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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

La spesa per i forestali calabresi? Il doppio dei ranger del Canada - Sono sempre lì quei 160 mi­lioni

La spesa per i forestali calabresi? Il doppio dei ranger del Canada - Sono sempre lì quei 160 mi­lioni. Sono una costante di tutte le leggi di bilancio quelle due pa­rentesi che contengono lo stan­ziamento relativo alla vecchia Unità previsionale di base e che suonano un po’ anonime con il loro burocratese: (22.2.1) (4.2.1). Ma quando si legge il ti­tolo, tutto si fa più chiaro: «con­tributo speciale alla regione Ca­labria per l’attuazione degli in­terventi straordinari di compe­tenza regionale nei settori della silvicoltura, della tutela del pa­trimonio forestale, eccetera». Sì, avete capito bene sono i «fa­migerati » forestali calabresi, un esercito di circa 10.500 persone deputato alla sorveglianza e al­la tutela di un’area boschiva di 6.500 chilometri quadrati. Due volte e mezzo i ranger canadesi che sovrintendono a un patri­monio forestale di 400mila chi­lometri quadrati. Ma si tratta di un’eredità del passato, dei tem­pi dell’intervento straordinario per il Mezzogiorno, quando un socialista alla Mancini o un de­mocristiano alla Misasi con un’ alzata di sopracciglia elargiva un posto pubblico o una pensio­ne di invalidità. Ci aveva prova­to pure il severissimo Roberto Calderoni a risolvere il proble­ma nel 2004 ma senza successo. Si sono succeduti due governi Berlusconi e un governo Prodi, nel frattempo sono passati tre governatori regionali (Chiara­valloti, Loiero e Scopelliti) e il contributo è sempre lì, uguale a se stesso 160 milioni necessari per coprire i due terzi del costo del pattuglione (gli altri 80 mi­lioni li mette la Regione). Perché nessuno ha fatto nien­te? Molto semplice: il mero effet­to annuncio produce automati­camente un blocco sine die del­la Salerno-Reggio Calabria «oc­cupata » dai protestanti. E così l’unica corsia per senso di mar­cia (giacché i lavori lì sono pe­renni) è inutilizzabile. Insom­ma, si tratta anche di una tassa sul quieto vivere anche se pri­ma o poi bisognerà smettere di pagarla. Certo, c’è sicuramente uno squilibrio considerato che il ministero devolve 160 milioni alla punta dello Stivale per i fore­stali e solo 4,157 milioni a tutte le altre Regioni. Comunque il contributo per i forestali calabresi fa parte di un ambito più complesso del bilan­cio del ministero dell’Econo­mia che è quello dei trasferimen­ti agli enti locali che vale circa 650 milioni (745 milioni consi­derando pure i trasferimenti per Venezia che vedremo in se­guito). A fare la parte del leone è il contributo per il risanamento finanziario del Comune di Ro­ma con 300 milioni di euro per agevolare il piano di rientro. Si potrebbe affermare che quel denaro è necessario per non bloccare finanziariamente la Capitale prostrata dai 12,4 mi­liardi del «buco» lasciato in ere­dità da Walter Veltroni. Non l’ha creato tutto l’ex sindaco sia chiaro ma è l’eredità di una cin­quantennale gestione allegra delle casse capitoline e che com­prende ancora somme inevase relative agli espropri per le Olimpiadi 1960. In ogni caso, lo Stato anticipa a Roma il denaro per pagare i mutui sul debito e al tempo stesso non azzerare l’or­dinaria amministrazione. Sul capitolo in questione il sindaco Alemanno e il ministro Tremon­ti hanno più volte battibeccato, ma fino a quando il Comune non riuscirà a dismettere parte del proprio patrimonio immobi­liare per fare cassa e sgravarsi di alcuni oneri, l’impressione è che i contribuenti italiani pa­gheranno un pezzettino della mondanità veltroniana, degli interventi per il Giubileo e an­che delle Olimpiadi del 1960 che vi abbiano assistito oppure no. Roma beneficia poi di parte dei 50 milioni per i Comuni in ge­stione commissariale straordi­naria e­nel 2012 ri­ceverà altri 30 mi­lioni per le infra­strutture. C’è po­co da lamentarsi visti i tempi di ma­gra. La singolarità di questo capito­lo del bilancio dello Stato, tutta­via, è la sua voca­zione puramente assistenziale. Si respira in tutte queste voci un odore di vecchia politica: l’arte di costruire il con­senso garantendo un po’ di man­ce a tutti quanti. Ecco perché vi si ritrovano i 18 milioni di annualità venten­nali per gli interventi edilizi del Comune di Napoli che di qual­che metro cubo di cemento in più ha sempre bisogno perché c’è gente che vive ancora nei «bassi». E poi ci sono 47,5 milio­ni di annualità quindicennali per gli interventi sul patrimo­nio idrico degli enti di bonifica e dei consorzi, altra pagina «stori­ca » del keynesismo all’italiana. Infine 40 milioni per il traspor­to pubblico locale nelle Regioni dei quali 35 allo scopo di soste­nere il settore e 5 milioni per ac­quistare veicoli a basso impatto ambientale come possono esse­re bus a metano o elettrici o al­tre amenità del genere. Tanto pagano i cittadini. Alla «storia d’Italia» i nostri politici sono proprio affeziona­ti, altrimenti avrebbero rimos­so da tempo quei 2,5 milioni per gli interventi nel bacino idrico dell’Arno, ma siccome un altro 1966 è sempre dietro l’angolo avranno pensato che anche un micro-stanziamento può esor­cizzare una nuova sciagura. Questa carrellata non poteva non concludersi con due voci dal gusto un po’ retrò. Si tratta di due contributi per l’assunzione dei dipendenti di istituti finan­ziari meridionali disciolti: 485mila euro vanno all’Arsial La­zio e 765.551 alla Regione Cam­pania. In totale fanno 1,25 milio­n­i di euro per conservare alla pa­tria alcuni dipendenti pubblici che altrimenti avrebbero ri­schiato di perdere il posto. C’è poco da dire, la morale è sempre la stessa: la spesa pubblica im­produttiva impoverisce lo Stato e i cittadini, ma evita le rivolte so­ciali. Fino a quando questa equa­zi­one sarà ritenuta valida da par­te della classe dirigente? *** Come è cara Venezia Un vanto che ci costa 386 milioni di euro È questa la cifra che solo quest’anno quattro ministeri verseranno per assicurare la conservazione della città Inchiesta a cura di Gian Maria De Francesco ■ «Com’è triste Venezia soltanto un anno dopo, com’è triste Vene­zia se non si ama più», cantava con la sua voce inconfondibile Charles Aznavour. Ma per i contri­buenti­italiani bisognerebbe cam­biare aggettivo e usare «cara». Nel senso di «costosa» perché conser­vare una delle città più belle del mondo costerà nel 2011, secondo gli stati di previsione dei ministeri interessati (Economia, Infrastrut­ture, Ambiente e Beni culturali) la bellezza di 386.725.597 euro. E non stiamo parlando del Mose, il sistema di dighe elettromeccani­che per le quali il Cipe stanzia ogni anno una cifra più o meno analo­ga. Il discorso è molto diverso e me­rita un breve prologo. Quasi tutti questi denari - eccettuato lo stan­ziamento del dicastero guidato da Giancarlo Galan- si riferiscono a una stratificazione di leggi (ben 5 dal 1963 al 1995) che hanno co­me scopo quello di garantire la sal­vaguardia del capoluogo veneto. Per mettere in pratica questo cor­pus sono serviti numerosi decreti ministeriali, quattro leggi regiona­li­del Veneto e varie ordinanze pro­vinciali e comunali. Per governa­re il processo amministrativo oc­corrono ben due distinti organi. Il primo è il famoso «Comitatone» che riunisce sotto l’egida della pre­side­nza del Consiglio tutte le auto­rità che si interessano della difesa della laguna (incluso il Comune di Cavallino-Treporti). Il secondo è il concessionario pubblico che per conto del ministero delle Infra­strutture si occupa della realizza­zione materiale degli interventi: il Magistrato delle Acque di Vene­zia, erede di un istituto della Sere­nissima. Tale ammasso di burocrazia spiega da solo perché sia stata ne­cessaria la legge Obiettivo per av­viare il Mose, un progetto elabora­to tra gli anni ’70 e ’80 e avviato dal premier Berlusconi nel 2003. Re­sta però da comprendere quali processi siano alla base degli inter­venti di ordinaria e straordinaria manutenzione di Venezia. E occorre partire dal ministero delle Infrastrutture per compren­dere quale crescendo rossiniano di spese si celi dietro questa mac­china complessa. Il primo stanzia­mento che si incontra sono i 34mi­la euro per il Centro sperimentale di modelli idraulici di Voltabaroz­zo, in provincia di Padova, che si occupa di elaborare i sistemi di di­fesa. Seguono i 235mila euro per l’Ufficio di piano del Magistrato delle Acque, cioè l’ufficio tecnico che definisce e calendarizza i pro­getti. Seguono i 7,97 milioni desti­nati alle associazioni private che si occupano di difendere Venezia. E poi la spesa di maggiore entità: i 135 milioni di annualità quindi­cennali per l’aggiornamento de­gli studi sulla Laguna (un campo che spazia dalle procedure anti­inquinamento alla battaglia con­tro le alghe fino alla realizzazione di interventi vari anti-degrado). Superata la fase progettuale si passa a quella esecutiva. Che cosa c’è sul piatto della bilancia? Altri soldi. Alla Provincia di Venezia so­no destinati 6,5 milioni di euro per il restauro dei beni di pertinenza dell’ente a Venezia e a Chioggia. Al Comune - giustamente - va la fetta di torta più grande: 123,4 mi­lioni che sono destinati alla manu­tenzione di ponti e canali e alla prosecuzione delle normali attivi­tà socio-economiche, ma in gran parte finiscono per essere destina­ti come contributi in conto interes­si e in conto capitale ai privati e agli enti che restaurano i propri immobili. Risulta esaurito - per cancellazione del capitolo di bi­lancio - il contributo ai mutui per l’acquisto della prima casa a Vene­zia. Seguono 1,3 milioni di euro di annualità quindicennali per la conservazione del Comune di Ca­vallino- Treporti e 6 milioni per gli interventi di competenza del Co­mune di Venezia e di quello di Chioggia. All’Autorità portuale di Venezia vanno 4,75 milioni per i canali navigabili mentre a quella di Chioggia 805mila euro per le opere portuali. Dal ministero del­l’Ambiente arrivano altri 11 milio­ni. Il servizio di polizia lagunare del Magistrato costa 10 milioni. Un altro milione è destinato al Co­mitato d­i vigilanza sull’uso delle ri­sorse idriche ( Coviri) ed è così sud­diviso: 470mila euro di spese di funzionamento del Coviri, 470mi­la per la segreteria tecnica che si occupa di migliorare gli standard dei processi e 85mila euro per il si­stema di coordinamento e con­trollo degli interventi finalizzati al riequilibrio idrogeologico. Ultimo ma non meno importan­te il ministero dell’Economia che per 81,5 milioni finanzia gli inter­venti della Regione Veneto per la salvaguardia e destina altri 9,2 mi­lioni­al governatore Zaia per la ma­nutenzione dei rii. Secondo il Co­mune, da qui al 2030 servirebbero circa 43 milioni all’anno (38 a cari­co dello Stato) anche per gli im­pianti fognari considerato che la legge speciale per Venezia preve­deva oltre 1,2 miliardi in trent’an­ni, ma Tremonti ha tagliato i fon­di. Senza quei 760 milioni circa è a rischio la sopravvivenza stessa della città. Sarebbe a dire che Ve­n­ezia sarebbe con­dannata a morte se lo Stato, per un motivo o per un al­­tro, non potesse provvedere al fab­bisogno. In quest’ottica sembrano noccio­line i 2 milioni che ogni anno il mini­stero dei Beni cul­turali destina alla Biennale, l’ente che si occupa di or­gani­zzare manife­stazioni artistiche inclusa la Mostra del Cinema. Questi 386,7 mi­lioni sono ben spesi oppure no? Una cosa è certa: finanziano mi­crointerventi e in qualche misura contribuiscono all’economia di Venezia. Ma senza questo «respi­ratore artificiale» la città sarebbe in grado di vivere o continuereb­be a spopolarsi come negli ultimi anni? E considerato che numero­se associazioni internazionali a carattere privato si profondono per salvare il patrimonio cultura­le di Venezia, non sarebbe il caso di pensare come accaduto di re­cente per il Colosseo con Diego Della Valle che sia meglio affidare a uno sponsor questi interventi? Ci si potrebbe pensare anche per consentire a Stato, Provincia e Co­mune di svolgere meglio il loro ri­spettivo ruolo. *** Per Torino 2006 paghiamo ancora 144 milioni l’anno Nel bilancio di previsione 2011 del ministero dell’Economia il programma di spesa per la salvaguardia di Venezia comprende anche gli interventi per le Olimpiadi invernali di To­rino 2006. Le annualità quindicennali per questo capitolo ammontano a 144 milioni di euro.Significa che quest’anno lo Stato preve­de di spendere tale cifra per le infrastrutture realizzate per consentire lo svolgimento dei Giochi. Che furono un successo- come molti eventi sportivi organizzati in Italia - ma a co­sti poco competitivi. Molte strutture realizza­te per le Olimpiadi, infatti, sono state pratica­mente abbandonate terminata la kermesse. A inizio 2010 il trampolino per lo ski jumping di Pragelato, costato 34 milioni, era inutiliz­zato. La pista di bob di Cesana, costata 61,4 milioni, è finita nel mirino della Procura di Torino ed è chiusa da febbraio per motivi di sicurezza.Ma grazie all’intervento della pre­sidenza del Consiglio sono stati sbloccati 40 milioni di euro avanzati all’Agenzia Torino 2006 per consentire all’attuale gestore degli impianti di proseguire la propria attività tra­sformando le strutture in una «Coverciano della neve» per l’allenamento degli atleti az­zurri degli sport invernali. Se non altro, pur a fronte di una spesa elevata,è stato evitato l’ef­fetto «cattedrale nel deserto» di alcuni im­pianti realizzati per Italia ’90.