Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
FOSSATI
Mario Monza 29 settembre 1922. Giornalista, grande cronista di cavalli, ciclismo, boxe • Gianni Clerici: «Come ti ho conosciuto, vecchio Mario, tu stavi alla Gazza che ancora faticava a
tornare rosa, per la penuria di carta, subito dopo la guerra. C’eri andato, in Russia, con l’ottavo Fanteria, per uno spintone inflitto a un professore della seconda liceo.
Perso lo status di studente, ti avevano subito arruolato. “Ben ti sta” ti aveva detto un padre esemplare, sindacalista cattolico dei popolari di
Sturzo. Ho passato infinite sere, tra una tappa e l’altra del Giro, a sentirti raccontare storie che parevano nuovi capitoli de
Il sergente nella neve di Rigoni Stern. Accerchiati nella sacca sul Don per tre mesi, liberati dai
tedeschi, ritirati sparandovi addosso con gli alleati rumeni. Ricordo che mi
avevi detto come, di quattordici amici dell’osteria Robbiati di Monza, tu fosti l’unico a ritornare. Non è solo fortuna. Ci vogliono anche qualità, per cavarsela. E immaginazione. Una volta che ti chiedevo se ti fossi
rifugiato in montagna, nel 44, mi avevi risposto che il luogo più sicuro, per sfuggire alle retate, ti era parso San Siro. Ma certo, l’ippodromo, avevi confermato. Federico Tesio, il protoallenatore, aveva avuto
garanzie che, almeno lì, i tedeschi non avrebbero messo naso, se non per scommettere. In quella zona
franca, si incontravano gappisti, partigiani, ricercati. Né mancava il giovane Luchino Visconti, geniale nel dirigere cavalli, non meno di
quanto sarebbe stato in seguito con gli attori. Finita la guerra, si erano
dischiuse a metà le porte della Gazzetta. Collaborazioni, partite di serie C. Fino all’arrivo di un tuo coetaneo, che già avevi sfiorato, cercando di intrufolarti tra i paracadutisti: Gianni Brera,
giovanissimo direttore. In un mondo di tecnici che non sapevano scrivere, e di
retori che ignoravano la tecnica, era penetrato un lampo di intelligenza, e di
cultura. Retour de Paris, dove aveva studiato atletica, Brera aveva raccolto
attorno a sé gente quale Gigi Gianoli, Giorgio Fattori, Gian Maria Dossena. Ti aveva mandato
a studiare ciclismo, e avevi fatto in fretta. Ne avevi conosciuti tanti, e
amati tanti. Gente coraggiosa, quei ciclisti, gente capace dell’umanità dei poveri. Tu, che ricco non eri, né mai saresti diventato, ti ci eri felicemente imbrancato. Ti stimavano. Vivevi
con loro, rischiavi spesso la pelle con loro, giù dalle discese. Ricordo le mie prime esperienze, con l’autista Pep che piombava sulle curve sterrate in controsterzo, a cento l’ora: “Ti abituerai - mi avevi sorriso”. “Certo, a Wimbledon è più tranquillo”. Tra tutti gli eroi della bicicletta, il prediletto non poteva essere che
Coppi. Ormai che tutto è consegnato alla storia, si può addirittura dire che, in un Giro ormai destinato a Koblet, dopo un gentlemen
agreement, Coppi sarebbe rimasto nel gruppo, se tu non l’avessi provocato, non l’avessi pungolato ad attaccare nuovamente, contro ogni patto, quello svizzero
che, sopra i millecinquecento, diveniva simile ad un cicloturista asmatico. Un
pezzetto del Giro 53 è anche tuo, vecchio Mario, anche se, con la tua fanatica onestà calvinista, non cessi di rimproverartelo. “Non è ancora nato il prete dal quale Fossati accetterà di confessarsi”, mi disse una volta Gino Bartali».