Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
BOCCASSINI
Ilda Napoli 1949. Magistrato. «Entrata in magistratura nel 1977, Ilda non ci ha messo molto a dimostrare di che
pasta è fatta. All’inizio si occupa di rapine, delitti passionali e operazioni antidroga che la
portano a ordinare blitz di centinaia di carabinieri nelle periferie di Milano.
Sul finire degli anni Ottanta comincia a collaborare sull’asse Palermo-Milano con Giovanni Falcone. Con lui segue molte indagini sul
riciclaggio del denaro sporco e, soprattutto, cerca di catturare l’imprendibile Gaetano Fidanzati, il boss siciliano che dalla latitanza inondava
la metropoli di eroina e cocaina. Sulle sue tracce ci sono allora sia l’alto commissariato antimafia - retto da Domenico Sica e dal suo vice, l’ex sostituto procuratore milanese Francesco Di Maggio - sia i carabinieri
coordinati da Boccassini e Falcone. Intercettando l’apparecchio di una cabina telefonica si riesce a individuare Fidanzati in Sud
America. Viene indetta una riunione nell’ufficio di Borrelli dove tra i vertici dell’alto commissariato e Ilda Boccassini va in scena uno scontro memorabile. Ilda e
Falcone spingono perché prima di arrestare Fidanzati si tenti di ricostruire la sua rete di rapporti.
Niente da fare. Il blitz scatta subito. Intanto, è esplosa la Duomo Connection, uno scandalo fatto di mafiosi legati ai
corleonesi, di appalti e mazzette. Gli uomini di Ultimo, per la prima volta in
Italia, sono riusciti a documentare, filmando e intercettando, la vita
quotidiana degli uomini d’onore al Nord. Sono saltate fuori storie di traffico di droga, ma anche i
contatti con i politici che, passando per la massoneria, arrivano persino alla
famiglia Craxi. Ilda procede come un treno. Macina indagini su indagini, ma fa
tutto da sola. Non si fida di alcuni colleghi e non manca di sottolinearlo
aumentando così le tensioni all’interno dell’ufficio. La situazione è talmente tesa che Borrelli, dopo aver assistito all’ennesimo scontro con Spataro, un altro magistrato dal carattere spigoloso, la
estromette dal pool che indaga sulla criminalità organizzata. Nel settembre del 91 il procuratore scrive: “Boccassini è dotata d’individualismo, carica incontenibile di soggettivismo e di passione, non
disponibilità al lavoro di gruppo”. Sembra il capolinea. Invece Ilda, a poco a poco, comincia a maturare. Diventa
più diplomatica. Più disponibile. Fino ad arrivare a riconoscere, nel 1997, che il provvedimento di
Borrelli “era dettato da una sorta di ragion di Stato”. Ma prima di giungere a quel punto molta altra acqua deve passare sotto i
ponti. Soprattutto l’Italia deve conoscere la tragica stagione delle bombe di mafia. Quando muore
Giovanni Falcone (1992), lei parte di notte per vegliare con gli amici
carabinieri il cadavere dell’amico. Poi, a Milano, prende la parola in un’aula magna gremitissima, e come spesso le accade dice una verità, sia pure parziale, molto antipatica. Racconta come tutti, a partire dai
colleghi, per arrivare sino “agli intellettuali del cosiddetto fronte antimafia”, avessero accusato Falcone di essersi venduto quando nel 91 aveva accettato di
andare a lavorare al ministero di Grazia e Giustizia al fianco di Claudio
Martelli. Le parole più dure, e ingiuste, sono proprio per Colombo, allora già impegnato in Mani pulite al quale si rivolge direttamente: “Gherardo, anche tu diffidavi di Giovanni, perché sei andato al suo funerale? L’ultima ingiustizia Giovanni l’ha subìta proprio dai giudici milanesi che gli hanno mandato una rogatoria senza
allegati (
i verbali sui politici socialisti coinvolti in Tangentopoli, ndr). Giovanni mi telefonò quel giorno e mi disse: ‘Che amarezza, non si fidano del loro direttore degli Affari penali’”. Ovvio, quindi, che in occasione del suo primo rientro dalla Sicilia, nel 94,
la Procura di Milano la circondi di freddezza. Ilda Boccassini accetta così al volo l’offerta di Giancarlo Caselli che la vuole a Palermo. La nuova esperienza dura
però solo sei mesi. Anche lì, le incomprensioni non mancano: Ilda tra l’altro sostiene che è sbagliato dedicarsi più ai rapporti tra mafia e politica, che alla Cosa Nostra militare. Ma questa
volta a spingerla a rientrare è soprattutto la lontananza dai due figli (un maschio e una femmina, avuti da un
magistrato da cui si è poi separata) e la stanchezza per un’esistenza blindata. Certo, c’è la popolarità. Il Times e L’Express l’hanno inclusa, unica italiana, nell’elenco delle 100 donne più importanti al mondo, ma il resto è solitudine, scorte e vita da caserma. A Milano a farle da apripista verso la
riconciliazione con i colleghi sono Francesco Greco e Gherardo Colombo. Sì, proprio lui, Colombo. I due ex amici (cofondatori nel 1985 del circolo Società Civile cui apparteneva anche l’attuale ministro Giuliano Urbani) si incontrano per caso in ascensore. Gherardo
saluta Ilda come niente fosse accaduto. Lei, sorpresa, scoppia in lacrime: “Ma come, mi saluti? Dopo quello che ti ho detto?”. E lo abbraccia. Così quando il pool si trova per le mani la supertestimone Stefania Ariosto, Greco
propone che sia lei a seguire l’indagine: per verificare le sue parole bisogna ricorrere a microspie,
pedinamenti, intercettazioni. Solo lei, grazie all’esperienza siciliana, è in grado di farlo. Il 12 marzo del 96 scatta il blitz: finisce in carcere il
capo dei gip del tribunale di Roma, Renato Squillante. E l’Italia scopre ufficialmente che anche Berlusconi è sotto inchiesta per corruzione giudiziaria. Da allora la “dottoressa”-“Bocassa”-“Ilda la rossa” diventa il bersaglio grosso» (Peter Gomez)
• «Dice la Boccassini che quando il pubblico ministero, cioè se medesima interpretata da Anna Bonaiuto, scambia quel lungo sguardo con il
Caimano - sono nell’aula del tribunale e il Caimano è stato condannato a sette anni e gli occhi del Caimano/Moretti sono accecati
dall’odio per quella donna in toga - il cuore le è andato per aria, nel buio della sala. Un impulso inatteso. Si è ritrovata emozionata, atterrita, stupita della sua stessa angoscia. Come se
davvero quell’occhiata ci fosse stata a Milano, al termine del processo. Come se davvero il
suo viso fosse stato affrontato, per un breve e lunghissimo momento, dal
disprezzo assoluto, dal rancore, dalla feroce inimicizia dell’imputato. Quello sguardo non c’è mai stato ma, dice la Boccassini, quei pochi secondi del film l’hanno precipitata di nuovo in giorni che vuole dimenticare; all’indietro in quella bolla d’odio in cui si è trovata a vivere; e ancora in quella sproporzione vigliacca che l’ha tenuta prigioniera per anni. Da un lato, il potere: il capo eletto dal
popolo, il governo, il parlamento e le televisioni, i giornali, le burocrazie,
schiere di avvocati, l’opinione pubblica o meglio quella gente che le inviava lettere minacciose
dicendole “puttana” o augurandole la morte per cancro. Dall’altro, lei. E chi era lei se non si crede allo Stato, all’equilibrio dei poteri, all’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge? Un niente, nulla di più che una donna con il golfino che, per trovare coraggio e mostrare risolutezza
in pubblico, mette su una collana rosso fuoco e fa ancora più vermigli i suoi capelli. Il pubblico ministero/Anna Bonaiuto affronta il
risentimento del Caimano con uno sguardo non domo ma, dice la Boccassini, se ha
avuto nel buio della sala quel momento d’apprensione concretissima è perché lei conosce i costi di quello sguardo fiero e ne ricorda la fatica e, perché non dirlo?, anche la paura. Quel tassista grosso grosso che, una notte,
sentendo l’indirizzo di casa, le dice di aver capito e, senza girarsi verso di lei, ringhia
per confermarlo: “Sì, in quella piazza dove abita la maledetta giudicessa comunista con i capelli
rossi”» (Giuseppe D’Avanzo).