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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

PLACANICA

Mario Catanzaro 13 agosto 1980. Il carabiniere che il 20 luglio 2001, a Genova durante
il G8, uccise il giovane militante no global Carlo Giuliani (posizione
archiviata per legittima difesa). Nel 2005 è stato congedato dall’Arma («non è idoneo al servizio militare in modo assoluto») • «Il mio reparto era arrivato in città tre giorni prima. Tutti ragazzi, tutti in tensione palpabile. Ci alloggiarono
in Fiera, uscivamo solo per servizio. Quel giorno siamo andati a letto tardi,
dopo l’una, ci siamo svegliati alle sei e mezza già stanchi e ci siamo messi a scherzare tra di noi per alleggerire la tensione. Ci
hanno dato l’attrezzatura, scudi, tanfe, lacrimogeni. Ne ho sparati quattro in aria prima che
mi prendessero il fucile perché non sapevo sparare. Era il mio primo servizio vero. Avevo fatto ordine pubblico
in Sicilia, allo stadio. Ero al Celeste di Messina, vicino a quel ragazzo
colpito da un petardo e morto. Il reparto rimase tre ore davanti alla Fiera.
Qualcuno perquisiva i manifestanti in arrivo, altri stavano a guardare nervosi.
I primi scontri li abbiamo avuti davanti al palco nel campo dei no global.
Lanciavano molotov, pietre - una mi ha colpito a uno stinco - oggetti
metallici. Non li abbiamo attaccati, ci siamo solo difesi. E non nego che in
tanti avevamo paura. Poi, dopo le 14 e con due panini nello stomaco, ci siamo
trovati nel posto in cui è stato bruciato il blindato dei carabinieri. Siamo arrivati a piedi e siamo
entrati subito in azione. C’era da impazzire. Mi sono sentito male per i gas lacrimogeni. Vomitavo, e come
ho visto il Defender sono salito a bordo per chiedere al carabiniere Filippo
Cavataio, che ho trovato lì, qualche rimedio per gli occhi. Tutto attorno, da quello che potevo vedere, c’era il caos e i miei colleghi tornavano indietro. Sul Defender salì anche un altro carabiniere, Dario Raffone, s’era sentito male anche lui. Da qui in poi i miei ricordi diventano sfuocati,
tanto gli eventi sono stati convulsi. Ho preso una botta in testa da quella
trave infilata nel Defender. Perdevo sangue, la mia faccia, le mie mani, la
divisa, la pistola erano insanguinate. Pure Cavataio era imbrattato di sangue.
Ho pensato: “Oggi mi cupano”, oggi mi fanno fuori. Ho preso allora la pistola. Ho sparato. Nella posizione
in cui mi trovavo, semidisteso nell’auto, potevo sparare solo verso l’alto. La mia mano con la pistola era al di dentro dell’auto, ne sono certo, e non fuori come appare in qualche strana immagine. Ho
sparato due colpi in successione, uno sembra sia finito sul muro della chiesa,
l’altro - dicono - avrebbe ucciso Carlo Giuliani» (da un’intervista di Pantaleone Sergi).