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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

VENDITTI

Antonello Roma 8 marzo 1949. Cantante. Autore. Alla fine degli anni Sessanta ha
frequentato il Folkstudio di Roma da cui è scaturito nel 72 l’album Theorius Campus con Francesco De Gregori (con Sora Rosa e Roma capoccia). Primo grande successo nel 75 con l’album Lilly (con Compagno di scuola), quindi, tra l’altro, Sotto il segno dei pesci (78, con Bomba o non bomba e Sara), Buona domenica (79), Cuore (83, con Ci vorrebbe un amico e Notte prima degli esami), In questo mondo di ladri (88, con Ma che bella giornata di sole), Benvenuti in paradiso (91), Prendilo tu questo frutto amaro (96) • «Sono nato di otto mesi, pesavo un chilo e quattro. Nel 49 non esisteva l’incubatrice: quelli come me li buttavano via. Mi salvò un sogno. A mia madre apparve Francesco Saverio, un santo. Le disse solo: “Wanda, lui vivrà” e così si ritrovò tra le mani questo sgorbio. Sono figlio unico e sono vissuto per essere
seviziato da mia madre, che è stata professoressa di latino e greco. Da ragazzino ero grasso come un maiale,
pesavo 94 chili, mi chiamavano “cicciabomba” e per uno che chiamano così è finita, sei quello che non inviteranno mai alle feste»
• «Sono piccolo. Mia madre discute con mio padre. Origlio. La sento dire: “Vincenzo, ma questo è cretino”. La parola cretino mi è girata per la testa a lungo, nonostante l’avesse pronunciata senza antipatia. Non ero cretino e tutto sommato andavo bene
a scuola. Ma ero il figlio della professoressa Sicardi Venditti, studiavo al
Giulio Cesare, dove lei insegnava, e avevo l’obbligo di essere il primo: dovevo dimostrare di essere bravo due volte. Avevo
una grande responsabilità. Ho sentito questa pressione sin da piccolo»
• «Mia nonna era cattolicissima, la domenica mi obbligava a seguire la messa
mattutina. Tornavamo per colazione, poi chiaramente a mezzogiorno tutta la
famiglia doveva andare alla messa borghese. Mia nonna tornava anche lei. Poi, a
sera, sempre la nonna mi accompagnava alla messa vespertina. Ricordo una
domenica, a 14 anni, che avevo la febbre e non potevo muovermi dal letto, la
nonna mi chiamò dal salotto: “Vieni a vedere la messa in televisione”. Ecco perché io poi ho scritto
Buona domenica: me ne intendo di domeniche, io» • «Papà era un anarchico libertario. Veniva da Campolieto, un posto pieno di neve in
Molise. Era l’ultimo di nove figli. C’era il fascismo, ma lui nel 36 decise di partire per la Spagna, dove c’era la guerra civile, a combattere contro Franco. Mio zio Vincenzo Italo riuscì poi a convincerlo ad andare in Africa. Fu l’unico sopravvissuto di una compagnia che fu sterminata, attraversò da solo il fiume ed entrò nelle file degli inglesi. Gli spararono in pancia ma la fibbia della cintura da
sottufficiale deviò il proiettile che gli si conficcò in gola. Per questo ho scritto
Mio padre ha un buco in gola, tutto vero, compresa la medaglia d’argento. Trascorse in Africa sei anni di prigionia. Poi tornò nell’Italia liberata, incontrò mia madre e così passò da una prigionia all’altra. Eccomi qui, sono la prova vivente che mio padre e mia madre hanno fatto
almeno una volta all’amore» • «Suonavo il pianoforte di casa quando i miei uscivano: si sono accorti che
componevo canzoni solo molti anni dopo. La prima fu Sora Rosa, e credo che sia ancora la più bella canzone che ho scritto. Mia madre mi voleva dottore, sognava per me dei
pranzetti alle due del pomeriggio, una vita da impiegato. A 15 anni mi sono
innamorato e ho perso drasticamente chili: ho sognato molto da quella
stanzetta. In quegli anni ho scoperto la politica: mi sono ritrovato in una
manifestazione del Msi a urlare “A chi Trieste? A noi”, non sapevo nemmeno cosa fosse. Il quartiere Trieste a Roma non era
precisamente democratico. Qualcosa stonava, ero diverso da loro, e le presi da
un picchiatore che si chiamava Peppe il roscio»
• Il padre era vicequestore «e quando ho cominciato a frequentare i gruppi extraparlamentari mi faceva
sorvegliare, continuamente spaventato dall’idea che io potessi commettere qualche follia. Io ero a Legge, ero curioso e
abbastanza duttile, volevo dialogare con tutti, pure con i nazimaoisti, ma i
leader come Franco Russo, Oreste Scalzone e Franco Piperno non erano certo
propensi» • La madre è ancora viva: «Ha meravigliosamente 94 anni e una storia che continua a essere incredibile. è docente di latino e greco. Non è stata: è. Anche da pensionata con tanto di medaglia della scuola, che guarda con
orgoglio ascoltando la radio. Il ruolo preminente, che ha alimentato e
condizionato la sua vita, è quello di professoressa. Adesso insegna alle badanti, comandandole a bacchetta
e non rinunciando neppure a una briciola del suo potere. Nella canzone
Mio padre ha un buco in gola, che parla della mia famiglia, ho scritto che è una madre-professoressa, o meglio: una professoressa-madre. Mi ha dato sempre 4» (da un’intervista di Luigi Vaccari) • «Che Dio benedica Dylan: cancellò le canzonette e le trasformò in comunicazione. Ma nel 63 Dylan non c’era, al Piper applaudivo i Rokes, l’Equipe ’84, e i Naufraghi per cui stravedevo. I cantautori genovesi guardavano a
Brassens, a Brel, io invece presi a suonare il pianoforte come una chitarra
acustica» (da un’intervista di Carlo Moretti) • «Mozart all’inizio lo consideravo la perfezione razionale. Poi avvicinandomi alla sua vita
ho visto quanto poteva dare anche umanamente. Da ragazzo comunque, essendo
pieno di problemi esistenziali, i miei riferimenti erano più romantici: Chopin, Liszt... A 8 anni, quando ho cominciato a suonare il
pianoforte, ero costretto a confrontarmi con autori anche importanti. L’ho studiato con una professoressa che mi dava le bacchettate. Mi hanno talmento
massacrato per farmi seguire le regole che sono diventato creativo quando ho
smesso. La mia natura rivoluzionaria è partita da queste imposizioni, poi ho frequentato musicisti di tendenze
avanzate. L’album
Lilly che contiene Santa Brigida, canzone popolare laziale in una versione sinfonica moderna, è stato arrangiato da Nicola Samale e da Giuseppe Mazzucca. Ero anche amico del
compositore Domenico Guaccero. Una volta gli dissi: ma che devo fare per
imparare il pianoforte? Mi rispose: se non stai zitto ti porto dai miei
allievi, così sentendo quello che ti sei inventato vedranno come si suona. Per me la loro
considerazione era un onore» (da un’intervista di Alfredo Gasponi) • «Il 68 mi ha insegnato a sdegnare il potere. Di tutti i tipi, persino quello dell’autografo. Se una ti guarda con occhi lubrichi e ti chiede l’autografo, io mi tengo lontano. Si sa che la domanda che la ragazza ti rivolge
non è quella formulata esplicitamente» • «Ci sono stati periodi in cui avevo deciso di smettere. Fortunatamente non l’ho fatto. Uno fu nel 79, dopo Buona domenica... Mi ero separato da mia moglie Simona Izzo, e per quanto uno non possa
ammetterlo, quello che rimane è un periodo in cui lo zenith, la stella polare, non la vedi più e infatti ero talmente insicuro di me che per tranquillizzarmi facevo l’ospite, andavo dai miei amici De Gregori, Dalla, salivo sul paco e cantavo una
canzone. Un altro momento del genere mi è capitato nel 94. Di nuovo c’era una storia finita, poi ho tergiversato, e a fura di tergiversare è sucesso che qualche eco di verità rrimane sempre, ma è pur sempre un’eco, perché avvicinarti alla tua verità ti costerebbe troppo, non puoi entrarci... Quindi ho fatto un disco,
Frutto amaro, in cui c’era una canzone vera, Ogni volta, realmente vissuta, ma era la chiusura di un ciclo, anche da un punto di vista
sonoro. Poi dissi: ora basta, devo vivere la mia vita, e quindi anche
sbagliare, godermi quello che mi ero guadagnato, anche perché non mi ero mai goduto nulla, quindi la barca, cose anche stupide ma che aiutano
quando si sta male. Nel 98 ero pronto a ricominciare, ma è morto mio padre. Di nuovo mi sentivo incapace a raccontare di me stesso, potevo
solo cantare il ricordo... Il punto di svolta è stato il controverso concerto al Circo Massimo per lo scudetto della Roma. Ne
sono uscito talemente incavolato con la gente che non aveva capito, che allora
mi sono detto: “Basta, sai che c’è? Io sono Antonello...”. Mi sono rimesso al pianoforte e ho fatto 150 concerti col pianoforte» (da un’intervista di Gino Castaldo)
• è tifosissimo della Roma (per la quale ha scritto Grazie Roma): «Io andavo alle partite fin da quando avevo quattro anni. Il calcio di allora era
un sentimento totale , era il campanile ed ed era anche un fatto passionale.
Meglio gli anni Sessanta: da quando sono subentrati gli sponsor, a noi della
Roma capitò con Ciarrapico, tutto è cambiato in peggio. Oggi il calciatore eccellente è come un testimonial, un modello che attira le veline» (da un’intervista di Mirella Serri) • Da Simona Izzo ha avuto il figlio Francesco Saverio (Roma 27 agosto 1976),
attore e doppiatore.