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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

STORACE

Francesco Cassino (Frosinone) 25 gennaio 1959. Politico. Senatore. Di Alleanza nazionale.
Ex presidente della Regione Lazio, è stato per cinque anni presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza
sulla Rai. Ministro della Sanità nel Berlusconi III, in sostituzione di Sirchia, si dimise nel marzo 2006 in
conseguenza del cosiddetto Laziogate (incredibile spy-story fatta di
pedinamenti, intercettazioni, pirateria informatica e falsificazione delle
firme a sostegno delle liste di Alessandra Mussolini che alle elezioni
regionali tanto fastidio davano al governatore uscente)
• Figlio di un rappresentante di commercio, «ex ragazzo di piazza Tuscolo dove dava e prendeva legnate, ex giornalista del
Secolo d’Italia, ex fantasioso portavoce di Fini. Epurato della Rai ai tempi in cui era
al vertice della Commissione di Vigilanza. In un ritratto sul Secolo d’Italia diceva: “Detesto il clima di ipocrisia generale. Se ti ribelli, se alzi la voce, dicono
che sei impresentabile. Un tempo ci dicevano estremisti, oggi ci vorrebbero
moderati. Ma moderato è una parola scema, che vuol dire? Niente. Io dico che bisogna essere
intransigenti, fare le battaglie con convinzione perché solo così, alla fine, le puoi vincere”» (Amedeo La Mattina)
• All’inizio degli anni novanta, fu a capo dei servizi parlamentari del Secolo d’Italia, e poi dell’ufficio stampa del partito: «Come capoufficio stampa rompevo le palle a tutti i giornalisti per far passare
le cose di Fini. Ero un tormento. Ricordo che mi inventavo le cose più strane, e infatti Prima Comunicazione mi dedicò un articolo molto bello intitolato: “Lo sparaballe”. Due pagine! Ma il meglio fu la storia, accreditata, secondo cui Fini era il
megafono di Cossiga. Invece ero io che scrivevo dichiarazioni appositamente
studiate in cossighese, che avvaloravano l’invenzione per cui quando, per qualche ragione, il presidente della Repubblica
non voleva parlare, interveniva in sua vece Fini. Intendiamoci, era tutto
concordato: sia Fini che Cossiga sapevano. La storia nacque così: era arrivato il momento del primo messaggio di fine anno di Cossiga al
Quirinale. Il 31 pomeriggio avevo saputo da un amico che il presidente avrebbe
parlato solo 3 minuti. Avvisai Fini: guarda che Cossiga sarà brevissimo, facciamo noi una dichiarazione lunga incentrata sul tempo per
tacere e il tempo per parlare. Ci lavorai fino a sera, infilandoci una serie di
metafore cossighesi. La leggo a Fini, che subito mi dice: “Figurati, parlerà ore…”. Alle 20.40 suona il telefono, era Fini: “Avevi ragione — mi dice — è stato brevissimo, aspetta domattina e detta il comunicato”. Il giorno dopo, 1 gennaio, appena la nostra dichiarazione esce sulle agenzie,
i giornali iniziano a telefonarmi. Io sparo: “Fini mi ha svegliato alle 7 per dettarmi la dichiarazione”, e faccio il vago sul resto, sapendo che, dalla mia vaghezza, i giornalisti,
che sapevano quanto fosse mattiniero Cossiga, avrebbero dedotto che aveva
svegliato Fini alle 6, per dettargli la dichiarazione, che poi Fini aveva
dettato a me, e io alle agenzie. Morale: Repubblica il giorno dopo esce con un
titolone gigantesco: “Cossiga parla attraverso Fini”. Una balla clamorosa!» (da un’intervista di Antonello Capurso)
• Tifa per la Roma: «“Meglio froci che laziali”, disse una volta Storace a Scherzi a parte, poi si scusò» (Concita De Gregorio).