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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

PAOLI Gino Monfalcone (Gorizia) 23 settembre 1934. Cantante. Autore. «Io appartengo alla categoria degli artisti

PAOLI Gino Monfalcone (Gorizia) 23 settembre 1934. Cantante. Autore. «Io appartengo alla categoria degli artisti. Posso essere buono o pessimo, ma sono un’artista. E cioè uno che scrive perché ha il bisogno di farlo e lo fa per dare e non per prendere» • Esordi con La tua mano, La gatta, primo successo Il cielo in una stanza (cantata nel 60 da Mina), poi Senza fine (Vanoni, 61). Nel 63 enorme popolarità con Sapore di sale • «63, l’estate italiana si consumava pigra al suono di Sapore di sale. Gino Paoli aveva 29 anni, era ancora un ragazzo ma già la sua storia aveva una gran bouffe di successi, da La Gatta a Senza Fine, da Sassi al Cielo in una stanza; occhiali scuri e quadrati, capelli corti pettinati avaramente all’indietro, nessuna condiscendenza mai verso il pubblico, nessun sorriso, nessuna moina, come gl’imponeva quel suo stile asciutto, tirato via da certe reminescenze dell’esistenzialismo di Sartre. Sapore di sale fu all’improvviso la sua canzone più venduta, la più cantata, la più popolare in assoluto: come se niente fino ad allora avesse rappresentato con tanta dolorosa dolcezza il tema delle vacanze» (Marinella Venegoni) • «Io non ho mai rincorso il successo del grande pubblico, non ho mai pensato di averlo. Questo, piuttosto, è un vizio contemporaneo. Anzi, io ero la pena dei miei editori per quest’attitudine schiva, anche se si dovettero ricredere quando, in tempo di rock’n’roll, un valzer come Senza fine ebbe quell’esito. Sapore di sale dunque mi è scappata di mano. Era, quella, un’epoca di Shangri-La, i famosi Sessanta dove stavano tutti bene. Ah, un’estate così spensierata non ci sarebbe mai più stata, da allora si tornò sempre a casa, dopo le vacanze, preoccupati per il futuro. Per me, quel successo ha significato diventare un divo vero, con le ragazzine che mi strappavano i vestiti. Giuro che per un po’ mi sono sentito chissà chi: perché è vero che si diventa stronzi, con un successo così; ci si crede al centro dell’universo. Però poi, per fortuna, il mio innato senso di autocritica mi ha tirato fuori da quella trappola. Avevo già scritto Il cielo in una stanza e tante altre canzoni che andavano forte; ma quello... quello fu un successo di popolo. Sapore di sale poi era vista come una canzone spensierata mentre spensierata non lo era per niente; è la stessa cosa che successe più tardi con Quattro amici al bar, una canzone amara, che contestava il concetto di gioventù intesa come categoria, mentre la gioventù è soltanto una stagione passeggera. Poi, Sapore di sale era un flash, un lampo di luce, uno stacco dalla realtà come dovrebbe essere una vacanza, che significa un allontanamento temporaneo dalle abitudini consolidate: che invece è una cosa che non si fa più, perché oggi vedi quei commendatori a Santa Margherita che parlano di affari al telefonino come se fossero a Milano. Non è certo un caso se fu scritta a Capo d’Orlando, in una casa deserta vicino a una spiaggia deserta. Un posto splendido, lontano dal mondo. Avevo fatto una serata con il mio gruppo nell’unico locale del luogo; e lì i baroni Miglio, siciliani, proprietari del locale, ci avevano invitati a fermarci 15 giorni portando le nostre famiglie. Sono cose lontane, munificenze d’antiche cortesie sicule» • All’apice del successo, il 13 luglio 63 tentò il suicidio: «Mi sparai al petto con una Derringer perché avevo tutto e non sentivo più niente. Donne, motori, applausi, ali di folla ovunque mettessi piede. Volevo un razzo per schizzare sul sole e scaldarmi di nuovo. Un dolore! Una pallottola è minuscola ma fa un male gigantesco». Il chirurgo decise che estrarla sarebbe stato inutilmente pericoloso, l’ha ancora in petto, «nella regione parasternale destra» • «Mi ricordo bene la mia prima apparizione in pubblico, alla Sei giorni della canzone, nell’aprile 60: un centinaio di cantanti allo sbaraglio sul palcoscenico del Teatro Lirico di Milano. Funzionava così: le case discografiche potevano acquistare un tot di biglietti d’ingresso, che servivano anche come schede per votare i cantanti in gara. In pratica, si compravano una fetta di pubblico. Chi saliva sul palco aveva 200 persone che tifavano per lui e le altre 1600 contro. Era così per tutti: un massacro. E non importava nulla chi fosse il più bravo. Il pubblico di quegli anni era tremendo, volavano battute perfide. Il povero Edoardo Vianello cantava “chi sono, chi sono, chi sono...” e dalla platea un boato gli rispondeva: “Uno stronzo”» (da un’intervista di Laura Ballio) • «Mio padre, figlio di un operaio analfabeta delle ferriere di Piombino, aveva fatto l’Accademia di Livorno ed era arrivato ai cantieri di Monfalcone come ingegnere navale. Là aveva sposato mia madre, che invece veniva da una famiglia benestante, i Rossi. Io sono nato nel 34 e ho vissuto i primi mesi a Monfalcone, poi ci siamo trasferiti a Genova. Dieci anni dopo, parte della famiglia di mia madre morì infoibata. I miei parenti non erano militanti fascisti, erano persone perbene, pacifiche. Ma la caccia all’italiano faceva parte della strategia di Tito, che voleva annettersi Trieste e Monfalcone. I partigiani titini, appoggiati dai partigiani comunisti italiani, vennero a prenderli di notte: un colpo alla nuca, poi giù nelle foibe. Mia madre e mia zia non hanno mai perdonato. Mi ricordavano spesso i nomi dei loro cari spariti in quel modo, senza lasciare dietro di sé un corpo, una tomba, una memoria. Peggio: una memoria negata. Per questo mia zia odiava gli jugoslavi; e per me è stata una bella sorpresa, da adulto, andare per la prima volta in Jugoslavia e scoprire che non erano affatto tutti così» (da un’intervista di Aldo Cazzullo) • «Io credo di essere stato un bravo pittore» • Dall’87 al 92 è stato in Parlamento nelle file del Pci (ma tra gli indipendenti di sinistra): «La politica è complicata; per questo gli improvvisati che vi arrivano da fuori combinano un sacco di guai» • è sposato con Paola Penzo, dalla quale ha avuto i figli Nicolò e Tommaso. Una relazione con Stefania Sandrelli (da cui è nata Amanda), un’altra con Ornella Vanoni. Il figlio Giovanni è nato dal primo matrimonio con Annamaria Fabbri.