Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
CIARRAPICO
Giuseppe Roma 28 gennaio 1934. Editore di estrema destra (l’Opera omnia di Mussolini curata da Marcello Veneziani), poi finanziere,
faccendiere, mediatore tra De Benedetti e Berlusconi al tempo della guerra per
la Mondadori e autore del lodo che porta il suo nome («venne Passera e aveva un camion di documenti, io gli dissi che m’ero portato dietro solo un quaderno a quadretti e che mi proponevo di adoperare
una sola pagina, su cui avrei tracciato una linea verticale, come si fa a carte
quando si devono segnare i punti, in cima allo spazio di sinistra avrei scritto
De Benedetti, e sotto quello che chiedeva, in cima a quello di destra
Berlusconi, e idem»: come si sa, il lodo assegnò la Mondadori a Berlusconi e l’Espresso, con la catena di giornali locali Finegil, a De Benedetti), presidente
della Roma calcio (dal 91 al 93: vendette Voeller, acquistò Caniggia e consegnò a Sensi una società sull’orlo del fallimento), infine in affari stretti con la Banca di Roma, grazie ai
cui capitali ha messo in piedi adesso una catena di giornali locali nel Lazio
(testata principale Ciociaria Oggi, di Frosinone). Tornato prepotentemente alla
ribalta per il caso Ciappazzi (vedi più avanti)
• «Gran prezzemolo degli accadimenti finanziari più misteriosi e controversi. Il “re delle acque minerali”. Specie di ruspante acrobata degli affari, mezzo fascista (“storico” diceva lui per ridurre il danno) e mezzo andreottiano, già sponsor di Orazio Bagnasco (crack Europrogramme) e consigliere di Roberto Calvi
(bancarotta del Banco Ambrosiano). Un personaggio assai pittoresco che di punto
in bianco, sul finire degli anni Ottanta, in allegra e baldanzosa commistione
iniziò a fondare o a comprarsi giornali, cliniche, premi letterari, ditte di catering,
squadre calcistiche, bibite, società finanziarie, caffè storici, aerotaxi, stazioni termali e acque minerali. Prima la Fiuggi e poi
oltre venti marchi sparsi per l’Italia. Un’intera generazione di giornalisti, ormai attempati, è ancora oggi grata a Ciarrapico per le continue risorse narrative che la sua
ascesa garantiva giorno dopo giorno al mestiere della cronaca politica. E non
solo perché era una miniera di idiomi e atteggiamenti romaneschi che ispirarono addirittura
la creatività cinematografica (vedi il personaggio di Sparafico in
Nel Continente Nero). Affittò castelli, inventò cocktail per la figlia di Andreotti, predispose porchette-flambè, cantò Nel Sole con Al Bano. In pari grado vulcanico e approssimativo, s’era messo fermamente in testa di essere amico di tutti. Del Msi e della famiglia
Almirante lo era fin dalla metà degli anni Quaranta; però si mise pure a rifornire di acqua di Fiuggi i festival dell’Unità e tentò di premiare Ingrao; promise a Craxi di acquistargli il glorioso Avanti!;
finanziò le più divertenti e azzardate iniziative editoriali para-cielline. Al culmine del
trullallà partitico e finanziario diede soldi perfino al Psdi, e per estremo paradosso fu
la cosa che sul piano giudiziario gli costò più cara. Ma soprattutto parlava e straparlava, il Ciarra, a nome del “Principale”, come chiamava Andreotti, allora presidente del Consiglio. In sua vece arrivò a mediare tra la Fininvest e il gruppo De Benedetti per il possesso della
Mondadori e di Repubblica; e se non altro per questo ufficio si merita
certamente un posticino negli annali del potere italiano nella stagione del Caf
(
Craxi-Andreotti-Forlani, l’asse che resse la vita politica italiana durante gli anni Ottanta — ndr). La sua caduta, al tempo di Tangentopoli, fu istantanea e rovinosa. Finì in carcere e poi si ritrovò sommerso dai debiti, specie con le banche, e tra le banche soprattutto con la
Banca di Roma, che per prima cosa si prese il piccolo impero sanitario. Da
Fiuggi, dove un tempo ebbe anche un “suo” sindaco, l’avevano già fatto fuori. Ma le altre 19 acque minerali gli restarono drammaticamente
appiccicate. Tra pendenze giudiziarie, crisi aziendali a ripetizione e proteste
dei sindacati, non sapeva più che farsene. Ciarrapico vantava una fila di possibili acquirenti, statunitensi,
olandesi, la Nestlè. Invano tentò di vendere fonti, terme e imbottigliamenti al povero Gardini, a sua volta sull’orlo dell’abisso. Intanto Geronzi fremeva, voleva rientrare, alleggerirsi di quel
fantasioso debitore, chiudere. Se l’ascesa del personaggio era stata narrata giornalisticamente in modo assai
intenso, quasi spassoso, l’inevitabile discesa si configurava come un’avventura per certi versi ancora più incredibile. Pensare che i soliti ignoti gli staccarono dal muro degli uffici
addirittura un forziere e se lo caricarono via. A lui. Gli andò pure a fuoco l’aereo privato che aveva imprestato a Bruno Vespa per andare a Baghdad a
intervistare Saddam Hussein. Nel 96, sul supplemento economico del Corriere
della Sera, Monica Setta diffuse la notizia che il Ciarra era preda di una
crisi mistica: leggeva la vita dei santi, girava per abbazie, faceva esercizi
spirituali, forse — o almeno così assicuravano gli amici — stava per prendere i voti. Pur essendo aperta e preparata a tutto, la vita
pubblica italiana non vide confermata la tardiva vocazione di fra Peppino. Poco
dopo l’inusitata rivelazione, anzi, comparvero appesi per la capitale, con il dovuto
scandalo del sindaco Veltroni, dei manifesti di Mussolini dietro cui si ricercò, magari a torto, lo zampino del Ciarra. Più che l’ardore religioso, era semmai il richiamo della foresta nera a prenderselo. Come
fascista, non poteva dirsi esattamente un “esule in Patria”, ma in una selva di saluti romani partecipò al ventennale dell’eccidio di Acca Larenzia, e poi anche ai funerali di Massimo Morsello, leader di
Forza Nuova. Ebbe poi modo di scambiarsi offese con il suo successore alla
guida della Roma calcio, Franco Sensi. E dato che il Caffè Rosati era ancora suo, non gli dispiacque di figurare come l’anfitrione di Giuliano Ferrara e degli altri foglianti la sera dell’Usa-day a piazza del Popolo» (Filippo Ceccarelli)
• Sulla sua attuale attività di editore: «“Con Andreotti negli Usa incontrammo l’editore del Washington Post. Ci disse che i soldi veri li faceva con Bronx News.
Lì ho capito tutto”, disse una volta. è editore di undici testate, da Ciociaria Oggi a Ostia Oggi, a Molise Oggi, l’ultimo nato, che in tutto vendono quasi 50 mila copie. L’editrice, Nuova Oggi Editoriale, è controllata da una srl, Mediterranea, posseduta dalla signora Marisa Petazzo,
sua fedelissima, e amministrata da Giulio Caradonna, ex deputato del Msi dal 58
al 94, ora vicino a Forza Nuova. Caradonna è anche azionista della cooperativa socia al 49% dell’editrice, per la modica cifra di 100 euro l’anno (pagabili in più soluzioni, come da delibera). Con Caradonna, da tempo immemorabile, Ciarrapico
condivide lavoro e ardori politici. Del resto, lui non ha mai fatto mistero
delle sue simpatie fasciste. I titoli della Ciarrapico editore ne sono prova. “Sta’ destra smacchiata... Ma chi la vole.. è ’na monnezza. Alle prossime elezioni prenderanno il 5%. I nostri sono rimasti
fascisti, non li voteranno”, si sfogò senza remore un paio d’anni fa, sentenziando il tramonto di Alleanza nazionale. Dopodiché il Ciarra si è speso, e si sta spendendo ancora molto, per Francesco Storace. Che quando era
alla Regione Lazio è stato almeno generoso nei confronti delle sue testate, cui ha affidato
pubblicità e contratti per centinaia di migliaia di euro (il 20% della raccolta
pubblicitaria del Gruppo). E ha lavorato pure tanto, e forse con più impegno, per riportare Alessandra Mussolini nell’alleanza di centrodestra. Finché la presenza di Tilgher e Saya, buoni amici suoi e di Caradonna, nelle liste di
Alternativa Sociale, ha mandato tutto all’aria (
alle elezioni regionali del 2005 — ndr). Dicono che l’incarico di ricucire con la destra estrema gli sia stato attribuito addirittura
da Silvio Berlusconi. Quello che è certo è che tra i due, dopo la vicenda Mondadori, i rapporti sono rimasti buoni.
Ciarrapico non solo è editore, ma dal 2005 è anche professore a contratto di Tecnologia dell’informazione e della comunicazione all’Università di Cassino, facoltà di Economia. Insieme ai giornali, e a un cumulo di società in liquidazione che ogni due anni stranamente cambiano sede schizzando da
Latina a Frosinone a Reggio Calabria, Ciarrapico controlla un paio di cliniche
nella capitale (sua è stata anche Villa Stuart), due società di catering, tre finanziarie, e lo storico Bar Rosati in piazza del Popolo. Lì concesse la sua ultima intervista, parlando di Fini. Uomo troppo incline al
compromesso, alla concilianza, a suo dire. Chiaro che non gli piaccia, lui è l’esatto contrario. Per non ascoltare i piccoli azionisti della sua Italfin 80,
quotata in Borsa, convocava le assemblee a Pantelleria» (Mario Sensini)
• Il caso dell’acqua minerale Ciappazzi è un sottocaso dello scandalo Parmalat: secondo i magistrati che indagano su
Geronzi, Tanzi fu costretto dalla Banca di Roma a comprare da Ciarrapico le
acque minerali Ciappazzi e a versargli 38 miliardi, con i quali Ciarrapico saldò i debiti che aveva con la stessa banca. Dopo l’acquisto, quelli della Parmalat scoprirono che Ciappazzi non poteva operare
perché «era nel frattempo decaduta dalle necessarie autorizzazioni amministrative per
estrarre l’acqua dalle fonti» (nota del gip)
• Tra le leggende che riguardano Ciarrapico, quella che ricevesse i suoi ospiti
con una pistola bene in vista sul tavolo.