Il Catalogo dei viventi 2009, 6 luglio 2011
BORRELLI
Francesco Saverio Napoli 12 aprile 1930. Magistrato in pensione, già responsabile dell’ufficio inchieste della Federazione Giuoco Calcio, presidente del Conservatorio
Statale di Musica “Giuseppe Verdi” di Milano (il più grande e importante istituto di formazione musicale d’Italia) • In magistratura dal 1955, fu capo della Procura di Milano per più di 11 anni, 7 dei quali impegnato nell’inchiesta Mani pulite. Poi, dal 17 marzo 1999 alla pensione (aprile 2002),
procuratore generale della Corte d’Appello milanese • Il padre Manlio «era un uomo di grande presenza, un ex ufficiale di cavalleria con tratti
dannunziani e qualche rigidità del carattere. Mi metteva paura. Se a tavola mi guardava con severità, scoppiavo a piangere prima ancora che parlasse. Poi l’ho imitato in tutto, nella professione, nell’amore per Wagner, nel piacere di andare a cavallo. Lui non faceva nulla per
farsi temere: in tutta l’infanzia non ha mai alzato le mani su di me» • A sette anni un adulto gli causò un forte trauma: «Sono un figlio di secondo letto, ma non avevo mai saputo che i miei fratelli
avessero avuto un’altra madre, morta quando erano piccolissimi. Nessuno mi aveva mai detto nulla.
Me lo rivelò quell’uomo stupido ridacchiando: “Ma che fratelli, i tuoi sono fratellastri”. Fu uno shock tremendo. Corsi a casa disperato. Volevo sapere, capire. I miei
avevano voluto salvaguardare l’uguaglianza tra fratelli: non dovevo sentirmi un privilegiato perché io avevo entrambi i genitori. Mi chetai, ma mi restò a lungo una fantasia di abbandono, il timore, che più tardi ho saputo comune a molti bambini, di essere un trovatello. Tremavo nel
mio lettino e pregavo che non fosse così»
• Bravissimo a scuola in tutte le materie, ma non in condotta: «Il sette lo presi per due iniziative non proprio lodevoli: una volta buttammo un
topo morto in una classe tutta femminile, tra le strida delle ragazze. Un’altra organizzammo uno sciopero per concedere ai fuorisede orari flessibili: ci
sembrava di lottare per le minoranze» • «Fu soprannominato “il grande inquisitore”: «C’è chi ha fatto di tutto per screditare il nostro lavoro, anche attraverso i
soprannomi. Pochi sanno peraltro che sono finito a fare il pubblico ministero
per caso e, pur avendo fatto l’inquirente con scrupolo, la mia vera passione sarebbe stata quella di tornare a
fare il giudice, specie nelle cause civili. Non compro i libri di diritto, ma
sono attratto intellettualmente dal sottile meccanismo della sentenza, dal
rapporto tra fatto e norma. Sono figlio, nipote e pronipote di magistrati. Da
bambino spesso non potevo fare chiasso perché papà stava scrivendo una sentenza. A quel tempo il lavoro del magistrato,
specialmente se civilista, si svolgeva in casa. Forse viene da lì la mia passione per le sentenze. Anche per la tesi di laurea, incoraggiato da
Piero Calamandrei, scelsi come tema
Sentimento e sentenza» • «Nella riservatezza ha trascorso i primi sessantadue anni della vita. Neppure l’arresto di Mario Chiesa, il 17 febbraio del 1992, eccitò un inquirente la cui massima ambizione mondana era di trovare posto al festival
wagneriano di Bayreuth. La discrezione di quest’uomo figlio di magistrato, nipote di magistrato, bisnipote di magistrato e padre
di magistrato, risiede nelle tre agenzie Ansa in cui egli compare nei primi tre
mesi dall’avvio di Mani pulite. E nel titolo dei dispacci non c’è scritto “Borrelli” ma “il procuratore capo”. Poi, forse perché la gente scriveva sui muri “Forza Antonio Di Pietro”, ma più probabilmente perché la delicatezza della situazione lo richiedeva, decise di prendere in mano la
situazione. E ci diede dentro. Il 2 maggio 1992 concesse un’intervista a L’Espresso. Il 4 maggio partecipò alla trasmissione radiofonica Prima pagina. Il 5 maggio debuttò in tv a Studio aperto con Paolo Liguori. Il suo decennio di prode della
giustizia e di intellettuale poliedrico (parlò di etica, legislazione, concorrenza, equitazione e lirica) si sarebbe concluso
dieci anni più tardi, nel gennaio 2002, secondo governo di Silvio Berlusconi, quando
intervenne prima della pensione all’inaugurazione dell’anno giudiziario consegnando ai posteri un grido da manuale di storia: “Resistere! Resistere! Resistere!”. E coerentemente si eclissò. Nel frattempo noi avevamo saputo tutto di lui, anche che montava la cavalla
Rosemary e che trova impareggiabile
Una notte sul Monte Calvo di Modesto Musorgskij. E avevamo imparato a conoscere il rigore morale
ereditato dagli avi con cui si era imposto equilibrio. A Mixer, sollecitato da
Giovanni Minoli sull’adorazione furente del popolo per le toghe, nell’autunno del 93 disse: “Non dobbiamo sentirci destinatari di un’investitura diretta e fortemente caratterizzata da un punto di vista emotivo da
parte della gente”. Ma quelli non erano tempi normali. Persino a lui capitò di cedere al moto insurrezionale dichiarando che i processi ci sarebbero stati,
ma quello di piazza era già concluso, e aveva emesso la sentenza. Non solo: a causa della fama
incontenibile e dello sfascio della classe politica, intervistato nel 1994 dal
Corriere della Sera si lasciò sedurre da un’ipotesi che gli sarà rinfacciata tutta la vita: “Dovrebbe accadere un cataclisma per cui resta solo in piedi il Presidente della
Repubblica che, come supremo tutore, chiama a raccolta gli uomini della legge.
E soltanto in quel caso potremmo rispondere con un servizio di complemento”. Siccome il cataclisma c’era, tutti interpretarono l’uscita come una candidatura alla presidenza del Consiglio prossima alla
sovversione. Sarebbe stato accusato di golpismo per quell’episodio e per altri, come quando convocò le telecamere minacciando dimissioni collettive se il decreto di Alfredo Biondi
(sulla carcerazione preventiva) non fosse stato respinto, e come quando
contribuì alla caduta del primo governo Berlusconi inviando un avviso di garanzia al
premier che presiedeva a Napoli la Conferenza mondiale delle Nazioni Unite
sulla criminalità organizzata» (Mattia Feltri).
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L’allora commissario della Federcalcio Guido Rossi lo chiamò nel maggio 2006 (era appena scoppiata Moggiopoli) a dirigere l’ufficio inchieste della Federazione, benché Borrelli non avesse mai manifestato alcuna passione per quello sport. Scrisse
Filippo Facci: «Di Borrelli avevo in mente il padre Manlio, un dannunziano col monocolo e il
fisico da ufficiale di cavalleria, nietzschiano della prima ora e buon amico di
Indro Montanelli; di Borrelli avevo in mente l’educazione austroungarica, le vacanze in Engadina, gli studi musicali, la borsa
di studio che lo portò a Bayreuth, lui frastornato da quel mito wagneriano che pure aveva ammaliato
suo padre, lui d’inclinazione rigorosamente classica e al tempo stesso disperatamente romantica,
una passione che accrebbe la sua indecisione sul che fare: si diplomò al Conservatorio e si laureò in Giurisprudenza nello stesso anno, e il titolo della sua tesi spiega tutto:
Sentimento e sentenza. Io di Borrelli avevo in mente la sorella sposata col
musicologo Roman Vlad, il fratello già consigliere dell’Opera di Roma con tanto di casa a Capalbio, avevo in mente l’eloquio perfetto, lo snobismo fantastico, la spettacolare vanitas, la pupilla
lievemente dilatata mentre risuonava la fanfara della rivol
uzione e il Götterdammerung della Prima repubblica, io avevo in mente questo: e lo combattevo
con tutto il mio onore. Potete immaginare come mi sento ora a vederlo lì che si barcamena col Moviolone, con Luciano Moggi, col giuoco del pallone» • Qualche incredulità nel dicembre 2007: prima sull’allestimento di un Tristan und Isolde alla Scala di Milano si trovò d’accordo con Vittorio Sgarbi («discutibile»), poi sullo scandalo delle “consulenze d’oro” al comune di Milano costato a Letizia Moratti un avviso di garanzia dichiarò: «Per rendere efficiente la pubblica amministrazione a volte bisogna anche forzare
i limiti della legalità». Gherardo D’Ambrosio: «Forse Borrelli è stato sensibilizzato dalla musica di Wagner. Se avessimo ragionato così negli anni 90 non ci sarebbe stata Mani Pulite»
• Ha sposato Maria Laura Pini Prato, nata a Fucecchio (Firenze), insegnante di
inglese, conosciuta al liceo Michelangelo di Firenze, a differenza del marito
appassionata di calcio e tifosa proprio della Fiorentina, una delle squadre
messe sotto inchiesta dal marito durante il periodo del suo incarico in
Federcalcio. Due figli: Andrea, magistrato (interista), e Federica, archeologa • «Il suo sport prediletto, a parte la parentesi dell’equitazione, che una foto pubblicata da Il Venerdì ha trasformato ingigantendone le doti di cavallerizzo nel procuratore a
cavallo, è sempre stato lo sci» (Cinzia Sasso).