Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
SIMEONI
Sara Rivoli Veronese (Verona) 19 aprile 1953. Ex campionessa di salto in alto. Medaglia d’oro alle Olimpiadi di Mosca (80), argento a Montreal (1976) e Los Angeles
(1984). Campionessa europea nel 78. È stata primatista mondiale (2,01 metri) dal 4 agosto 78 (a Brescia, misura
ripetuta il 31 dello stesso mese agli europei di Praga) all’8 settembre 82 (2,02 di Ulrike Meyfarth ad Atene) • «Faceva danza, ma la scartarono “perché troppo alta”. Le dissero che svettava troppo rispetto alle altre, non potevano tenerla. I
suoi genitori, che sovvenzionavano una società di atletica, la portarono al campo. A fare tutto. L’insegnante era un vigile urbano. Sara corse, tirò, saltò. A 19 anni, sempre a Monaco, che fu un po’ l’anno di liberazione per lo sport femminile, si piazzò sesta nel salto in alto con 1.85, migliorando di cinque centimetri il record
italiano. “Mi accorsi che per me l’atletica era un gioco, ma che le altre avevano dietro preparazione specifica e
programmi, allora tornai a casa con altri propositi. Mi dissi che con altri tre
centimetri sarei salita sul podio. Valeva la pena di fare sport seriamente. Ma
naturalmente nel nostro paese mancavano strutture e mentalità. L’ambiente era tradizionale e maschilista: prima venivano gli uomini, gli atleti,
le loro necessità, poi, se c’era spazio, toccava a noi”. Sara salì sull’asticella, sui sogni, sul mondo. Nel 78 a Brescia portò il record a 2.01, nessuna si era mai arrampicata così tanto in cielo. Sara, un’italiana, non una tedesca. Una che per allenarsi doveva aspettare che la squadra
di calcio del Verona finisse i suoi comodi. Vinse tutto e molto, anche i Giochi
di Mosca. E cambiò l’Italia. Una donna poteva, sì. E poteva molto bene. Senza perdere grazia, femminilità, fascino. Lo sport non distruggeva, ma esaltava. Sara sorrideva, si diplomava
all’Isef, si sposava. Vinceva nella vita, non solo contro l’asticella» (Emanuela Audisio)
• «Mi allenavo a Formia, tre ore al giorno, tutti i giorni, e spesso l’allenamento era doppio, mattina e pomeriggio. La sera cadevo sul letto come un
sasso, senza nemmeno avere il tempo di pensare. Oggi ci si lamenta che non ci
sono più campioni, ma io quando vedo la gente allenarsi mi sembra più che altro un gioco. A me sembra che giochino, senza faticare. Io ho saltato per
venti stagioni. Da 13 a 33 anni. Sesta ai Giochi di Monaco con 1.85, seconda a
Montreal con 1.91, prima a Mosca con 1.97, seconda a Los Angeles con 2 metri.
Alla mia prima Olimpiade pesavo 69 chili e all’ultima appena 57. Avevo il tendine gonfio e lo stomaco chiuso, non riuscivo a
mandare giù niente. Si lavorava duro, i risultati si vedevano. Eppure mancavano le
strutture».