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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

BOSSI Umberto Cassano Magnago (Varese) 19 settembre 1941. Politico. Segretario della Lega Nord. Eurodeputato

BOSSI Umberto Cassano Magnago (Varese) 19 settembre 1941. Politico. Segretario della Lega Nord. Eurodeputato. Eletto al Senato nell’87, dal 1992 al 2006 deputato. Ministro per le Riforme nel secondo governo di Silvio Berlusconi (fino all’ictus dell’11 marzo 2004). [ye] Vita «Dopo il diploma di scuola superiore si è iscritto alla facoltà di Medicina dell’Università di Pavia, ma non ha completato gli studi. Ha fatto il muratore, ha lavorato in una lavanderia, ha suonato in un complesso rock, è stato dipendente dell’Automobile Club, scaricatore di frutta e verdura, assistente alla camera operatoria in un ospedale. Bossi è stato attratto dalla politica fin da giovanissimo, partecipando al movimento studentesco di sinistra durante il 1968. In seguito ha militato, in rapida successione: nel gruppo comunista Il Manifesto, nel partito di estrema sinistra Pdup, nell’associazione dei lavoratori cattolici di sinistra Arci, e nei Verdi. Nel 1979 ha incontrato Bruno Salvadori, leader dell’Unione Valdôtaine, il partito locale di maggioranza nella regione nord-occidentale della Val d’Aosta, e lo ha aiutato a diffondere nel Nord le idee autonomiste e federaliste. Nel 1984 ha fondato la Lega Lombarda, diventandone il segretario. Nel 1989 ha promosso l’unificazione del suo movimento con altri gruppi regionalisti nel Settentrione, formando la Lega Nord e assumendo la carica di segretario. Nel 1994 si è alleato con il partito di centrodestra di Berlusconi, per le elezioni della primavera, vinte da questa coalizione. Nel dicembre di quell’anno, però, è uscito dalla maggioranza, alleandosi con l’opposizione di centrosinistra e determinando, così, la caduta del primo governo Berlusconi» (da un rapporto della Cia) • «è stato mio padre a mettermi in testa un sacco di cose. Era un tessitore di Gallarate e mi diceva sempre: qui c’è un sacco di gente, imprenditori, lavoratori, che non sono contenti, ma nessuno ha il coraggio di dire come stanno davvero le cose. Allora, alla fine degli anni 70, quando mi sono trovato a fare politica, quelle cose le ho dette io» • «Fu un semplice trattino a fare nascere il 1° febbraio del 1991 la Lega Nord al congresso di Pieve Emanuele, alle porte di Milano. La Lega lombarda, la forza più grande dei vari movimenti autonomisti, viene di fatto affossata da Umberto Bossi con un colpo di mano e fatta rinascere. Da quel momento la Lega si chiamerà in successione Lega Lombarda-Lega Nord, Lega Nord-Lega Lombarda, Lega Nord-Padania, fino ad arrivare alla definizione attuale di Lega Nord per l’indipendenza della Padania. Sul nome, Bossi gioca a Pieve Emanuele la sua partita più complessa. Il suo oppositore interno, Franco Castellazzi, il numero due, voleva confinarlo al ruolo di segretario della Lega Nord, riservandosi il ruolo di segretario della Lega Lombarda, più potente. Un’inversione dell’ordine del giorno e l’unificazione dei nomi fa franare i sogni di Castellazzi. Inizia lì il suo progetto di scissione. Quasi ci riesce: “Castellazzi tentò di tutto e fu sul punto di sconfiggere Bossi, abbandonato dal ras della bergamasca Luigi Moretti e da molti consiglieri regionali lombardi”, ricorda Roberto Maroni ma la reazione del senatùr fu micidiale. Il povero Moretti pianse per una notte poi abbandonò i cospiratori. Castellazzi fu espulso, nella Lega non ci si dimette, e Bossi divenne il padrone incontrastato. E lo è ancora. Giuseppe Leoni, architetto, uno dei veterani ricorda quei giorni: “Fu una tappa obbligata, mi ricordo i consigli federali in cui si santificava quello che voleva il capo. Il mio ruolo a quei tempi era di essere la sua ombra. Bossi era Merckx e io il gregario. Lui era un cannibale, nessuno degli altri aveva la sua statura”. Anche Vito Gnutti, un ministro leghista che uscì nel 1998 in contrasto con Bossi sugli eccessi secessionisti ricorda con entusiasmo quei tempi: “Di quegli anni ho ricordi ottimi, ci sembrava di cambiare il mondo. Quando uscii dalla Lega Bossi mi disse: ‘sei una testa di cazzo, non capisci niente’, ma di lui conservo un ricordo ottimo”. Il 5 aprile del 1992 Bossi raccoglie i primi frutti del suo impegno basato anche su 200-300 mila chilometri l’anno a bordo della Citroen Cx amaranto, di centinaia di comizi, di interminabili pranzi alle due di notte. Ma non c’è solo la base, a dare lustro e consistenza culturale arriva un illustre accademico, il professor Gianfranco Miglio, acclamatissimo. La Lega porta in Parlamento 80 tra deputati e senatori. I parlamentari leghisti calano a Roma inquadrati dal segretario amministrativo Sandro Patelli, quello poi dei duecento milioni di tangenti, il “pirla”, che alza un ombrello per guidare la truppa. Si avvera la previsione di Bossi fatta bevendo un chinotto nell’87: “Saremo il primo partito della Lombardia alle regionali, avremo 80 deputati alle politiche e poi il sindaco di Milano”». [yf] Portata la Lega nello schieramento che vinse le politiche del 1994 (con Forza Italia nel Polo delle Libertà), dopo meno di un anno, contrario a provvedimenti che colpissero le pensioni e deluso dal poco impegno della coalizione sul federalismo, provocò la crisi di governo (“ribaltone”). Tornato nel 2001 l’accordo con Forza Italia (dopo che alle elezioni del 1996 ognuno era andato per conto proprio lasciando via libera a Romano Prodi e all’Ulivo), una volta al governo fu uno dei punti di forza di Berlusconi anche nelle battaglie interne al Polo: Udc e Alleanza Nazionale lo hanno sempre vissuto come un alleato di cui non fidarsi, un corpo estraneo • L’11 marzo 2004, poco prima che Madrid venisse sconvolta dalle bombe, fu vittima di una crisi cardiaca: la moglie Manuela Marrone raccontò che alle 6.30 si era alzato di botto, «ma non riusciva a smettere di tossire ha creduto di avere un accesso di bronchite e mi ha chiesto di chiamare un’ambulanza...». Si salvò solo grazie al pronto intervento dei medici del piccolo ospedale di Cittiglio, pochi chilometri da Gemonio (dove il leader della Lega vive). Attilio Fontana, presidente del Consiglio regionale della Lombardia, disse che era un segno del destino: «Per tenere aperto quell’ospedale abbiamo fatto una battaglia durissima come Lega Nord, verso la fine degli anni Novanta lo volevano chiudere insieme a quello di Luino per realizzarne un terzo a Cassano Valcuvia. Ma noi abbiamo tenuto duro e ora in quell’ospedale hanno salvato l’Umberto». Il senatùr deve la vita anche alla neve, che costrinse l’ambulanza a portarlo all’ospedale più vicino: «Se avessero preso per Varese, sarebbe arrivato morto», commentò Roberto Calderoli. Che il cuore di Bossi fosse a rischio si sapeva dal 1991, quando aveva avuto un’ischemia. Poi un malore nel 1996, qualche disturbo nel 2001 • «Io prima ero una belva, un motore a scoppio che andava sempre, potevo stare una settimana senza dormire; giravo tutte le piazze del Nord Italia senza mai fermarmi, ero capace di andare a Pordenone e tornare di notte in macchina da solo, in automatico. Quando eravamo sotto elezioni, poi, scrivevo tutto il giornale da solo in due giorni. Queste cose non le posso fare più» • Subito dopo l’ictus, il partito sostituì Bossi con un quadrumvirato formato da Maroni, Roberto Castelli, Calderoli e Giancarlo Giorgetti: «Ho detto subito: forse è il caso che vi pigliate un altro segretario. Ma mi hanno tirato via dall’ospedale e costretto a venir via con loro» • Nel 2005, a poche settimane dalla fine della legislatura, riuscì a far approvare definitivamente — dopo due letture a Montecitorio e due a Palazzo Madama — una riforma della Costituzione in senso federalista (più poteri alle Regioni, Camera con funzioni diverse dal Senato ecc.) poi bocciata in un referendum confermativo (per la prima volta dopo molti anni andò a votare più del 50 per cento degli italiani, più del 60 per cento di questi votò no). Tornato all’opposizione, ha fatto discutere invitando allo sciopero fiscale (o almeno delle lotterie), alla “guerra di liberazione” («se non si può cambiare la Costituzione, visto che abbiamo perso ogni barlume di lucidità democratica, allora la nostra libertà bisogna raggiungerla non in Parlamento ma con la lotta di liberazione e uomini pronti a lanciarsi nel sacrificio»), alla rivoluzione («se non si va al voto, andiamo a Roma e facciamo la rivoluzione. Ci mancano un po’ di armi, ma le troveremo...») ecc. Michele Serra: «Se l’Umberto ogni tanto ulula ancora alla luna è solo per lo spettacolo. Per illudersi e illudere quel poco che rimane del suo zoccolo duro». [yg] Dalla prima moglie Gigliola Guidali ha avuto il figlio Riccardo (1977), che ha fatto spesso parlare di sé (nel 2007 perfino per una possibile partecipazione all’Isola dei famosi). Altri tre figli, Eridanio Sirio (1995), Roberto Libertà (1990) e Renzo (1988), li ha avuti dalla seconda moglie, Manuela Marrone, «la donna che, se Bossi fosse una rockstar, i biografi definirebbero una “milestone”, una pietra miliare. Lo conobbe nel 1982. Fu lei a offrire un tetto a quel lungagnone spiantato e stravagante che la stordiva di parole. Lo accolse nel suo monolocale a Varese, dove insegnava dalle suore del Collegio Sant’Ambrogio (anche le sue tre sorelle sono diventate insegnanti). In quel buco di 40 metri quadrati, prima sede ufficiosa della Lega lombarda, scrisse con lui i manifesti e i volantini da distribuire tra Pontida e le valli, ai tempi in cui il moroso era tenuto d’occhio dalla Digos. Nel 1987 fu consigliere provinciale: delusa, non ripeté l’esperienza. Con la Lega vincente, poi al governo con Berlusconi, era già tornata alla famiglia. “Sono una mamma militante”, disse in una rara intervista. Vita politica ridotta al minimo (ma anche prima, ai raduni, niente riflettori, né camicie verdi né parolacc e). All’apice dell’ascesa leghista, nel 1993 divenne sindaco di Milano un ex funzionario regionale, Marco Formentini, in età da pensione. Un giorno la moglie Augusta, detta la First Sciura, che poi si sarebbe vantata di aver convinto l’Umberto mangiapreti a sposare la cattolica Manuela (li sposò proprio il sindaco nel 1994, dopo 12 anni nel peccato), le propose un concerto alla Scala, dove Manuela non era mai stata: “Mi piacerebbe tanto”, disse, “ma non ho nessuno che mi tenga i bambini”. A tutt’oggi, il modello familiare del senatùr esclude l’aiuto domestico: “è sbagliatissimo”, ha dichiarato, “il sistema famiglia basato sulle colf. I figli hanno le braccia e si danno da fare”. Ancora adesso a Gemonio la signora Bossi fa la spesa tra il mercoledì e il giovedì, macellaio e fruttivendolo. Ogni mezzogiorno Sara, la fornaia, consegna a casa del ministro cinque panini. Una delle poche volte che la signora fu avvistata a Milano (dov’è nata, di madre milanese e padre siciliano) fu in occasione dell’apertura del nuovo Piccolo Teatro. Davano Pierino e il lupo di Prokofiev. I due figli colpirono i presenti per la loro buona educazione. Segno che una brava madre sa imporsi anche al più longobardo dei longobardi» (Enrico Arosio). [yh] Critica «Bossi è così: immerso in fantasie “salgariane e adolescenziali”, secondo quanto disse di lui Beniamino Andreatta, oppure capace di prospettare cospirazioni della massoneria mondiale, insieme con la finanza plutocratica, i servizi deviati, la Cia e il Kgb, come ridacchiava Gianfranco Miglio, suo ripudiato maestro di politica e antropologia. D’altra parte, l’Umberto è poliedrico, eclettico, infinitamente versatile: nessuno può dire chi è veramente il Senatur, qual è la sua identità segreta e definitiva. è il cantante che nel 1961 partecipò con lo pseudonimo di Donato al Festival delle voci nuove di Castrocaro? è l’uomo delle tre feste di laurea senza laurea, nel travolgente ritratto di Gian Antonio Stella? è il grande improvvisatore che in uno scompartimento ferroviario racconta a Giorgio Bocca di aver fatto parte di un’équipe di chirurgia cardiaca specializzata in interventi “alle alte temperature”, grazie alle sue conoscenze di elettromeccanica? O piuttosto è lo strepitoso autore di invenzioni politiche che si sono assicurate un posto in prima fila nel panorama politico nazionale, come la secessione, il federalismo, il ribaltone?» (Edmondo Berselli) • Giorgio Bocca: «Quando nel 1992 entrai nella sua anticamera, in via Arbe, c’erano quelli di Time ancora sbalorditi. Li aveva ricevuti in un abito nocciola a quadrettini e una cravatta a fiori. Molto soddisfatto. Sei anni prima friggeva le patate nelle feste di paese e andava ad attaccar manifesti della Lega di notte. Ed ora ecco arrivare gli inviati dei più famosi giornali del mondo per capire se questo tipo occhialuto, nasuto, scarruffato è un nuovo dittatore o un innocuo federalista come dice di essere. E invece è un’altra cosa ancora, un casciabal con il fiuto per la politica. è il mio turno, si toglie la giacca e la cravatta e mentre io tiro fuori carta e penna è già partito per le sue favolose memorie: “Ma come, non sai che sono un elettromedico? Io se vuoi ti fabbrico un laser. Ero nell’équipe del professor Zuffi all’ospedale di Varese, quello dei trapianti di cuore, studiavamo il cuore alle alte temperature. Non volevo entrare in politica, ma quando tu capisci una cosa, ne sei certo, come fai a piantarla. Noi avevamo capito che il centralismo politico era in crisi, che era basato su un automatismo fasullo: se hai i soldi comperi il consenso, se hai il consenso vinci le elezioni e ottieni il potere, se hai il potere trovi nuovo denaro. Un circolo magico, infallibile e invece è bastato mettere un bastone in quell’ingranaggio per farlo saltare”. E in questo diceva il vero. Anche allora la Lega politicamente era poca cosa, fuori del potere economico, fuori dalla cultura ma per il semplice fatto di esistere, di togliere voti ai partiti storici: democristiano, socialista, comunista, faceva cadere il principio della loro necessità, diceva che il re della partitocrazia era nudo, suggeriva al Cavaliere di Arcore, che di soldi ne aveva e molti, come arrivare al potere. Era presuntuoso e ambizioso il giovanotto nasuto e scarruffato, non voleva aiuti di concorrenti, non voleva dare contenuti seri al suo vago lombardismo. Contarono anche le qualità istrioniche dell’uomo, la voce cavernosa, il brutto che piace alle donne, il parlar chiaro, blasfemo, irridente, il genio della battuta: “Giulio Andreotti? L’unico gobbo che porta sfortuna”, “Roma ladrona”, “Napoletani, basta lamenti, ditecelo voi che cosa possiamo fare per voi”. Inventava poco la Lega, parlava a vanvera il suo leader nasuto, ma coglieva anche delle verità: “Parlate sempre di mutamento e poi vi stupite che gli unici che hanno cambiato veramente qualcosa trovino consensi?”. Erano una banda sgangherata quelli della Lega ma la partitocrazia era un edificio marcio che aspettava solo per cadere qualcuno che le desse una spinta». [yi] «Scenari incredibili. Il rito dell’ampolla, sul Monviso, l’acqua del Po raccolta con una specie di preghiera druidica. Il catamarano. I gazebo “della libertà”. Il muro intorno alla villetta di Gemonio, forse abusivo, forse no. Le nottate negli hotel di Ponte di Legno. Foto in piscina di lui che palpa una signorina. Ma anche le passeggiate con il codazzo a Montecitorio, a Roma ladrona. Pare di rivederlo una volta in un angolo di penombra, con Bettino Craxi ormai alla fine, e il leader socialista si commosse, a sorpresa, e anche Bossi ne fu turbato. Quanti ricordi buffi, anche, e grotteschi. Le sparate insurrezionali bergamasche; le falloforie contro la povera Margherita Boniver (“Ah, bonassa!”); la proposta di macellare sul posto la mucca Ercolina, per farne bistecche. Spezzoni di tg, di Porta a porta e di altri talk-show. In canotta “popolana”, su una spiaggia della Sardegna, mentre con un bastoncino disegna strani piani, stranissimi geroglifici sulla sabbia. E poi nel parco di Arcore, con Berlusconi che lo chiama “Umbertone” e gli mette la mano sulla spalla. E scherzano, i due, su un certo pigiama. Esagerato, grossolano, efficacissimo: le virtù politiche di questo tempo» (Filippo Ceccarelli) • «Le ha sempre sparate grosse. Una volta lo registrarono mentre diceva ad Alberto Mazzonetto, il segretario provinciale della Lega di Venezia che era intercettato: “Avremo tutti il mitragliatore in mano, sarà una soddisfazione enorme portarmene all’altro mondo il più possibile di questa merda vivente”. Un’altra ringhiò: “La mia donna e i miei figli devono sentire l’odore della polvere da sparo”. Un’altra ancora: “Noi i fascisti di Gianfranco Fini li attaccheremo sempre: li teniamo sotto il tiro del nostro Winchester”. E via così, a seconda dei nemici del momento: “L’esercito albanese ha lasciato le caserme e le armi incustodite. Se capitasse in Italia noi sapremmo cosa farne”. “Berlusconi vorrebbe vedermi ma se mi telefona gli faccio sentire il rumore del rullo del revolver”. A chi gli rinfacciava di essere un cattivo maestro, tuttavia, ha sempre risposto che neppure l’assalto al campanile di San Marco del 1997 era riconducibile a lui, che anzi lesse sulle prime l’episodio come “una cosa che puzza di servizi”. A un congresso al Palavobis, appioppò a Stefano Galli, il segretario di Como autore d’una mozione sul “diritto alla legittima difesa”, una pubblica bacchettata: “Il nostro fratello padano, certamente in buona fede, confonde l’amore per la Padania con qualcosa d’altro. Noi non siamo nazionalisti: siamo patrioti. Noi siamo per l’amoooore! La violenza la lasciamo allo Stato italiano! Siamo gandhiani. Ué, bestia, hai capito?”. Quando si vantò d’aver fermato lui “trecentomila bergamaschi che stavano per ribellarsi con le armi allo Stato”, Stefano Benni lo prese per i fondelli con una poesiola: “Eran trecentomila bergamaschi con fucili e cannoni / o forse eran tremila armati di forconi. / O forse eran cinquanta / ultrà dell’Atalanta. / Vabbè ero io da solo / però avevo un punteruolo”» (Gian Antonio Stella). Vizi«Fumavo due pacchetti di sigarette al giorno. Adesso fumo il toscano. Alcol no, sono astemio, ho sempre bevuto solo Coca-Cola: zucchero e caffeina ti danno energia». Tifo Da bambino era interista «perché era l’Inter che vinceva tutto. Ma ora a casa siamo milanisti. L’Inter mi sembra una squadra poco seria...» (nel 2007). [yj]