Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
SCALFARO
Oscar Luigi Novara 9 settembre 1918. Politico. Senatore a vita. Ex presidente della Repubblica
(92-99) • Ex magistrato, è stato eletto per la prima volta nel 46 come membro dell’Assemblea Costituente. Deputato dal 48 al 92, nel 54 sottosegretario alla
presidenza del Consiglio nel Gabinetto Scelba, quindi viceministro della
Giustizia e dell’Interno. Ministro dei Trasporti nei governi Moro, Leone e Andreotti, ministro
della Pubblica istruzione nel governo Andreotti del 72, e dell’Interno dall’83 all’87 nei governi Craxi e Fanfani. Nell’aprile 92 presidente della Camera. Un mese dopo, il 25 maggio, è stato eletto presidente della Repubblica. Dal 15 maggio 99 è senatore a vita
• «Fu un 11 febbraio, Madonna di Lourdes, che diventò per la prima volta sottosegretario. Fu un 4 di agosto, Maria Santissima della
Neve, che fece il suo ingresso al Viminale. Fu un 13 di maggio, Madonna di
Fatima, che si aprirono le votazioni per l’elezione del successore di Cossiga. Era infine una giornata di maggio, mese
mariano dei rosari e dei fioretti, quando ascese (mai verbo fu più aderente) al Quirinale. “Un papa si riprende il palazzo dei Papi”, rise Vittorio Sgarbi il giorno dell’elezione. Da quel momento non s’è persa occasione per sottolineare come il nome di Oscar venisse da “Os” (Dio) e “geirr” (lancia), per sorridere delle enormi sciarpe bianche portate come fossero la
stola di un prete, per ricordare i suoi saggi titolati
Il Pio transito di Francesco o Il valore del Rosario, per riesumare antiche fissazioni bigotte quali la scelta di bloccare l’invio a Cannes (allora il giovanotto era sottosegretario allo Spettacolo) di un
capolavoro come l’Oro di Napoli (1954 — ndr) o il celebre schiaffo mollato al ristorante Chiarina alla troppo scollacciata
Edith Mingoni Toussan: “Le ordino di rimettersi il Bolero!” (1950 — ndr). Episodio che spinse Totò a sfidarlo a duello e Curzio Malaparte a dire: “A giudicare dai lamenti, dalle minacce, dalle esortazioni, dalle preghiere e dai
progetti dell’onorevole Scalfaro, si direbbe che l’Italia sia un sobborgo di Sodoma, la Bestia dell’Apocalisse, un museo dei vizi, una scuola di depravazione, una sentina d’impurità”. In delicatissimo equilibrio tra Santa Teresa del Bambin Gesù e lo spione Riccardo Malpica, le professioni di umiltà (“Sono solo un broccolo nel campo del Signore”), e la vanesia accuratezza con cui filtra per mano del fidato Tanino Scelba
ogni fotografia che esce dal palazzo, la dorotea besciamella piemontese e l’incendiario peperoncino calabro (ne usa a chili), la frequentazione dei conventi
e il senso dello Stato, l’ascesi e il potere» (Gian Antonio Stella)
• «La presidenza Scalfaro, complice la transizione politico-istituzionale
incompiuta, segna la massima espansione del ruolo presidenziale in un regime
che resta parlamentare ovvero segna la regressione a un assetto “orleanista” nel quale l’esecutivo, ancorché legato dal classico rapporto fiduciario col Parlamento, è sottoposto a tutela presidenziale. Una tutela a volte discreta e appena
percettibile (secondo una “prassi consolidata” il presidente del Consiglio italiano si reca prima di ogni Consiglio dei
ministri al Quirinale per passarne in rassegna l’ordine del giorno insieme col capo dello Stato), a volte invadente e clamorosa
(si pensi alla lettera al presidente incaricato Berlusconi nel maggio 94 o al “mandato” per affrontare le cosiddette “quattro emergenze”, affidato a Dini nel gennaio 95). Il paradosso è che Oscar Luigi Scalfaro, nel decennio che ne precedette l’elezione, si era caratterizzato come il campione delle assemblee
rappresentative, critico degli eccessi partitocratici e delle invadenze
presidenziali (si pensi alla sua risoluzione contro le crisi extraparlamentari
o al suo discorso contro Cossiga pronunciato nel dibattito sul messaggio del
giugno 91 sulle riforme): evidentemente il problema non sta solo nelle persone,
ma in difetti dell’ordinamento e soprattutto nell’inadeguatezza del sistema politico. Certo è che Scalfaro ci ha aggiunto molto di suo, forse anche per quella irrefrenata e
illiberalissima propensione a fare il parroco d’Italia (quando non dell’universo mondo), già evidente quando insegnava alle signore come vestirsi. Il suo interventismo l’ha esibito ai più vari livelli e in ogni possibile circostanza. Fu giusto sciogliere le Camere
nel gennaio 94 (perché c’era una nuova legge elettorale, perché le elezioni amministrative avevano segnalato una situazione politica fortemente
cambiata, perché 40 parlamentari su 100 erano ormai indagati dalla magistratura)? Fu giusto
rifiutare di farlo nel gennaio 95 (nonostante l’operazione trasformistica di Lega, Pds e Popolari)? Fu giusto, nell’autunno 94, dare affidamenti sulla propria determinazione a non esercitare il
potere di scioglimento (senza di che forse la Lega non si sarebbe mossa)? Fu
giusto mettere in vita e tenere in piedi con continue respirazioni bocca a
bocca un governo commissariale senza parlamentari (ma pur “fiduciato”, dalle Camere) all’evidente scopo di spostare la data delle elezioni a un momento meno favorevole
all’ex maggioranza e più favorevole all’opposizione? Furono opportune le consultazioni presidenziali con 26 fra gruppi o
sottogruppi nel gennaio 96 (dopo la crisi del governo Dini) o quelle “ristrette” all’indomani delle elezioni del 21 aprile 96? E perché non già nel 94? Fu opportuno sia nell’autunno 97 sia nell’autunno 98 tornare a dare affidamenti in ordine all’intenzione di “non sciogliere comunque” le Camere (indebolendo così il presidente del Consiglio Prodi, costretto nel 97 a dare a Bertinotti le 35
ore e nel 98 a passare la mano a un governo senza legittimazione popolare)?» (Carlo Fusaro)
• Giuliano Ferrara: «Ritengo clamorosamente contraddittorie due fondamentali decisioni di Scalfaro.
Nel 94 sciolse le Camere in anticipo, dopo l’approvazione di una nuova legge elettorale (il Mattarellum, ndr), sostenendo che a quel punto bisognava dare agli elettori la possibilità di scegliersi un nuovo “governo del popolo”. Un ragionamento sostanzialistico, che “sacralizzava” la legge elettorale. Salvo poi, quando nel 95 il ribaltone del governo
Berlusconi contraddisse il voto popolare, convertirsi al formalismo. E
sostenere che se c’è una maggioranza in grado di esprimere un nuovo governo, allora lo spirito della
legge elettorale non è più sacro. E nessun capo dello Stato può sciogliere le Camere...». Sergio Romano: «Scalfaro non ha mai assecondato il processo di evoluzione del sistema politico
italiano. Anzi, si è “messo di traverso”, rifiutando di sciogliere le Camere sia all’inizio del 95 sia nel 98, dopo la crisi del governo Prodi. E così facendo ha rimesso indietro l’orologio della riforma costituzionale»
• Torna ciclicamente nelle polemiche che lo riguardano una richiesta di condanna
a morte da lui ottenuta a Novara nel 1945 in un processo per omicidio contro
Enrico Vezzalini e altri sette (uno solo si salvò dalla fucilazione perché ricorse). Il Corriere di Novara dell’epoca scrisse: «il pm Scalfaro parla con vigoria ed efficacia che lo fanno ascoltare senza
impazienza dal pubblico... Il pm, dopo la chiarissima requisitoria conclude
domandando la pena di morte». Scalfaro poi ha detto di essersi molto tormentato per quella richiesta
• Ha suscitato critiche anche la sua presidenza (per anzianità) dell’assemblea dopo le politiche del 2006 in occasione dell’elezione del presidente (Franco Marini). Criticata soprattutto la sua decisione
di votare • Rimasto vedovo da giovane, la figlia Marianna, single, è la sua vera compagna e lo accompagnò al Quirinale come una first lady.