Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
SEGNI Mario (Mariotto) Sassari 16 maggio 1939. Politico. Figlio di Antonio (2 febbraio 1891-1 dicembre 1972), presidente della Repubblica dal 62 al 64 (mandato interrotto per un ictus) • Laurea in Giurisprudenza, docente di Diritto civile all’Università di Sassari
SEGNI Mario (Mariotto) Sassari 16 maggio 1939. Politico. Figlio di Antonio (2 febbraio 1891-1 dicembre 1972), presidente della Repubblica dal 62 al 64 (mandato interrotto per un ictus) • Laurea in Giurisprudenza, docente di Diritto civile all’Università di Sassari. Eletto deputato per la prima volta nel 76 (Dc), e poi di nuovo nel 79, 83, 87, 92, 94 (Patto per l’Italia). Sottosegretario all’Agricoltura nel Craxi II e nel Fanfani VI. Ha inventato il referendum — teoricamente solo abrogativo — come arma di vera riforma legislativa: chiedendo agli elettori di cancellare certe parole dalle leggi in vigore se ne rovescia il significato. Promosse con questo spirito i referendum elettorali sulla preferenza unica (9 giugno 91) e sul sistema uninominale (18 aprile 93) • «La rivoluzione referendaria dei comitati Segni precede e poi corre parallela alle inchieste dei magistrati milanesi che segnarono la fine della Prima Repubblica. E non poteva essere altri che lui, democristiano dalla nascita, moderatissimo figlio di un capo di Stato amato dai cittadini, a convincere milioni di borghesi a scendere in piazza per rovesciare il sistema politico che aveva guidato l’Italia per quasi cinquant’anni. Il ruolo di questo principe ereditario mancato fu decisivo» (Barbara Palombelli) • «Creammo il terreno psicologico in cui Antonio Di Pietro edificò le fondamenta dell’inchiesta Mani pulite. Oggi il ruolo dei magistrati milanesi viene gonfiato artificiosamente: dagli sconfitti di allora e da Silvio Berlusconi. I primi raccontano una bella favola, quella dell’Italia felice pugnalata a morte dai giudici malvagi; il secondo parla di toghe rosse per difendersi dalle accuse che lo riguardano e aggiunge una tesi nuova: che i partiti di centro siano stati allora cancellati da un complotto della sinistra, invece che — come fu — dal crollo del Muro di Berlino. E allora vale la pena ricordare quale fosse la situazione economica all’inizio degli anni Novanta. Eravamo fuori dall’Europa, quando Andreotti — nel 91 — firmò il trattato di Maastricht. Il nostro debito pubblico era immenso e ingovernabile, a causa della instabilità, del clientelismo e della corruzione. La mafia era aggressiva e forte. Il malgoverno era intollerabile. Una volta anche Ciriaco De Mita disse che io ero il burattinaio di Cuccia. Sinceramente, non l’ho mai conosciuto e mi dispiace tanto. La verità storica è che ci appoggiarono la Confindustria di Luigi Abete, il mondo imprenditoriale, la grande stampa. In modo trasparente e pubblico, non ci fu alcun complotto segreto. E ci aiutò molto Bettino Craxi. Quando lui, alla vigilia del referendum sulla preferenza unica del 9 giugno 91, disse agli italiani: andate al mare, con la sua arroganza ci portò alla vittoria. Fu il nostro migliore testimonial. Sono felice che oggi sia ricordato come una grande personalità politica, è stato un grande avversario, un uomo che aveva fatto cose importanti. Ero stato un suo tifoso quando, alla fine degli anni Settanta, iniziò a parlare di riforme istituzionali. Mi piaceva come capo del governo, apprezzavo la sua carica riformista. Ricordo un giorno, era l’88, discutemmo a lungo in Transatlantico, a Montecitorio. Lui mi disse di essere completamente d’accordo sulla politica referendaria. Mi chiese soltanto di aspettare un riequilibrio di forze tra Psi e Pci, poi concluse sorridendo: sei giovane, che fretta hai? La caduta del Muro e la svolta libertaria di Achille Occhetto mi convinsero, invece, che il momento era arrivato. E mentre Bettino scopriva il fascino indiscreto del potere del Caf, potere che lo portò al tracollo, io cominciai a raccogliere firme. La notte, però, non dormivo. Pensavo con angoscia: non sarà che sto portando al governo la vecchia sinistra, con il maggioritario? Da moderato, mi tormentavano i dubbi e le accuse degli amici democristiani» • Nel maggio del 92 Giuliano Amato forma il suo governo con i partiti tradizionali, ma c’è una novità. «Il comitato 9 giugno, formato da 150 parlamentari e guidato da Augusto Barbera, Enzo Bianco e da me, incontra il presidente incaricato e pone come condizioni per il voto di fiducia la legge per l’elezione diretta dei sindaci e la neutralità del governo sul referendum successivo, quello che introdusse il sistema dei collegi uninominali» (celebrato nell’aprile 93, conquistò l’83 per cento dei consensi). Nell’autunno 93, il centrosinistra guidato da Occhetto conquista le grandi città, Segni lascia la Dc e incontra Berlusconi. «Eravamo in casa di Gianni e Maddalena Letta, alla Camilluccia, a cento metri da casa mia. Berlusconi fu molto chiaro, esordì dicendo: “La situazione è disastrosa, la sinistra straripa e noi moderati dobbiamo fare qualcosa. Se tu scendi in campo, io ti aiuto con ogni mezzo. Per la prima volta ho i conti in rosso e il governo Ciampi mi sta uccidendo. Non posso accettare che le mie aziende vengano travolte... Martinazzoli già mi ha detto di no, se non ti muovi tu e se non lo farà nessuno, ci penserò io”. Fu un incontro cordiale e divertente, non mangiammo la crostata, naturalmente respinsi l’offerta. E ancora oggi non sono pentito. Forse sarei diventato presidente del Consiglio, ma so bene che un’alleanza con Silvio non consente alcuna autonomia. La sua mentalità non prevede rapporti alla pari. Ringrazio Dio di avere detto no. Cercai di impedirgli di scendere in campo, arrivai persino al patto con la Lega, che lo rinnegò dopo 24 ore, scegliendo Berlusconi» • Senza successo anche l’alleanza con Fini, tentata alle Europee del 99 • «Succede spesso, nella storia, che chi dà il via ad una rivoluzione venga poi travolto dalle stesse forze che aveva scatenato. è un fenomeno ricorrente. Guardi la fine che ha fatto anche Gorbaciov... A me ne hanno dette di tutti i colori, non so più quanti epiteti mi hanno scagliato contro, ma non ho rimpianti. Non sono un pentito. No, non sono l’apprendista stregone dell’antipolitica. Sento di avere dato al mio Paese una riforma che ha dato poteri reali ai sindaci, ai presidenti delle Regioni...».