Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
CAZZULLO
Aldo Alba (Cuneo) 17 settembre 1966. Giornalista. Del Corriere della Sera. Prima
alla Stampa • «Sono figlio di un bancario. Ma la figura centrale della mia famiglia era mio
nonno macellaio, Aldo. Da bambino lo accompagnavo sulle colline delle Langhe a
scegliere i vitelli e lui aveva tutte le gambe piene di lividi perché tastava la consistenza delle carni e prendeva dei grandi calci dai vitelli» • «Sono nato ad Alba, un posto dove è bello essere nati per motivi eno-gastronomici. Poi però, una volta che hai mangiato bene nel week end, il lunedì, che cosa fai? Te ne vai via. Alla scuola di giornalismo di Milano. Avevo
iniziato a 17 anni a lavorare in un giornale della sinistra albese, il Tanaro.
Ma la sinistra ad Alba non esisteva. Anche gli operai votavano democristiano
nelle Langhe. Il Tanaro affogò prestissimo. Io passai al settimanale diocesano, la Gazzetta d’Alba. Poi la scuola a Milano. C’erano tre categorie: quelli del kibbutz, le facce da Fininvest e i ragazzi di
provincia. Quelli del kibbutz mimavano gli anni Settanta, tutti vestiti di
nero, tutti lettori del Manifesto, peraltro giudicato
un po’ troppo moderato. Una volta venne a parlarci Edilio Rusconi. Nella prima parte
dell’incontro fu duramente contestato dal kibbutz. Nell’intervallo arrivò il direttore della scuola a farci il cazziatone: “Ma siete impazziti? Questo è uno che può assumere!”. Nella seconda parte dell’incontro quelli del kibbutz erano irriconoscibili: “Bella quell’inchiesta di Gente, stupenda la copertina di Gioia”. Ogni tanto mi univo al kibbutz, per andare nella finta Milano popolare di
Porta Ticinese a sentire i poetastri che leggevano le loro poesie al Portnoy»
• «Ho avuto la fortuna di avere grandi direttori e condirettori. Dopo Scardocchia,
Mieli, Mauro, Lerner, Sorgi, Riotta» • «Ezio Mauro è stato mio direttore, dal 92 al 96, anni importanti per me. Io stavo agli
esteri, non avevo trent’anni, dovevo imparare tutto. Pansa è il più umano tra i grandi vecchi. In un momento doloroso della mia vita l’ho trovato inaspettatamente vicino. Giorgio Bocca è il massimo come scrittura. Insieme con Enzo Bettiza. Sono i due che tengo sul
comodino» • «Rossella è un grande personaggio. Mi prometteva sempre una sede estera, di solito Parigi,
ma anche Bruxelles. Bonn. Poi, quando portarono la capitale a Berlino, Berlino.
Non mi ha mai mandato da nessuna parte» • «La mia giornata deve cominciare con un’articolessa. Se comincio con gli articolini e con le notizie mi viene l’ansia. Allora comincio con un bel pezzo del Foglio. Possibilmente il più lungo. E di esteri» • «Appartengo a una generazione senza miti. Sono entrato al liceo nell’80. Erano gli anni in cui finiva la politica di strada, quella che aveva
coinvolto un’intera generazione nel male ma anche nel bene. Alla nostra generazione è mancata questa politica che formava e selezionava, insegnava a parlare in
pubblico, a guidare un’assemblea, a condizionare la volontà altrui. Una scuola di spregiudicatezza intellettuale. Approdo naturale di un
pezzo di quella generazione è stato il Foglio»
• «Un’immagine che mi porto dietro è Emanuelle Béart, pallidissima nei suoi capelli neri, trascinata via da due poliziotti dalla
chiesa di Saint-Bernard, rifugio dei sans-papiers, infagottata nel suo maglione
e nei suoi jeans sdruciti».