Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
BELMONDO
Stefania Vinadio (Cuneo) 13 gennaio 1969. Ex sciatrice (fondo). Medaglia d’oro alle Olimpiadi 2002 di Salt Lake City nella 15 km a tecnica libera e a
quelle di Albertville 92 nella 30 km. Nel 2006 è stata l’ultima tedofora delle Olimpiadi di Torino • Il papà Albino, guardiano delle dighe Enel, da militare aveva partecipato a qualche
gara e sciava forte soprattutto in salita, in montagna: «Era così agile e resistente che lo chiamavano “il camoscio”» • «La scuola organizzava corsi di sci e di nuoto. E pur di stare sempre in
movimento, io ero la più assidua a tutti e due. Ero quello che si dice un maschiaccio, anche se non ero
proprio un... gigante. Mai giocato un granché con le bambole. Preferivo qualsiasi gioco in cui ci fosse da correre: a
nascondino, al pallone... e mi piaceva tanto anche andare in bicicletta, su e
già per tutte quelle salite del paese! La prima gara l’ho fatta quando avevo 7-8 anni. E sono arrivata ultima. Ma proprio ultima. Non
ero portata all’agonismo. Mi ricordo che qualche anno dopo si partiva in linea e io ero la prima
della fila. Quella dietro mi aveva chiesto pista in discesa. Io mi ero tirata
da parte per farla passare e una dopo l’altra erano passate tutte. Mi ricordo certe spilungone, tanto più alte di me. E quando mai mi avrebbero lasciata rientrare nella fila! Fino alla
quinta elementare il risultato non mi interessava. Anche perché i miei genitori non facevano alcuna pressione su di me. Mi divertivo e basta. A
11 anni lo Sci Club Alta Valle Stura mi aveva portato ai Giochi della Gioventù. Sono arrivata tredicesima nell’individuale e terza nella staffetta. Ho anche cominciato a vincere qualcosa, ma
senza esagerazione... è stato con le scuole medie che il mio atteggiamento è cambiato»
• Che fosse una numero uno era scritto nel destino. Alla sua prima Olimpiade, a
Calgary, nel 1988, a 19 anni, la sorte infatti le diede in regalo il pettorale
numero 1. «Un vero dono: mi toccò inaugurare i Giochi, in quanto la 10 km fu la prima gara del programma
olimpico. Il pubblico, quando presi il via, si alzò in piedi, facendo una “ola” enorme, con applausi, cori... Certo, non erano tutti miei tifosi» • «Sedici anni passati a sfiatarsi sulla neve. Trentatré titoli italiani, ventitré successi in Coppa del Mondo, cinque partecipazioni e sei medaglie (due ori)
alle Olimpiadi. Quattro ori, undici argenti e due bronzi ai Mondiali. La donna
che ha messo l’Italia sulla cartina dello sci di fondo, un monumento alto 158 centimetri, per
49 chili di peso. Il primo oro ad Alberville, nel 92. Quindi la corsa da
predestinata interrotta da due operazioni all’alluce, quattro anni di calvario e i medici che le dicevano meglio smettere, non
sarai più quella di prima. Lei no, che non si fermava, testarda, irriducibile come quell’altra pila di energia piemontese, Emma Bonino: stesse misure small, stessa
voglia di non accontentarsi mai, stessa vitalità extra-large. La Belmondo ha attraversato a denti stretti anche la rivalità sempre angolosa, spesso urticante con Manuela Di Centa, la primadonna del
nostro fondo negli Anni Novanta, culminata a Lillehammer nel 94: cinque
medaglie di cui due d’oro per la Di Centa; due bronzi per la Belmondo. Manuela più morbida con i media, diplomatica, più sorridente, quasi pin-up. Stefania che sorrideva solo dopo il traguardo, con un
lampo accecante, dopo aver indossato maschere di tormento per tutta la gara.
Gliela leggevi negli occhi, la sofferenza, nella pelle tirata, nei denti che si
piantavano su una fune d’aria gelida e la mordevano metro dopo metro. Nello Utah, sulla pista che tredici
anni prima le aveva regalato il primo successo di un’italiana in Coppa del Mondo, Stefania aveva chiuso con la vittoria più sofferta, più ghiotta. Sprintando senza un bastoncino, contro avversarie rese più veloci da soccorsi truffaldini» (Stefano Semerarro)
• «La più grande fondista italiana di tutti i tempi. Uno scoiattolino. Altezza 1.60 per
45 chili. Una che, quando vinceva, le sue avversarie russe erano contente,
perché a tirarla in aria ci voleva niente. Aveva ragione Cocteau: “Gli angeli volano perché si prendono con leggerezza”. A tre anni scende sulla slitta costruita dal padre Albino, con l’hobby della falegnameria, e tiene i piccoli sci rossi di legno all’ingresso, accanto ai bastoncini di bambù con le rotelline in fondo. Perché è sempre meglio ricordarsi da dove si è partiti. Una ragazza normale, di provincia, cresciuta a Pontebernardo, una
frazione di Pietraporzio, in provincia di Cuneo. “Dove l’inverno arriva prima”. E che per la prima discesa lungo il pendio di casa ha usato il coperchio di
una vecchia cucina a gas e il telo di nylon, con buona pace del design
italiano. Anche se sua sorella Manuela si spaventava e suo fratello Enrico,
invece, voleva superarla. Una tipa del nord che però ha paura del freddo e spiega a tutti che “anche chi sta al polo mica si abitua”. Anche perché il freddo è il grande nemico delle fondiste. “Il più grande dolore l’ho provato a Mosca nel 90 quando ero magrissima e sono svenuta dopo il
traguardo, avevo mani e piedi congelati e dalle orecchie mi usciva liquido
bianco”. Una guardia delle Forestale che quando arriva in caserma e vede il letto a
castello, fa prendere subito aria al materasso, aiutata da Deborah Compagnoni,
e viene punita dal comandante con un doppio turno in mensa. Una che soffriva
tantissimo non il mondo, ma la rivalità di casa, quella di Manuela Di Centa, più bella, più estroversa, più appariscente. Come nella scherma Giovanni Trillini ha sempre subito le stoccate
di Valentina Vezzali, una supermamma capace di programmare maternità e successi» (Emanuela Audisio)
• «Le avversarie che la battevano? “Scorrette, disoneste”. Insinuava che la battevano perché ricorrevano a pratiche vietate, al doping. E se non era il doping erano i
regolamenti a starle contro: “Snaturano l’essenza dello sci di fondo, gli sprint e le partenze in linea fanno solo
spettacolo...”. Piccola e fragile com’è, bastava un donnone russo o scandinavo a ributtarla nella pancia del plotone,
alle “mass start”...» (Corriere della Sera)
• «Al paese la chiamano tutti Trapulin» (Corriere della Sera) • è sposata con un meccanico d’auto, Davide Casagrande. Vivono a Demonte, Valle Stura. Lui ha un’officina Fiat. Hanno due figli: Mathias e Lorenzo. «Per me non è stato facile nemmeno il primo approccio. Non mi piace dirlo, né pensarlo, ma è la realtà: ho incontrato Davide quando, purtroppo, non ero più una ragazza comune perché avevo appena vinto le Olimpiadi. Era successo a febbraio e l’ho conosciuto ad aprile. Ti viene spontaneo interrogarti sulle vere intenzioni
di chi ti avvicina, anche perché senti la gente mormorare: “Ah già, che l’ha vagnà le Olimpiadi”. La sera del mio rientro da Albertville, durante una festa in mio onore, Davide
ha conosciuto mia sorella e mio fratello. Il giorno dopo sono partita per la
Finlandia, dove mi ha spedito dei fiori e un telegramma, che però non sono mai arrivati. Io avevo implorato mia sorella: “Non dargli l’indirizzo, non voglio saperne niente, non mi interessa, sto bene così...”» (dall’autobiografia raccolta da Antonella Saracco per Sperling&Kupfer).