Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
BARENGHI
Riccardo Roma 13 marzo 1957. Giornalista. Ex direttore del Manifesto. Dal 2005 alla Stampa. Famoso anche
con lo pseudonimo “Jena”. «Figlio d’arte (la madre Vanna è una nota giornalista), barba sale e pepe, vocione romanesco, penna affilata,
fama di brillante titolista» (Sette) • «La penna più acuminata della stampa di sinistra, al Manifesto dal 1980, ha iniziato con la
tradizionale gavetta, per assumere nel 98 la guida del giornale. La direzione è durata fino al 2003, quando il piano editoriale presentato da Barenghi, con il
vicedirettore Roberta Carlini, non ha ottenuto il voto di fiducia della
redazione. Barenghi è conosciuto soprattutto per il brevissimo corsivo di prima pagina, cominciato
nel luglio del 2000, che spesso prende di mira i leader del
centrosinistra» (Monica Guerzoni) • «Non ho mai pensato di passare tutta la mia vita al Manifesto. E non ho mai
desiderato andare in un altro giornale militante, tipo Liberazione o l’Unità. Volevo andare in un giornale vero, con un editore vero. Da ragazzino, per un
po’ di tempo, sono stato di Lotta continua. Ho quasi smesso di fare politica quando
ho visto quello che stava succedendo. Ricordo le prime pistole all’università. Andavo alle manifestazioni ma con sempre minore entusiasmo. La cultura
politica in realtà me la sono fatta al manifesto. Quando sono arrivato io, tanti anni fa, c’era gente che già se ne andava, Gianni Riotta, Ritanna Armeni. Ma non esisteva la categoria del
tradimento per nessuno. Se ne sono andati tanti dal Manifesto, Mauro Paissan,
Giorgio Casadio, Grazia Gasparri»
• Per lo pseudonimo “jena”, che ha trasportato dal Manifesto alla Stampa, «mi sono ispirato a due motivi tra di loro lontanissimi. A Jena Plissken, eroe di
1997 Fuga da New York, interpretato nel 1981 da Kurt Russel: un detenuto dalla battuta facile,
chiamato a salvare il presidente degli Stati Uniti, caduto con l’aereo sull’isola di Manhattan, ridotta a prigione per i delinquenti più violenti. E a una citazione di Massimo D’Alema sui giornalisti, definiti “jene calligrafiche”».