Quando la Antonelli si presentò sul set in grigio, Luchino non fece una piega: girò intrattenendosi amabilmente con Burt Lancaster e Silvana Mangano, in visita sul set. Pensai di averla fatta franca, ma, tornato a casa, ricevetti una lettera dove garbatamente mi confessava che, per la prima volta in venticinque anni, l’avevo deluso. Qualche settimana dopo morì”. Il suo rapporto con Federico Fellini, una storia fatta più di appuntamenti mancati e fughe che di film realizzati. “Abbiamo lavorato insieme solo per Toby Dammit, l’episodio di Tre passi nel delirio, e per Satyricon dove ero responsabile del trucco. Federico mi gettava nel panico. Era capace di telefonarmi nel cuore della notte per esprimermi le sue incertezze. Mi toglieva il sonno e la serenità”. Ma Fellini, si sa, era un grande incantatore. Convinse Tosi ad occuparsi dei costumi di Casanova. Il poveretto accettò, a condizione di lavorare in solitudine e senza il fiato del maestro sul collo. “Mi fece preparare uno studio lontano dalla produzione. Perfetto. Non mi accorsi subito che dietro alle mie spalle c’era una porta chiusa a chiave. Chiesi dove portasse, ma ricevetti risposte vaghe. Mi installai e cominciai a disegnare. Era il primo giorno. Lavorai due o tre ore. A un tratto quella porta si aprì e Federico mi fu sopra e cominciò a scartabellare i miei fogli, lodandomi con quel suo tono cantilenante. Realizzai che quella porta comunicava con il suo studio e fuggii”» (Brunella Schisa) • «Quando penso in quali condizioni eravamo costretti a lavorare, dico ai miei studenti: ringraziate il cielo che avete a disposizione tanti libri fotografici e materiale iconografico. Io, ai miei tempi, non sapevo dove sbattere la testa, Ricordo che nel 54, fui incaricato dei costumi per lo Zio Vania di Luchino Visconti, ero disperato. Non esistevano documenti né fotografie della Russia di fine Ottocento. Fortunatamente Roma era ancora piena di esuli della Rivoluzione d’ottobre e saccheggiai i loro album di famiglia».