Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
RAULE Sonia Padova 1961. Moglie di Francesco Tatò (conosciuto «A cena da Alessandra Borghese, nella sua casa vicino a Montecatini»)
RAULE Sonia Padova 1961. Moglie di Francesco Tatò (conosciuto «A cena da Alessandra Borghese, nella sua casa vicino a Montecatini»). E prima di Bernardino Campello (figlio di Maria Sole Agnelli) • «Nel suo passato di modella, ha lavorato con Richard Avedon e altri grandi della fotografia, ma in fondo stare davanti all’obiettivo l’annoiava abbastanza, e ha preferito smettere e sposarsi. Non per fare la moglie tranquilla tutta casa, marito e bambino, ma per seguire altri interessi e sentirsi più realizzata. Così fonda un’associazione culturale per salvaguardare il patrimonio ambientale e storico delle Fonti del Clitunno, proprietà di famiglia del marito Bernardino Campello. Poi, organizza rassegne di poesia per il Festival di Spoleto, cura mostre d’arte insieme al critico Achille Bonito Oliva e, per caso, arriva in televisione. Prima, un talk show su Cinquestelle, dal titolo Esercito: forza armata, e poi Ecologia domestica su Raidue. Infine Art’è, in prima serata su Raitre ogni sabato» (Lucia Castagna) • «Ci furono molte polemiche quando Sonia Raule, moglie dell’amministratore delegato dell’Enel Francesco Tatò, fu nominata da Vittorio Cecchi Gori direttore dei programmi di Telemontecarlo. Intervenne perfino Fassino a dire che era uno scandalo. Molti pensarono che si trattasse dell’ennesimo caso di nepotismo, raccomandazioni e inciucio di affari. Altri, soprattutto le donne, ci lessero il ritorno di un sempreverde violento antifemminismo che non vede con piacere una donna prendere il posto di un uomo» (Claudio Sabelli Fioretti) • «Bella, ambiziosa, intelligente. Un’eroina dei nostri tempi: tempi dove conta l’apparenza e dove la bellezza e il potere si coniugano sempre più volentieri... Mi sembra chiaro: se non fosse stata bellissima avrebbe faticato ad arrivare fin là» (Carlo Rossella) • «A volte sembra che se la tiri un po’ (troppo)» (Maxim) • «Da ragazza, quando ancora frequentavo il liceo linguistico a Padova, ogni pomeriggio andavo a lavorare nel laboratorio di Donato Sartori, che faceva maschere per il teatro. Volevo essere indipendente, ed era come mettere le ali e volare».