Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
THOENI
Gustav Trafoi (Bolzano) 28 febbraio 1951. Ex campione di sci alpino. Ha vinto quattro
volte la coppa del mondo generale (71, 72, 73, 75), oro in slalom gigante e
combinata e argento in slalom speciale alle Olimpiadi di Sapporo (72), oro in
slalom speciale e combinata alle Olimpiadi di Innsbruck (76), oro in slalom
speciale e gigante ai Mondiali di St. Moritz (74) • «Se la Valanga Azzurra fu la più grande squadra che lo sport italiano abbia mai avuto, Thoeni ne fu l’alfiere e il simbolo: l’illuminava di splendente ed assoluta classe. Con le sue imprese e quelle dei
baldi compagni, lo sci alpino da pratica d’élite e un poco snob si trasformò in sport di massa: non solo per i numeri del turismo invernale ma anche per la
straordinaria popolarità che raggiunse il culmine una luminosa mattina di marzo del 75, quando tre
fuoriclasse del calibro di Thoeni, del giovane Ingemar Stenmark e del
formidabile discesista Franz Klammer si ritrovarono al cancelletto della
partenza in Valgardena per la finalissima di coppa del mondo, tutti e tre a
pari punti. La resa dei conti si consumò in uno spettacolare parallelo: il più straordinario mezzogiorno di fuoco che il Circo Bianco seppe mettere in scena.
Vinse Thöni, conquistò la sua quarta coppa, ma fu determinante il gioco di squadra. L’Italia lo consacrò eroe nazionale. Gustav era un ragazzo di montagna come quelli di una volta:
timido, silenzioso, taciturno. Divenne un’icona. Smise di correre nell’80. Senza mai lasciare lo sci. Ha allenato Tomba, è diventato il cittì della Nazionale» (Leonardo Coen)
• «Sono nato praticamente con gli sci ai piedi: i primi me li costruì mio nonno. Erano di legno e mi ricordo che ci giravo per casa. Avrò avuto tre anni, forse anche meno. Poi sono cresciuto, ovviamente in simbiosi
con lo sci. Trafoi era un paese piccolissimo, immerso nelle montagne. L’unico svago, da ragazzi, era sciare. Andavamo in gruppo, senza maestro o
allenatore, inventavamo nuovi percorsi: era un modo come un altro per scoprire
l’ambiente che ci circondava e diventare grandi. A 14 anni, ho cominciato a fare
sul serio. Mio padre mi accompagnava in giro per il nord Italia, a disputare
decine di gare. La svolta venne quando vinsi il Trofeo Topolino. Può sembrare un nome curioso eppure era una delle competizioni più difficili e rinomate. Lì capii che potevo fare il grande salto. Sarà banale dirlo, ma da piccolo io ho sempre sognato di vincere la coppa del mondo
di sci. E poi quando i miei desideri si sono realizzati ho provato
soddisfazioni impagabili. L’impresa che ricordo con più emozione è stata, paradossalmente, il secondo posto nella discesa libera di Kitzbühel, in Austria. Sulla mitica Streif arrivai a soli tre millesimi da Franz
Klammer, il più forte discesista di tutti i tempi. E non dimentichiamoci che Klammer, in quella
stagione, aveva vinto tutte le libere in calendario eccetto quella di Megève dove gli si ruppe un attacco. Ma io ero in forma spettacolare: nel 75 dominai
in combinata, una delle mie specialità preferite, vincendo in tutte le gare, ovvero su Lauberhorn, Hahnenkamm e
Kandahar. Non ho mai avuto paura con gli sci ai piedi. Sarà anche perché, fortunatamente, non sono mai incorso in gravi cadute. Ero un tipo prudente,
almeno quando non conoscevo la pista. Poi, una volta presa confidenza col
tracciato, mi scatenavo. E per scendere il più veloce possibile ho spesso messo da parte le emozioni che mi dava la
competizione e il paesaggio circostante» (da un’intervista di Cheo Condina).