Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
BARTOLI
Cecilia Roma 4 giugno 1966. Mezzosoprano. «È il migliore prodotto di esportazione italiana dopo il risotto» (Newsweek).
VITA Vincitrice di quattro Grammy, gli Oscar della musica. Il suo cd su arie d’opera di Vivaldi ha venduto 800.000 copie, mentre il progetto Gluck Italian
Arias È arrivato alle 600.000 copie, cifre d’eccezione per la classica. Ha conquistato la posizione di artista classica più venduta degli ultimi dieci anni in Francia, Germania, Svizzera, Portogallo e
Belgio, e, a dispetto delle sue scelte sofisticate e iper-colte, il suo nome ha
fatto spesso irruzione nelle classifiche di vendita del pop • «Sono figlia d’arte, i miei genitori - Angelo, emiliano, e Silvana Bazzoni, romagnola -
cantavano nel coro dell’Opera di Roma. Ricordo la felicità e l’eccitazione, insieme ai figli degli altri artisti, quando i miei mi portavano
piccolissima dietro le quinte degli spettacoli estivi a Caracalla: erano
produzioni colossali, come
Aida, irresistibile: appena si poteva noi bambini ci arrampicavamo su leoni e
sfingi. Poi ricordo che mia madre, per tenere buoni a casa me e i miei fratelli
la domenica pomeriggio, anni dopo, ci faceva fare i vocalizzi. Con mio fratello
non funzionò, con mia sorella nemmeno, con me sì» (Isabella Mazzitelli) • «Ho debuttato con Pippo Baudo. La prima volta È stato davanti al pubblico di Fantastico: Baudo aveva fatto delle audizioni in cerca di talenti, io ed altri del
Conservatorio di Santa Cecilia ci ritrovammo con giocolieri, pianisti, due
ragazze del circo. Fui scelta, avevo 19 anni, andai per curiosità, per passare un sabato sera diverso. Cantai delle arie di Rossini, la
Ricciarelli mi fece da madrina, fu carina, rimase colpita e me lo disse. Il
debutto vero fu l’anno dopo a Roma, Rosina nel Barbiere di Siviglia» (ibidem) • Voleva fare la ballerina di flamenco: «A Parigi mi chiamarono per sostituire Aprile Millo, c’era la tv, mi ascoltò Barenboim e da lì cominciò tutto» • Lanciata da Herbert von Karajan dopo un audizione alla Festspielhaus di
Salisburgo «Non lo vedevo, parlava al microfono nella penombra della sala prove. Sembrava la
voce di Dio. “Che cosa mi fa ascoltare?” mi chiese. Io cantai arie da La donna del lago di Rossini e da Le nozze di Figaro di Mozart. “A Pasqua ti voglio con me a Salisburgo per la messa in si minore di Bach” sentenziò» (da un’intervista di Riccardo Lenzi) • «Vengo da una famiglia di contadini, ho visto mia nonna cogliere i pomodori sotto
il sole delle due, so che cosa vuol dire faticare per vivere, sono cresciuta
coi piedi per terra e li mantengo: guadagno molto, ma so quanto costa la
verdura. E non scorderò mai mia nonna Libia, ottantenne, che prese per la prima volta l’aereo per sentirmi cantare al Metropolitan: era sbalordita, alla cena sfarzosa
dello sponsor miliardario sgranava gli occhi davanti ai vassoi di caviale.
Quando poi andai a trovarla, in Emilia, la trovai in soggezione, muta davanti
alla minestra che stava cucinando: tutto insieme si era resa conto della
carriera che avevo fatto. La abbracciai, si mise a piangere: “Nonna, ma È tutta una bella favola! Non scambierei i tuoi fagioli con tutto il caviale del
mondo!”» (Mazzitelli)
• Casa a Roma e a Zurigo, dove vive anche il suo amore, un baritono il cui nome È tenuto segretissimo • Ultimo disco: Opera proibita contenente arie di Caldara, Händel, Scarlatti che erano generalmente cantate da castrati. In copertina la
medesima Cecilia Bartoli sensuale come Anita Ekberg ne La dolce vita. La Bartoli: «Dopo il terremoto del 1703, che non causò vittime, fu decretato, in segno di ringraziamento al Signore, l’annullamento di ogni forma di spettacolo. Fiorirono quindi gli oratori, ovvero
melodrammi sacri, con soggetti biblici ed allegorici, i cui libretti erano
spesso scritti da cardinali come Ottoboni e Pamphilij, che li allestivano nei
loro palazzi privati e si dilettavano sessualmente coi richiestissimi castrati,
predilezione definita “il peccato nobile”. Negli argomenti, l’erotismo si cela tra le pieghe del sacro, con l’esito di un’ambiguità seducente. E per di più in questi brani sono frenetici gli slittamenti di identità sessuale, come nel
Trionfo dell’innocenza di Caldara: una donna si traveste da monaco per avere accesso a un chiostro:
lei si innamora di una ragazza, credendola un eremita, con tutte le allusioni
del caso; ma lui, cioÈ lei, ne respinge l’amore, mentre la musica, di sensualità travolgente, esprime l’opposto di un rifiuto. Se poi si pensa che i vari ruoli erano interpretati solo
da uomini, il sovrapporsi dei travestimenti fa girare la testa» • È alta un metro e 62.
CRITICA «La stella più glamorous della scena operistica. Un successo “classico” senza precedenti. Il mezzosoprano di coloratura migliore del nostro tempo. Voce
preziosa, flessibile, espressiva, inarrivabile. Musicista raffinata e essenza d’italianità al massimo livello. Definizioni ritagliate dai giornali inglesi (due pagine
intere a lei dedicate dal Guardian, un servizio monumentale sul Times), dove le
foto del suo bel volto mediterraneo e intenso campeggiano sovrane. Sempre più internazionale e meno italiana nei circuiti (“ma italiana resto nel cuore e negli affetti”). Sofisticata e popolare, ipercolta e commerciale, ha una storia d’eccezione, fatta di circa cinque milioni di dischi venduti nel mondo (record
quasi pavarottiano), di premi prestigiosi a non finire (Grammy e altro) e di un
popolo di fan capace di file lunghe cinque ore per ottenere un suo autografo (È accaduto al Carnegie Hall di New York). Il tutto È l’esito, inaspettato o surreale, di una carriera riflessa in scelte centellinate
nel rigore: fenomeno a sé, senza confronti né modelli, ha il potere, più unico che raro, di imporre le sue scelte, spesso non facili e (sulla carta)
persino “impopolari”, sia alla sua casa discografica (se l’È garantita in esclusiva la Decca), sia ai teatri più importanti del mondo. Il suo Vivaldi Album, del 1999, tredici brani vivaldiani
ignoti riesumati in un anno di ricerche, ha venduto mezzo milione di copie. Ed È stata lei (lo fece già col Metropolitan di New York) a decidere quando e come debuttare al Covent
Garden, che da anni la reclamava invano. Non con la scelta prevedibile di un
Mozart o di un Rossini, repertorio in cui eccelle e che segnò i suoi inizi. Ma con un’opera rara di Haydn» (Leonetta Bentivoglio)
• Di chi È la colpa se non canta quasi mai in Italia? «Del verismo, che domina tutti i teatri, e della programmazione che si fa in
ritardo. Ci vorrebbe più coraggio nelle scelte artistiche. Mi piacerebbe cantare nel mio Paese, non È vero che manca il pubblico per il mio repertorio, barocco e settecentesco. Io
canto spesso a Zurigo, e lì arriva molta gente in auto e in pullman da Milano, da Roma...».
VIZI «Se devo prendere l’aereo lo prendo. Ma per andare in America, potendo, prendo la nave. Si parte
dall’Inghilterra, o dall’Irlanda: in cinque giorni sei di là, ma a volte ho allungato il giro, ho fatto delle piccole crociere per vedere l’aurora boreale e l’Islanda. Non ho paura dell’aereo, ho paura del fuso orario: È più difficile concentrarsi, cantare, l’organismo, almeno il mio, ne soffre parecchio. E poi vuol mettere l’occasione... incontri i delfini, respiri l’aria fresca. Una meraviglia»
• «Il suo look È cambiato? All’inizio pareva aver puntato sulla femme fatale, lanciata come una rockstar,
giubbotti di pelle, trucco forte, spesso accovacciata su una moto di grossa
cilindrata... “Per gli abiti da concerto amo quelli della Vivienne Westwood, una stilista
inglese che ha sempre un suo tocco di attualità e di artista. Per esempio, amo i suoi corsetti. All’interno i corsetti classici hanno le stecche: lei tra una stecca e l’altra usa l’elastico che permette una facile respirazione, cosa per una cantante
fondamentale. E poi i suoi meravigliosi abiti lunghi: ad esempio, le sue gonne
dalle tasche invisibili. Nella vita normale vesto semplicemente, abiti leggeri
e non sintetici: la mia pelle ha bisogno di respirare. Quindi, materiali
naturali: sete, cotone, lana. Aiutano a preservare lo strumento, come il non
fumare”» (Riccaro Lenzi).