Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
CORSO Mario San Michele Extra (Verona) 25 agosto 1941. Ex calciatore. Dal 57 al 73 con l’Inter ha vinto quattro scudetti (63, 65, 66, 71), due coppe dei Campioni (64, 65), due Intercontinentali (64, 65)
CORSO Mario San Michele Extra (Verona) 25 agosto 1941. Ex calciatore. Dal 57 al 73 con l’Inter ha vinto quattro scudetti (63, 65, 66, 71), due coppe dei Campioni (64, 65), due Intercontinentali (64, 65). In Nazionale, 23 presenze e 4 gol. Settimo nella classifica del Pallone d’oro 64, 11 nel 66, 15° nel 65 • «Il suo gioco si basa solo sul sinistro ma con quello è impareggiabile, tanto che lo definiscono “il piede sinistro di Dio”. Sua invenzione la punizione a “foglia morta”. Pelé lo vorrebbe al Santos, resta invece all’Inter e in neroazzurro conquista ogni tipo di vittoria, anche se a Herrera non piace la sua incostanza nel rendimento e la scarsa voglia d’allenarsi: ogni estate ne chiede la cessione, ma sempre la richiesta è respinta per iscritto dal presidente Moratti» (la Treccani) • «Non è veloce, non è dinamico, spesso si dimentica di giocare, ma è un artista: inventa un calcio ai limiti del surrealismo, ha un sinistro capace di imprimere al pallone traiettorie lunari, un dribbling — magari da fermo - irridente e beffardo» (il Dizionario del Calcio Italiano) • «Come si fa a dimenticare i momenti di gloria, a cancellare quel gol in fondo ai tempi supplementari dello spareggio della coppa Intercontinentale del 64 a Madrid contro l’Independiente? Lui sorprendentemente meno spossato di tutti, andare laggiù davanti alla porta argentina e raccogliere il cross di Peirò alla fine di un contropiede micidiale. Perché Corso fu anche match winner, certo. Le tante punizioni a foglia morta, i duetti con Suarez, quella voce strana, fina e cavernosa a un tempo, e quei calzettoni tirati giù, strafottenti nei confronti degli avversari, come a dire: “dei parastinchi non so che farmene”. Il suo talento, la sua capacità di colpire una nocciola col tacco e di farla arrivare nel taschino. Il suo primo allenatore gli urlava sempre: “Usa la testa!”. Lui, Mariolino, credeva che lo esortasse a ragionare, a non giocare troppo d’impulso. Ovviamente l’altro cercava di addestrarlo invano al gioco aereo. Fatto sta che Corso è fiorito così, straordinario talento calcistico senza il destro e la testa, ma con un cervello fino e una sapienza di gioco che si mangiava tutti i Baggio e gli Zola d’Italia. Si capiva bene che col Mago non si potevano sopportare, si immaginava bene che il suo talento da “genio e sregolatezza” fosse agli antipodi rispetto ai nuovi principi che si facevano strada nel calcio. Corso non era e non poteva diventare un’atleta. Ma tanto era limitato il suo raggio d’azione, tanto ampia era la sua visione di gioco, e con lei la potenza dei suoi lanci» (Enrico Mentana).