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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

Biografia di Andrea Camilleri

Porto Empedocle (Agrigento) 6 settembre 1925. Scrittore. «Diceva Montaigne che anche se sali sul più alto degli alberi, sempre il culo fai vedere».



VITA «Andrea Calogero Camilleri nasce a Porto Empedocle (la Vigàta dei suoi romanzi) il 6 settembre 1925, all’una di pomeriggio, in un’agiata famiglia di commercianti di zolfo. Quel giorno stesso in città si tiene la processione di san Calogero (di qui il secondo nome), a cui lo
scrittore, a modo suo, si professa devoto: “Nel mio paradiso, completamente deserto di santi e di dei, c’è posto solo per san Calogero” • «Prima di sposarlo, mia madre detestava mio padre. Lo vedeva passare con
manganello, fez e camicia nera, negli anni degli scontri di strada con i
comunisti, e lo considerava un delinquente di prim’ordine. A Porto Empedocle gli scontri furono piuttosto seri. Mio padre Giuseppe
era il capo. Partecipò alla marcia su Roma. Dopo divenne segretario del fascio nella sua città. Mia madre fu costretta a sposarlo: matrimonio combinato. Ma cambiò subito idea sul suo conto. Scoprì un uomo leale, ironico, coraggioso, generoso. Insomma: Montalbano. è stata mia moglie, che l’ha conosciuto bene, a farmelo notare: “Montalbano è per tre quarti tuo papà, e tu hai scritto una sua lunga biografia”. Ha ragione»
• «La mia era una famiglia numerosa, nella quale ognuno aveva il suo ruolo preciso.
Mia madre e le sue sorelle, che erano le classiche donne di casa siciliane, al
momento opportuno avevano il compito primario di assistere mia nonna Elvira.
Una cuoca formidabile, sia chiaro. E non solo: fu lei a farmi conoscere il mio
primo libro, Alice nel paese delle meraviglie, leggendomelo capitolo dopo capitolo quando io non avevo ancora imparato a
leggere» (da un’intervista di Sebastiano Messina) • Conobbe Pirandello (su cui ha scritto un saggio biografico non indulgente,
cominciato in siciliano e finito in italiano: Biografia del figlio cambiato, Rizzoli): «Avevo dieci anni, ero un bambino. Ero imbarazzatissimo. L’ho visto una sola volta e mi sono terrorizzato perché era in divisa di accademico d’Italia, pareva un grande ammiraglio. Feluca, spadino, mantello, era venuto a
trovare mia nonna paterna. Ho avuto un rigetto da cui mi sono ripreso
tardissimo» • «Nel 47 lessi che c’era un concorso per atto unico a Firenze, giuria presieduta da Silvio D’Amico. Scrissi un atto unico quasi appositamente per quel concorso, Giudizio a mezzanotte si chiamava, vinsi il primo premio, andai a Firenze, conobbi D’Amico, conobbi Luigi Squarzina, ma tornando in Sicilia rilessi il mio testo e lo
buttai giù dal finestrino del treno. Credo non ce ne sia più traccia. Però D’Amico mi scrisse l’anno dopo: “Perché non vieni a fare l’esame come allievo regista all’accademia?”. Dissi di sì e di lì la mia vita cambiò» (da un’intervista di Rita Cirio)
• All’esame si rifiutò di preparare la prova di recitazione. «I professori lo costrinsero a improvvisare con l’aiuto di un ex allievo che era lì per caso: Vittorio Gassman» (Masolino D’Amico) • Fu espulso dall’Accademia d’Arte drammatica per un episodio che non ha mai voluto raccontare. Il presidente
dell’Accademia, Silvio D’Amico, lo convocò: «Lei è un mascalzone come tutti i siciliani!». Camilleri: «Perché, Presidente, ne ha conosciuti molti?». D’Amico: «Solo Pirandello. Ma mi è bastato» • Uscito dall’Accademia, Francesco Savio gli offrì un lavoro all’Enciclopedia dello Spettacolo. Camilleri disse: «Ma il direttore è Silvio D’Amico. Se se ne accorge mi caccia un’altra volta». Savio: «Non ti preoccupare, D’Amico è distrattissimo». Dopo qualche tempo D’Amico affrontò Camilleri: «Lei è un villano. Ci incontriamo tutti i giorni e non mi saluta mai» • «Quando ho cominciato a fare il regista avevo 33 anni. Quelle notti in attesa del
giorno dopo la prima, la mattina si andava subito a leggere le critiche! La mia
prima regia, tutti i critici vennero, loro scrivevano nella notte, tu non
andavi neanche a dormire, non ce la facevi e aspettavi i giornali. Mi ricordo
che ritenendomi io inutile come regista, perché allora c’erano direttori di scena che rendevano inutile il regista, al momento in cui lo
spettacolo iniziava me ne andai, che ci stai a fare? Uscii e camminai a piedi
fino a un posto dove c’era scritto “Capitaneria di porto”. Ma come, a Roma? Era vero, era un posto vicino al vecchio gasometro, si
scendeva, c’erano dei barconi tanto che anni dopo con Mario Landi ci girammo un Maigret
sulla Senna, che invece era il Tevere vicino al gasometro»
• A Roma dalla fine degli anni Quaranta, Camilleri lavora come regista e autore
teatrale e televisivo, collaborando, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, alla produzione delle serie del Tenente Sheridan e di Maigret (fondamentale, quest’ultima, per famigliarizzarlo con i meccanismi del giallo “europeo”) • Di Maigret ha prodotto tutta la serie. «Simenon, quando vide che avevamo scelto la Pagnani per fare la signora Maigret,
protestò: “è bella, troppo bella”. Gli facemmo notare che si trattava di una signora, in fondo, di una certa età. “Sì, ma da giovane sarà stata bellissima. E Maigret non l’avrebbe mai sposata”. Fummo costretti a imbruttire Andreina» (Marcello Sorgi). Lo sceneggiatore della serie era Diego Fabbri: «Ho imparato a lavorare in televisione da lui: prendeva 4-5 copie dei libri di
Maigret, le riduceva in fogli e faceva dei mucchietti per ogni episodio. Poi li
rimontava secondo la logica televisiva, creando i collegamenti: un tirocinio
preziosissimo» (Franco Brevini). Su se stesso regista: «...In un vecchio caffè, il “Bar Albanese”, dov’ero entrato verso sera per bere un whisky. Entro, vedo un signore che conoscevo
di vista seduto al tavolo che mi fa segno e m’invita a sedere. Dico solo: un momento, prendo da bere. Poi è il finimondo. Sarà durato 30-45 secondi, ma mi è sembrato eterno [...] Quando tutto fu finito, i tre del tavolo, padre, figlio e
guardia del corpo, erano a terra morti, crivellati da una serie di raffiche di
mitra. Fuori, per terra, ce n’erano altri tre. I feriti erano sei, gridavano. E l’aspetto più incredibile, l’unica cosa su cui continuavo a riflettere, meccanicamente, era che la realtà della scena era molto meno convincente di quelle viste tante volte nei film
americani. Guarda il sangue, com’è scuro, mi dicevo. E guarda la polvere della strada, come spegne i colori. Sì, da regista, io pensavo che quella strage si poteva mettere in scena meglio»
• Confidenza con Sciascia, di cui a un certo punto bisognò sceneggiare Il giorno della civetta: «Gli dissi: “Non è che poi piglianu e n’ammazzano?”. La risposta: “Vedrai, i mafiosi saranno in prima fila ad applaudire, perché sono vanitosi”» (Saverio Lodato). Un’altra volta, invitato a pranzo sempre da Sciascia, «alzandosi da tavola, Camilleri fece i complimenti alla moglie: “perché davvero aveva preparato un pranzo squisito, molto siciliano; Leonardo si susì, e quando uscì dalla stanza, ’a signura Maria mi disse: “Questi ringraziamenti io non posso rifiutarli pubblicamente, però devo farlo privatamente. Perché ’un cucinai io, cucina’ Leonardo”. “Pirchì, sapi cucinari?” “Sì, sì, iddu cucina tutti cosi. E sei di matina si susì pi cucinare. Ma non vuole ca si dica”» (ibidem)
• A queste attività affianca l’insegnamento all’Accademia d’Arte Drammatica. In occasione degli ottant’anni di Camilleri, Maurizio Assalto, della Stampa, ha fatto incontrare Luca
Zingaretti e Andrea Camilleri a casa dello scrittore («nel piccolo studio lungo e stretto dove Camilleri se ne sta rintanato come una
grossa talpa, [...] Intorno ci sono quadri e sculture di Canevari, Messina,
Greco, Attardi, fotografie e poster, un pupo che raffigura Gano di Maganza - «il più odiato dei paladini, quello della rotta di Roncisvalle» -, una nutrita collezione di cd di jazz, cinque scaffali pieni delle traduzioni
in tutto il mondo - Montalbano e non -, il ritaglio di un giornale ippico con
il titolo
Camilleri logico favorito - “Come trottatore ho vinto a San Siro, alle Capannelle” si vanta lui. “Ora quel cavallo non corre più, ma nella medesima scuderia ce n’è un altro che si chiama Vigàta: il proprietario dev’essere un mio lettore”») e i due hanno anche parlato del periodo in cui Zingaretti frequentava l’Accademia e aveva come professore di recitazione Camilleri: «CAMILLERI. - Ho insegnato per tanti anni, soprattutto regia. Ero succeduto al
mio maestro Orazio Costa: che sta là, in quel busto di bronzo che lo ritrae a vent’anni, fatto da Pericle Fazzini che ne aveva 18. Ma a volte mi capitava pure di
insegnare recitazione: quell’anno recitazione televisiva. ZINGARETTI. - Eravamo una classe piuttosto
irrequieta, ma le sue lezioni non ce le perdevamo. CAMILLERI. - Spesso le
continuavamo al bar.... ZINGARETTI. - Si parlava un po’ di tutto. Era un eccezionale affabulatore, molto bravo a trovare il dettaglio
originale nel gesto quotidiano. Magari ci inchiodava due ore sull’uomo che aveva appena visto prendere il cappuccino. Che poi è anche la grandezza del suo modo di scrivere -»
• «Ero un discreto regista ma come scrittore mi consideravo un fallito» • Ha fatto tutta la vita il regista televisivo, senza riuscire ad affermarsi come
scrittore (dieci rifiuti consecutivi, infine nel 1978 ha pubblicato da Lalli,
che stampa a pagamento per gli illusi). La scoperta del talento e il clamoroso
successo in libreria è arrivato quando era già vecchio • Il successo arriva con i primi libri pubblicati da Sellerio, negli anni
Ottanta, quando è già andato in pensione. Successo basato tutto sul passaparola: i lettori si
raccontano che le sue storie sono belle e divertenti. Il primo vero boom è con La concessione del telefono, ambientato alla fine dell’Ottocento. Poi arrivano le storie del commissario Montalbano. Diventa in questo
modo l’autentico caso letterario dell’ultimo quarto di secolo • «Ho cominciato a scrivere giovanissimo e delle mie antiche poesie restano tracce
in un’antologia di Ungaretti. Poi uno stop lunghissimo: oltre trent’anni di teatro e di televisione. Quando nel 68 ricominciai fu come riaprire una
parentesi. Ma fino al 92 un’altra pausa, il mio lungo addio al teatro» • «Spesso utilizzo come miniera un’inchiesta governativa del 1875 sulla Sicilia, un documento con trascrizione
stenografica delle interviste della commissione. Mi basta una frase, uno spunto
qualunque. Per esempio: per La stagione della caccia sono partito dal dialogo tra il senatore Cusa e un sindaco della provincia di
Caltanissetta: “Da queste parti avete fatti di sangue?”, “No, eccellenza, solo un delitto d’amore con sette morti”. Un’altra inchiesta di quegli anni, la Franchetti-Sannino, si limitava ad elencare
una serie di conclusioni. Franchetti però scrisse un diario siciliano e in una sua pagina si parla di un ispettore di
mulini che trovò un prete morente per una fucilata, diede l’allarme ma venne accusato dell’omicidio. Questo l’avvio de
La mossa del cavallo» • «Nella mia famiglia si parlava sia il dialetto sia l’italiano. Quando mi esibivo con dei raccontini a voce capivo di essere più efficace se usavo una lingua mista. Cominciai a chiedermi perché l’italiano non mi bastava e studiai come Pirandello faceva parlare i suoi
personaggi. Più tardi mi colpì la sua affermazione “la lingua esprime il concetto, il dialetto il sentimento di una cosa”: è diventata la base del mio scrivere» • «Mia moglie dice che più che uno scrittore sembro un corrispondente di guerra. Voglio avere vicino i
miei nipotini, che mi devono interrompere, tirare per la giacchetta. E poi
voglio sentire sempre il canto degli uccellini...» • Interrogato sull’aspetto fisico di Montalbano, che Camilleri non ha mai descritto, lo scrittore
ha risposto: «Non l’ho mai visto tutto intero. Una volta i capelli, una volta il neo, una volta i
baffi. Ne ho sempre avuta un’immagine confusa. Finché un giorno, alcuni anni fa... Avevo appuntamento a Cagliari con un professore di
letteratura di quella università, Giuseppe Marci, che mi aveva invitato a chiudere un suo corso. Eravamo d’accordo che per farsi riconoscere avrebbe avuto con sé una copia del
Birraio di Preston. Bene, sceso all’aeroporto ho avuto la sorpresa di imbattermi in Montalbano col Birraio sottobraccio. Era proprio lui. Lo scrissi a Carlo Esposti, il produttore della
serie tv: peccato che un attore così somigliante non esista» (in tv, il commissario Montalbano è interpretato da Luca Zingaretti). Idem per la donna di Montalbano, Livia: «L’ho conosciuta a Boccadasse nel 1950, si chiama Raffaella Perillo. L’ho rivista quando sono andato a Genova a presentare La mossa del cavallo. Una bella vecchietta» • Lo scrittore dice di aver pronto il finale delle avventure di Montalbano. Ha
confessato a Maurizio Assalto: «“Proprio il fatto che Montalbano - a differenza di altri personaggi seriali, come
Sherlock Holmes o Maigret - invecchia, partecipa alla vita di tutti i giorni,
mi rende sempre più difficile stargli dietro. Così ho deciso di scrivere il romanzo finale. Mi è venuta l’idea e non me la sono fatta scappare. Ma non è che finisce sparato o va in pensione o si sposa Livia, come piacerebbe ai
lettori: ci voleva una trovata alla Montalbano per fargli abbandonare la scena.
Anche se non è detto che questo libro uscirà subito, magari se mi viene ne pubblico prima qualche altro, o magari uscirà postumo”. Non ci vuole proprio anticipare nulla? “Posso dire che nelle pagine che sto scrivendo c’è uno scontro continuo fra me e il personaggio. Montalbano si lamenta, ‘sono vecchio, sono vecchio...’. Non è vero niente, gli rispondo, è che ti sei rotto le palle! Per la verità io scrissi il secondo Montalbano perché avevo lasciato alcune cose in sospeso sul carattere del personaggio. Il
successo di questo libro, che ha trascinato tutti gli altri, è quello che mi ha fottuto, che mi ha costretto a andare avanti fino a ora”. Sì, ma la trovata alla Montalbano? “Il personaggio non può che finire nel momento in cui comincia a pensare al doppio. Cioè comincia a pensare a Zingaretti. E si trova sopraffatto dall’altro personaggio. E non trova in Camilleri l’appoggio necessario per andare avanti. Così gli fa un discorso cinico: ‘Senti un po’, quando io stampo un libro e sono 500 mila copie si tocca il cielo con un dito;
quando l’altro appare in televisione sono 10 milioni di spettatori: che vogliamo fare?’. Allora Montalbano ha un’idea montalbaniana. L’inizio di questa cosa è lui che arriva sul luogo del delitto, e tutta la gente, sulla strada, col
morto, tutti affacciati ai balconi che pare una festa. ‘Il commissario arrivò, Montalbano arrivò!’. ‘Cu, chiddru della televisione?’. ‘No, chiddru vero’. A Montalbano gli girano i cabasisi e...”».



COMMENTI «è un fenomeno, visto che riesce a trasformare la letteratura in un prodotto di
largo consumo. Una vaga parentela con certi gufi saggi e amabili dei cartoni
animati, un vocione fondo da tabagista. “Quella di Camilleri è una narrativa da intrattenimento alto”, sentenziava Carlo Bo. Particolare non da poco: un tipo di narrativa quasi
inesistente in Italia» (Donata Righetti) • «Con La concessione del telefono Camilleri ci propone un romanzo epistolare (struttura già adatta al racconto d’amore) in cui, con forzatura geniale, sviluppa una feroce (ma irresistibile)
satira…» (Angelo Guglielmi) • Spesso detestato dai siciliani. Vincenzo Consolo: «La cifra linguistica di Camilleri è di tipo folclorico di secondo grado, nel senso che lui usa una lingua mutuata
dai mezzi di comunicazione di massa»; Pietrangelo Buttafuoco: «Pulp fiction alle sarde»; Francesco Merlo: «La letteratura masochista, alla Camilleri, che per divertire il mondo oltraggia
la Sicilia».



POLITICA «Sono sempre stato comunista. Persino nel 1956, quando molti se ne andarono dal
partito per i fatti di Ungheria, rimasi perché pensavo che, in un mondo spaccato in due, i sovietici facessero bene a tenere
sotto controllo la propria parte».



TIFO No, ma per poco: «Qualche anno fa guardai in tv una partita bellissima. Rimasi affascinato dalle
geometrie, da quel certo senso di attesa tra i giocatori... Mi appassionò a tal punto che decisi di smettere, altrimenti sarei diventato un tifoso
incallito».



VIZI Fuma • Le donne. Fu cacciato dall’Accademia, per sua ammissione, a causa di una storia boccaccesca • «Fino a pochi anni fa beveva una bottiglia di whisky a digiuno, senza restare
ubriaco: “Questo era il guaio, non perdevo né staffe né sentimenti”» (Stefania Rossini) • «Adoro stirare».