Il Catalogo dei viventi 2009, 6 luglio 2011
FRUTTERO
Carlo Torino 19 settembre 1926. Scrittore. Ha svolto per anni l’attività di traduttore prima di creare il famoso sodalizio con Franco Lucentini (morto
suicida nell’agosto 2002). Loro libro più famoso, La donna della domenica (Mondadori 1972). «Eravamo una coppia di artigiani» • Figlio di un commerciante («vendeva apparecchi elettrici svizzeri»), «un gran strazio a scuola, con brutti voti, tra il cinque e il sei al massimo.
Nessun interesse per quella tortura» • «Avevo 16 anni. Nel 1942 cominciarono i bombardamenti su Milano e Torino. Con i
miei sfollammo in una casetta del Monferrato. E lì nel paese dove stavamo c’era un castello con una biblioteca fornitissima. Erano libri in prevalenza
francesi e inglesi. Ricordo che per accedervi cominciai a prendere lezioni di
inglese e francese da un prete» • «Tra i 15 e 18 anni lessi tantissimo. Fu per me un modo di sopravvivere alle
bombe. Credo che non si possa più leggere come ho letto io. Ci vorrebbe un’altra guerra mondiale» • «Andai via dopo la guerra. Grazie al tesserino universitario potei facilmente
arrivare a Parigi e lì, da immigrato, cominciai a fare ogni sorta di lavoro» • «Feci il pittore edile, le consegne di sidro, il metallurgico. Lavoretti che oggi
svolgono i nostri immigrati. Sempre molto precari e sottopagati. Mangiando poco
e dormendo in posticini incredibili. Però mi divertivo. Mi bastava essere lì» • «La mia Parigi non era quella letteraria degli esistenzialisti, ma quella
desolata delle periferie e dei chilometri percorsi a piedi. Ricordo che smisi
di scrivere e quasi di leggere. Per anni vagai tra la Francia e il Belgio» • «Finii, senza un soldo, a lavorare in un ospizio di Anversa. Insieme a un altro
paio di disperati andavamo tutte le mattine all’alba in un piccolo mattatoio a caricare dei bidoni di ossa, con cui poi all’ospizio facevano il brodo» • «Trovai questa occupazione in una giostra che si spostava nelle Fiandre.
Viaggiavo su di una roulotte piena di gente come me. Eravamo tutti un po’ sbandati. Poi finii in una acciaieria di Charleroi e lì feci il duro lavoro del manovale. Stavo nei pressi dell’altoforno. E, dopo la colata, armato di un ferro dovevo grattare via quello che
era restato sul bordo. Correvo un certo rischio» • «Io privilegiato, certo non ricco ma rispettabile borghese, volevo vedere come me
la sarei cavata senza nessun aiuto. Se ti viene un mal di denti terribile e tu
sei in una camerata di cento persone, in una fabbrica in rovina, è l’una di notte, non c’è la mamma, non c’è il dottore, non conosci nessuno, che fai? è questo che volevo verificare» • «Furono anni duri ma belli. E poi ho capito qualcosa che solo lì avrei potuto apprendere in mezzo a tutti quei proletari che arrivavano dalle
parti più povere dell’Europa. Senza nessuno sforzo vidi e capii che questi proletari erano come le
duchesse e i principi del Castello di Passerano: ce n’erano di verbosi, di logorroici, di cupi, di tristi, di noiosi, di sognatori, di
intelligenti, di onesti e di truffatori. Erano come tutti gli altri» • «Cominciai a tradurre per l’Einaudi nel 1950. Ero il loro esperto di letteratura inglese. Nel 1952 mi
offrirono di entrare in organico. Riluttavo, mi sentivo ancora molto anarchico.
Il lavoro a tavolino, gli orari di ufficio mi procuravano angoscia. Ero
perplesso. Guardavo la redazione dall’alto in basso. Mi parevano dei bambini che sapevano pochissimo della vita. Dissi
basta alla vita raminga. Cominciai a fare i miei libri, a proporli, a tradurli»
• «Ogni tanto Einaudi mi invitava a delle cene, dove c’erano degli stranieri, perché ero uno dei pochissimi che parlava inglese. A me non stava simpatico. Intanto
era maleducato. Se veniva a casa tua, cominciava a dire: ma guarda come è orrendo quel cuscino, ma che schifo quel quadro, ma questo caffè è imbevibile. Però gli riconosco il talento di aver saputo mettere insieme gente straordinaria» • «Franco (Lucentini) era un ramingo. Aveva vissuto a Vienna, a Praga, a Parigi
dove ci conoscemmo una sera a casa di amici. Ricordo che allora faceva anche
delle traduzioni per Einaudi. Una volta mi confessò che l’affare della sua vita era stato tradurre I mandarini di Simone de Beauvoir. Quelle seicento pagine non erano prosa, colavano senza
nessuna difficoltà. Quando venne a Torino a lavorare in casa editrice, scoprimmo di pensarla
esattamente allo stesso modo. Avevamo lo stesso atteggiamento per le cose
culturali che accadevano. Ci faceva ridere la grande polemica per il Metello, o l’idea di prendere in seria considerazione il fatto che Pudovkin aveva fatto un
film sui trattori sovietici!» • «Einaudi ci affidò nel 1961 l’incarico di fare un’antologia di fantascienza con dei racconti segnalati dal vecchio Solmi. L’antologia andò così bene che Alberto Mondadori ci chiese di collaborare con Urania. Einaudi prima
ci diede il permesso poi ce lo negò. Disse che quegli insettoni che comparivano sulle copertine non gli piacevano.
E allora io gli risposi che a quel punto se dovevo scegliere fra Einaudi e
Urania sceglievo Urania. Franco mi confessò che sarebbe venuto via volentieri con me»
• «La donna della domenica ci sembrava un buon romanzo. Il libro uscì nel 1972. Cominciavano le Brigate Rosse, l’Italia era nel caos. Il fatto che un romanzo tutto di conversazioni, un po’ alla Jane Austen, avesse avuto quel successo ci sembrava impossibile» • «Per poter lavorare in due senza litigare occorre avere di sé un’idea altissima, altrimenti alla prima critica che ti muove l’altro ti sgonfi, ti deprimi, ti offendi. Il segreto del nostro sodalizio era
invece la supponenza, l’autostima mostruosa. Ci teneva insieme l’eccesso di presunzione» • «Scherzavamo su tutto, ma senza cinismi. Senza mai dire: tutti i politici sono
corrotti, tutte le donne sono puttane, tutti i tedeschi sono assassini, tutti i
maghrebini sono criminali» (da un’intervista di Antonio Gnoli) • Gheddafi, socio degli Agnelli, chiese il loro licenziamento per un articolo
satirico. «Non solo non ci furono licenziamenti; nessuno ci disse nulla. Né dalla Stampa, né dalla Fiat. Altrove magari saremmo stati messi al bando; non qui. It is not to
done; non si fa. Solo, incontrandoci tempo dopo, l’Avvocato ci sorrise: “Quanto ci siete costati voi due...”. Risposi che però gli avevamo dato l’occasione di fare bella figura. L’Avvocato scoppiò a ridere, e non ne parlammo più. Pensai: questo è un editore, questa è Torino»
• Altri libri: A che punto è la notte (in cui il protagonista è lo stesso commissario Santamaria de La donna della domenica), La prevalenza del cretino ecc. (tutti Mondadori) • Da La donna della domenica fu tratto un film con Marcello Mastroianni diretto da Luigi Comencini • «Un narratore dev’essere bulimico, e se non hai questa fame non succede niente, è tutta sabbia che ti passa fra le mani. Quando morì Lucentini, io rimasi anoressico. Non riuscivo più a venirne fuori. Poi, improvvisamente, un giorno...» (a Pierangelo Sapegno) • Nel 2007 il romanzo Donne informate sui fatti (Mondadori), il primo scritto dopo la morte di Lucentini, favorito alla vigilia finì all’ultimo posto tra i finalisti del Campiello e lui perse un po’ della sua proverbiale imperturbabilità: «Sono lettori medi, o medio bassi». Nel 2008 ha ricevuto il premio Chiara. Scrive sulla Stampa • «Quando Nanni Moretti è salito sul palco di piazza Navona a gridare in romanesco “con questi leader non vinceremo mai”, d’istinto io, che con il Pci e i Ds non c’entro nulla, che ho lasciato l’Einaudi tra lo scandalo generale per occuparmi di fantascienza, in silenzio e in
segreto ho preso a parteggiare per Fassino. I comunisti torinesi li ho sempre
canzonati; ma devo riconoscere che erano gente seria. Ingenua, magari. Però avevano il senso dell’organizzazione, il gusto delle cose ben fatte. Davano un senso di compattezza»
• Da quando è rimasto vedovo di Maria Pia, si è trasferito definitivamente in Maremma. Due figlie, Federica e Maria Carla
(Carlotta), e tre nipoti, Matteo, Tommaso e Nathan. Fuma Gauloises. [bax]