Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
DE BORTOLI
Ferruccio Milano 20 maggio 1953. Giornalista. Dal 2004 direttore de Il Sole-24 Ore. Dal 97 al 2003 direttore del
Corriere della Sera • Laureato in Giurisprudenza alla Statale di Milano. Nel 73 ha cominciato a
lavorare per il Corriere dei Ragazzi, dove è rimasto come praticante per un paio d’anni, per passare quindi al Corriere d’informazione dove è stato articolista fino al 78. Nel 79 l’approdo al Corriere, dove si è occupato inizialmente di economia, sindacato e attualità politica. Successivamente è stato caporedattore dell’Europeo e del Sole-24 Ore. Tornato al Corriere nell’87, con la qualifica di caporedattore dell’economia e commentatore economico, è stato nominato vice direttore nel dicembre del 93. Poco più di tre anni dopo, la nomina al vertice del quotidiano di via Solferino che ha
lasciato nel maggio del 2003. La sua direzione al Corriere è stata una delle più lunghe degli ultimi decenni: una longevità che secondo molti è stata possibile per il rapporto costruito con l’avvocato Agnelli. Alla guida del Sole lo ha voluto con determinazione il
presidente della Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo
• «In sei anni, de Bortoli ha retto l’assalto di Repubblica, irrobustito il carattere nazionale della testata (che da
sempre vende oltre tre quarti delle copie in Lombardia) aprendo dorsi locali
ben fatti e ben diretti, guidato con fermezza la redazione senza provocare un
giorno di sciopero. è stato corretto ma fermo con la proprietà come con il cdr. Soprattutto, è stato fermo con Berlusconi, senza snaturare il giornale, senza portarlo a
sinistra (cosa non difficilissima, basta chiedere di tanto in tanto un fondo a
Galli della Loggia). Nobile o galantuomo? Del centinaio di assunzioni, non ce
ne viene in mente una, a parte il passaggio di Giuseppe D’Avanzo. Non ha lanciato nuove firme. Ha riprodotto il felice schema di Mieli:
opinionisti moderati ma autonomi, spazio a irregolari di sinistra, Mo in
trincea, Vaccari (finché c’è stato) alla Borsa di Singapore, Folli in rubrica, Stella e Merlo in prima. Ha
perso una giornalista animata da un coraggio forse troppo assecondato, l’ha nominata inviata in morte, l’ha pianta in pubblico ma sinceramente (
Maria Grazia Cutuli, 26 ottobre 1962-19 novembre 2001, uccisa dai Talebani in
Afghanistan - ndr ). Ha rivolto la sua attenzione a temi trascurati da altri giornali eppure
cruciali: ad esempio la strage per incidenti stradali» (Il Riformista) • «Doveva fare i conti con una proprietà che dalla Fiat all’Hdp di Romiti, da Mediobanca a Banca Intesa e al Credito Italiano, da Pirelli a
Lucchini rappresenta gran parte del potere economico italiano, con interessi
spesso divergenti. E si trovava a fronteggiare il mondo della politica, deciso
a riaffermare il proprio primato, dopo lo sconvolgimento di Mani pulite. In
mezzo a tante spinte contrapposte, De Bortoli ha praticato una linea di onesto
galantomismo e ha mostrato piglio ed equilibrio. In sostanza, ha fatto il suo
mestiere di giornalista. Con prudenza e con stile: come è tradizione di un giornale che non vuole apparire di parte ma rispecchia i
potentati nazionali e che, un po’ per nobilitarlo e un po’ per devitalizzarlo, viene definito un’istituzione. Con determinazione e onestà intellettuale. Non a caso è finito sotto il tiro di poteri forti od oscuri, non a caso si è scontrato con D’Alema ed è da tempo al centro del mirino di Berlusconi, che sembra considerarlo un
pericoloso estremista e addirittura ha finto di scambiarlo col direttore del
Manifesto. Per indole, De Bortoli è stato un direttore “di macchina”, nel senso migliore del termine: attento all’artigianato, alla fattura delle pagine, alla vivacità cronistica di un giornale che deve stimolare gli intellettuali e piacere anche
ai commercianti e ai taxisti, soprattutto a Milano. Ma spesso ha scritto,
lasciando il segno: come quando, con un suo fondo, ha schierato il Corriere
contro la guerra in Iraq. Senza teorizzarlo, De Bortoli è stato un “terzista”, com’è di moda dire per indicare chi non ama intrupparsi in uno schieramento, di
sinistra o di destra. Ma non si è nascosto l’evidenza e non ha evitato di criticare gli aspetti più macroscopici del conflitto di interessi e della politica giudiziaria del
centrodestra» (Giulio Anselmi).