Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
D’ALEMA
Massimo Roma 20 aprile 1949. Politico. «Capotavola è dove mi siedo io».
VITA Figlio di Giuseppe, dirigente e poi parlamentare del Pci (defunto), e di Fabiola
Modesti, nata nel 1928, comunista col partito nel sangue, «una che non fa vedere i suoi affetti: i miei figli mi chiamavano “il generale”. Massimo in questo somiglia più a me» (da un’intervista a Maria Grazia Bruzzone) • A 9 anni, i genitori lo portano a un congresso del Pci e gli fanno pronunciare,
dalla tribuna dove è seduto Togliatti, il saluto dei pionieri. Pansa: «Un bel faccino. I capelli con la brillantina. Le maniche della giacchetta un po’ lunghe. E quel fazzolettone che la mamma gli ha annodato con cura. Legge con
sicurezza. E sarà proprio il Migliore, occhiali spessi e voce un po’ in falsetto, a dire di quel bambino: “Se tanto mi dà tanto, questo farà strada”» (secondo Berselli la frase fu: «Questo non è un bambino, è un nano»)
• A 10 anni vince un concorso Aci, ottiene la copertina della rivista Automobile
e dichiara: «Se fossi ministro darei pene più severe» (Pietrangelo Buttafuoco) • Maturità classica, poi Filosofia alla Normale di Pisa che frequenta con Fabio Mussi
(amico per la pelle fino a pochi anni fa). Siamo nel Sessantotto. Sostiene di
aver tirato una molotov durante una manifestazione, subisce un processo per
blocco ferroviario e uno per disordini provocati durante una manifestazione
contro la visita del vicepresidente Usa. Non si laurea, si iscrive al Pci,
diventa segretario a Pisa • Chiamato a Roma da Berlinguer e Chiaromonte che lo nominano segretario della
Federazione Giovanile Comunista (Fgci, 1975). Nell’80 lo mandano in Puglia a fare il segretario regionale. Nell’84 Berlinguer se lo porta a Mosca, come membro della delegazione che segue i
funerali di Andropov. Secondo Edmondo Berselli, che ragiona in base al libro A Mosca l’ultima volta. Enrico Berlinguer e il 1984 (Donzelli, 2004) scritto dallo stesso D’Alema, qui avviene la definitiva maturazione dell’uomo: vede Berlinguer che, per nascondere l’assoluta mancanza di commozione, finge di impicciarsi con la carta appiccicosa
delle caramelle sovietiche; si sente comunicare dallo stesso Berlinguer «che i dirigenti mentono sempre, anche quando non sarebbe necessario» • Eletto deputato dalla Puglia nel 1987 • Si allea con Occhetto e insieme i due fanno cadere Natta, profittando di una
sua malattia. Appoggia poi Occhetto che trasforma il Pci in Pds (svolta della
Bolognina, 12 novembre 1989), ma quando nel 1994 questi perde le elezioni
contro Berlusconi lo lascia al suo destino e corre per la segreteria contro
Veltroni. Veltroni risulta primo in un referendum tra gli iscritti, ma viene
largamente battuto in Comitato centrale (luglio 94). Nel frattempo: è stato direttore dell’Unità (Buttafuoco: «Fa un giornale aggressivo e grandi partite a tetris»), è stato capogruppo del Pds alla Camera e membro del Coordinamento politico del
partito, ha visto all’opera Tangentopoli e ne ha tratto le seguenti convinzioni: la borghesia è qualunquista, i giudici pericolosi, i giornali e i giornalisti una merda
• è diventato un protagonista della vita politica italiana, un avversario
pericoloso soprattutto per i suoi concorrenti di sinistra (Prodi, Veltroni,
Rutelli). Ha l’aria sprezzante, proclama la sua passione per la barca a vela, non si vergogna
di indossare un paio di scarpe da un milione e mezzo di lire. Si fa conoscere
dalla City dove si accredita come uomo moderno, di mondo e di mercato.
Buttafuoco: «Passa dai vestiti Oviesse al sarto napoletano, dal lessico postmarxista all’ideologia paeso-normalista». La base di sinistra trova qui i fondamenti della propria futura insofferenza
per l’uomo
• Cade Berlusconi (dicembre 1994), e Scalfaro dà l’incarico a Dini, che di Berlusconi era ministro. Però Scalfaro vuole che i ministri siano quelli che dice lui e a queste condizioni
Berlusconi fa sapere che non ci sta. Ci sta però D’Alema, che Scalfaro chiama al telefono mentre fa l’ospite al Tappeto volante di Rispoli. D’Alema ascolta e, seduta stante, da un camerino, telefona a Dini: «Se lei accetta, avrà tutto il nostro appoggio». è il caso più eclatante di trasformismo della Seconda repubblica. Quel governo sarà sempre considerato un “D’Alema per interposta persona”. Dini, negli anni successivi, ne trarrà vantaggi politicamente cospicui • Da questo momento la carriera politica di D’Alema va letta all’interno di alcune costanti: si muove in una direzione che è sempre tendenzialmente convergente con quella di Berlusconi e sempre
tendenzialmente divergente da quella di Prodi (al cui nome, in privato, D’Alema alza gli occhi al cielo); gli uomini che ne determinano le mosse, cioè da cui si guarda, sono i grandi leader della sinistra: Prodi, Veltroni,
Rutelli. Gli altri giocatori in campo (Bertinotti, Cofferati) possono essere
alleati o avversari, ma solo in funzione dell’agognata leadership della coalizione, occupata per intanto da Prodi in quanto «meno peggio» e in attesa di una resa dei conti finale che tutti però rinviano a data da destinarsi. Cofferati verrà eliminato facilmente grazie all’aiuto di Bertinotti e dirottato su Bologna dove a livello nazionale non può far danni. Prodi, una volta caduto per un agguato forse preparato con
Bertinotti dallo stesso D’Alema, verrà mandato a fare il presidente della Commissione europea grazie all’appoggio di Schroeder a cui D’Alema ha risolto il problema del curdo Ocalan (ricercato dai tedeschi, che però non volevano assolutamente catturarlo, quindi restituito da D’Alema ai russi)
• Stiamo già parlando del governo D’Alema ed è presto. Prima c’è il governo Prodi e la decisiva opera di tessitore tentata da D’Alema come presidente della Commissione bicamerale. Questa, insediata il 22
gennaio 1997, avrebbe dovuto riformare lo Stato. D’Alema, sposando in pieno la logica di un’azione riformatrice bipartisan, la guidò tenendosi strettamente in contatto con Berlusconi e schivando, parando o
subendo ogni sorta di colpi (dalla Lega, che non voleva farsi togliere la
parola sul tema del federalismo, da Fini che non voleva consacrare la
leadership di Berlusconi, dalla sinistra che remava contro perché D’Alema non diventasse, vincendo in Bicamerale, il capo della coalizione nel
2001). In definitiva, nonostante un “patto della crostata” siglato il 18 giugno 1997 in casa di Gianni Letta e così detto in onore della crostata preparata per l’occasione dalla signora Maddalena (che servì anche fusilli ai funghi e vitel tonné: seduti a tavola c’erano D’Alema, Berlusconi, Fini, Marini, Tatarella, Nania, Urbani e Salvi), la
Bicamerale paralizzata dai veti di questo o di quello fu definitivamente
affossata da un voto contrario di Berlusconi (2 giugno 1998) che aveva visto
nascere, dopo giri di valzer che sarebbe troppo lungo raccontare, addirittura
un asse Fini-D’Alema. Inutilmente dunque, per mesi e mesi, gli italiani avevano sentito parlare
di presidenzialismo o semipresidenzialismo alla francese. D’Alema voleva dimettersi anche da segretario del partito, scatto di nervi che gli
fu impedito dallo stesso Veltroni
• Con l’idea di allargare la rappresentatività del partito, D’Alema trasformò il Pds in Ds (congresso di Firenze, 12 febbraio 1998) accogliendo figure della
sinistra che non avevano fatto parte del Pci come, da un lato, Famiano
Crucianelli, dall’altro Giorgio Ruffolo o Ermanno Gorrieri. Caduto Prodi, lasciò la segreteria a Veltroni e si insediò a Palazzo Chigi, intanto con l’idea di accreditarsi di fronte al mondo come uomo dell’Occidente, della modernità e del mercato, dato che, oltre tutto, era il primo comunista o ex comunista a
guidare un governo italiano. Per l’Occidente, c’era la guerra del Kosovo. Per la modernità, un look sempre più curato, uno stile fascinoso e sprezzante in tv. Per il mercato, la scalata alla
Telecom
• Disse Cossiga: «L’approdo del “comunista” D’Alema a Palazzo Chigi è avvenuto con il pieno consenso degli americani, dietro l’assicurazione preventiva che, durante l’annunciata guerra del Kosovo, l’Italia non si sarebbe tirata indietro». E infatti D’Alema non solo fornì soldati italiani al contingente Nato di stanza in Kosovo, ma accettò, su richiesta della Casa Bianca, di bombardare le postazioni antiaeree di
Milosevic, senza neanche informare preventivamente gli alleati di governo. I
quali all’inizio del conflitto erano stati convocati e s’erano sentiti fare dal presidente questo discorso: «Devo assumermi delle responsabilità e non posso essere sottoposto a un controllo quotidiano. Alla fine, se il mio
comportamento non vi sarà piaciuto, mi manderete via». Il fedele Minniti aveva trovato la definizione giusta dell’azione italiana: «Difesa attiva». Bruno Vespa: «Il comportamento del nostro governo fu ineccepibile. Quando domandai all’allora premier da quante manifestazioni si sarebbe dovuto difendere Berlusconi
se si fosse trovato al suo posto in circostanze analoghe, “non da quelle del mio partito” mi rispose. Era una piccola, grande bugia: se fosse stato all’opposizione, D’Alema avrebbe bombardato la maggioranza. Stando al governo, si conquistò — giustamente e abilmente — sul campo la legittimazione internazionale che gli serviva […] Il conflitto serbo-albanese servì a D’Alema per mutare in modo radicale il rapporto dei Ds con le nostre forze armate» (da
Storia d’Italia da Mussolini a Berlusconi, Mondadori-Rai Eri, 2004) • Quanto alla scalata Telecom, D’Alema aveva definito Colaninno, Gnutti e gli altri protagonisti di quell’impresa «capitani coraggiosi», contrapponendoli ai vecchi capitalisti alla Agnelli, che additava di fatto
come inerti o avari. Un suo collaboratore, Davide Corritore, lasciò palazzo Chigi perché infastidito, a suo dire, dall’eccessiva disinvoltura del premier nei rapporti con la finanza: «Pensavo che un’istituzione dovesse stare fuori dal gioco. Invece a Palazzo Chigi si diceva:
Cuccia ha chiamato D’Alema, Cuccia vuole vedere D’Alema...». Guido Rossi coniò quella battuta terribile: «Palazzo Chigi è l’unica merchant bank dove non si parla inglese». E varie disavventure finanziarie del momento (come quelle della Banca 121 nel
Salento, indagata per aver truffato 2500 risparmiatori) vennero attribuite
dagli avversari politici a maneggi dei dalemiani
• Prodi aveva formato un nuovo partito (I Democratici, simbolo un asinello), D’Alema dovette farne entrare al governo alcuni rappresentanti, Cossiga (un altro
che detesta Prodi) ritirò l’appoggio del suo Udr, Mastella lo sostituì trasformando l’Udr in Udeur e insomma D’Alema, che aveva formato il primo gabinetto applicando alla lettera il manuale
Cencelli, si trovò con un esecutivo sostanzialmente più debole. Aveva anche perso la simpatia di Marini, che lo aveva appoggiato nella
presa di Palazzo Chigi con l’intesa che al Quirinale sarebbe salito un altro cattolico. Invece, finito il
mandato di Scalfaro, D’Alema aveva contribuito all’elezione di Ciampi al primo voto. In una situazione che si andava sempre più deteriorando man mano che ci si avvicinava alle politiche del 2001 e alla
questione di chi avrebbe guidato la coalizione di centrosinistra, D’Alema tentò di forzare il gioco caricando di significato politico le elezioni regionali del
16 aprile 2000. Confidando nella conquista di 11 regioni su 15, annunciò che in caso di sconfitta si sarebbe dimesso. Il centrosinistra non prese che
otto regioni e D’Alema mantenne la parola
• Piuttosto defilato, durante i cinque anni di governo Berlusconi in cui ha fatto
il presidente del partito (essendo segretario Fassino). è diventato parlamentare europeo nel 2004, carica a cui ha rinunciato quando è stato eletto deputato alle politiche del 2006 • A risultato elettorale acquisito è stato il primo della sua parte a parlare della necessità di un governo di coalizione, sull’esempio del modello tedesco. S’è candidato alla presidenza di Montecitorio e ha poi rinunciato a favore di
Bertinotti incassando così un primo grosso credito politico. Giuliano Ferrara lo ha proposto per il
Quirinale, come successore di Ciampi, con una campagna del Foglio addirittura
sopra le righe. S’è visto allora che Berlusconi, il quale lo avversava fieramente a parole, sotto
sotto avrebbe fatto volentieri la prova. Fassino lo appoggiava al punto che
diede al Foglio un’intervista in cui si esponeva una specie di programma di governo, fatto inaudito
nel nostro sistema dato che il presidente della Repubblica non ha responsabilità politica. I suoi manovrarono per frenarlo, ma l’ascesa di Napolitano deve essere considerata un successo suo e di Fassino. La
carica di ministro degli Esteri nel governo Prodi lo ha collocato in una
posizione molto forte, dalla quale può sfruttare bene a suo vantaggio i sussulti di un esecutivo che appare sostenuto
da una maggioranza troppo fragile
• è sposato con Linda Giuva. Due figli, Giulia e Francesco.
FRASI Anno 1991: «Caro Adornato, oltre la sinistra c’è solo la destra» (a Nando Adornato che gli aveva mandato il suo libro Oltre la sinistra Rizzoli, 91) • 1998: «Abbiamo origini arabe. I miei antenati, che in origine si chiamavano Halema, si
trasferirono dal Maghreb in Italia al tempo di Federico II ed entrarono nella
guardia imperiale: Federico II era in guerra col Papa e loro, come musulmani,
approvavano caldamente» • Anno 1999: «Le lunghe convivenze generano antipatie»; «Chi vuole litigare con me deve avere molta insistenza» • Anno 2000: «Faccio cinquecento addominali al giorno. Quando uno ha la forza nel Dna. Vi
accompagnerò tutti in quella palestra»; «Tendo a considerare molto intelligente chi mi dà ragione»; «La politica senza la forza può essere impotente, ma la forza senza la politica può non risolvere i problemi» • Anno 2001: «Bello. Per la serie: d’ora in poi lo vedrò solo in fotografia» (D’Alema scartando una stampa di Palazzo Chigi ricevuta in regalo per il suo
compleanno) • Anno 2003: «Godo della fama immeritata di essere un buon tattico, ma non lo sono. Credo di
aver sbagliato molte mosse e di aver pagato di persona»; «Ho inventato io il termine “inciucio”. Avevo una cartella di cose poco chiare e sopra avevo scritto “inciuci”, adatto per indicare pasticci» • Anno 2004: «Da bambino ero antipatico»; • Anno 2005: «Non è casuale che Bertinotti venga invitato in tv molto più di me»; «Di norma si è meno servili a Mediaset che alla Rai perché nella madrepatria si gode sempre di maggior libertà rispetto alle colonie» • «Mia madre mi chiede di essere ascoltata perché si ritiene una voce del popolo».
COMMENTI «Massimo D’Alema, diciamo, non ha rivali» (Lucia Annunziata) • «D’Alema è un capo politico a tutto tondo. è invalso da tempo l’uso di chiamare “leader” chiunque, o quasi, circoli per le stanze della politica. Ma i leader autentici
sono sempre, in ogni Paese, e anche in Italia, pochissimi. E D’Alema è uno di loro» (Angelo Panebianco) • «La sua intelligenza politica è superiore a quella di quanti lo circondano nel suo ambito. è un uomo civile, simpatico. Pur con questo suo aspetto professorale. Tutto sa
lui, tutto spiega lui. Ma prevale la carica umana. E un gran senso dell’ironia, di cui talora abusa. Sempre restando piacevole» (Marcello Dell’Utri) • «Piace a destra perché come la destra disprezza la sinistra delle emozioni e dei tortellini, dei
moralisti e dei giustizialisti. Ama D’Alema chi non ama Benigni e Nanni Moretti (tranne quello berlusconidipendente
del Caimano), chi non legge Paul Ginsborg e Camilleri, chi non ascolta
Vecchioni e Piovani. Infatti ama D’Alema, Giuliano Ferrara» (Aldo Cazzullo) • «Il metanagramma è un anagramma in cui si cambia una lettera. In parole povere: un anagramma
sbagliato. Per esempio, metanagrammi di D’Alema: maiale, salame» (Bartezzaghi) • «C’è grande sintonia tra D’Alema e Veltroni. Pensano esattamente le stesse cose, soprattutto uno dell’altro» (Ellekappa)
POLITICA «Il D’Alema-set, come direbbero gli inglesi, è a cerchi concentrici: nel cuore i fedelissimi, tutti politici di prima fila,
come Livia Turco, Anna Finocchiaro, Gavino Angius, Nicola La Torre, Marco
Minniti, Gianni Cuperlo, tra gli altri. Poi ci sono i sostenitori come
Reichlin, Napolitano, Ruffolo, Umberto Ranieri» (Antonella Rampino) • «I baffi di D’Alema nella politica italiana sono diventati significativi come la gobba di
Andreotti: rimandano, qualificano, ammiccano, distruggono, sono la vedetta
sempre allertata di una sostanza vigorosa, non solo politicamente. E infatti,
come la gobba di Andreotti, sono trasversali, tanto nell’amore quanto nell’odio che suscitano. Un giorno, quando si contendevano la segreteria del partito,
Veltroni e D’Alema per scherzo si promisero che, se avesse vinto Veltroni, l’uno si sarebbe tagliati e l’altro si sarebbe fatti crescere i baffi. Vinse D’Alema e la tricostoriografia moderna italiana non è cambiata. Ma forse mai le virgole biliose di peli si sarebbero adattate al
buonismo. Disse una volta D’Alema a proposito delle barbe talebane: “Il cammino dell’umanità è pieno di efferatezze commesse dai visi sbarbati”. Si può perdere il vizio senza perdere il pelo? Comunque sia, quei baffi sono rimasti
al loro posto, si sono incanutiti, hanno acquistato fascino e hanno arricchito
la leggenda trasversale dell’uomo di carattere che piace alla destra perché con la politica tiene buoni i cani dell’ideologia e con l’intelligenza soddisfa la dura necessità delle cose, si tratti di Giustizia da ridimensionare, di Mediaset da proteggere
o di far posto a qualcun altro, si chiami Bertinotti o Napolitano» (Francesco Merlo)
• «D’Alema è magro, intenso, appassionato» (Bill Clinton) • «In D’Alema c’è qualcosa di molto semplice, facile da leggere, persino commovente. Per lui
vanno bene tutte le linee politiche, purché lui sia al centro del potere» (Achille Occhetto) • «D’Alema è uno che ascolta. Non esiste politico che ascolti, come lui, per un’ora, senza nemmeno rispondere al telefonino» (Nicola Rossi) • «Massimo D’Alema non è male, quando è rilassato» (Daniela Santanchè) • «Durante una delle crisi dell’Unità andammo a Botteghe Oscure. Era segretario D’Alema. Al secondo piano ci sedemmo attorno al tavolo rotondo delle riunioni
importanti, da una parte noi giornalisti dall’altra D’Alema con i suoi Lothar, gli uomini del suo staff, tutti calvi, Velardi,
Minniti, Rondolino. D’Alema ci vide e disse: “Io sono il proprietario, voi siete i giornalisti. Ora sedetevi e ditemi quello
che volete”» (Marco De Marco).
TIFO Romanista • «Per vincere uno scudetto la Roma deve meritarne tre; alla Juve basta meritarne
uno per vincerne tre» (nel 2000) • «Io il Milan, essendo della Roma, lo vedrei bene senza punte» • «Non riusciamo più a comprare nessuno, forse Sensi oggi avrebbe problemi a ingaggiare anche me»
VIZI Pretende di saper cucinare e, in un celebre Porta a porta, si è esibito in un risotto. Però il gastronomo Beppe Bigazzi, dopo, ha detto: «D’Alema ha cucinato su un teflon. Così, o il risotto si brucia, o si scuoce». Vissani: «D’Alema è più portato per il pesce, apprezza i sapori delicati». La moglie Linda Giuva: «è bravo anche con i risotti ai funghi e con il radicchio trevigiano, ma deve
essere proprio trevigiano, altrimenti non vale. Quando devo andare a comprare
le cose per lui mi faccio venire le febbri perché sono sempre incertissima. Mi dice tutto quello che devo fare perché lui arriva alle 8 di sera e deve trovare tutto pronto come i grandi cuochi,
tutto pulito, lavato, messo a sgocciolare, se c’è un sugo di base va fatto, se c’è un brodo di base deve essere pronto, così con il soffritto... Lui arriva e ci mette l’arte […] Una volta che ho preso la famigerata pentola a pressione e Massimo l’ha vista, mi ha guardato con disprezzo e non mi ha rivolto la parola per un
quarto d’ora»
• Giocatore di Risiko. «Ha rivelato un vezzo: ama ripetere la battaglia di Waterloo nei giochi di ruolo.
Ma vuole vincere sempre» (Buttafuoco) • La moglie: «Per via di un’allergia, non porta mai l’orologio, ma è difficile che sbagli ora. E non ha nemmeno un’agenda. Dice che si ricorda i numeri a memoria, non vuol dipendere da nessuno» • Maniaco della barca a vela. L’acquisto dell’Ikarus e il fatto che le rate relative (8.063 euro al mese) venissero pagate
attraverso un leasing contratto con la Banca Popolare Italiana (quella di
Fiorani) ha scatenato una quantità di polemiche e illazioni • «Una volta mi consigliò di leggere Le 120 giornate di Sodoma dicendo che era un testo straordinario» (Duccio Trombadori).