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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

BAZOLI

Giovanni Brescia 18 dicembre 1932. Presidente di Banca Intesa. «Bazoli è il vero uomo di potere che c’è oggi in Italia» (Bruno Tabacci, 17 aprile 2007). [nq]


Ultime Il fatto che circa il 35% del Fondo per le infrastrutture stanziato dal secondo
governo Prodi (detto F2I o Effe 21) fosse riconducibile «al sistema di potere di Bazoli» (Il Foglio) confermò l’esistenza di un asse Bazoli-Prodi capace di condizionare le scelte economiche di
fondo del Paese. Si sapeva infatti che, con questo fondo (costituito intorno a
un primo stanziamento della pubblica Cassa Depositi e Prestiti), Prodi
intendeva costruire un’«Iri più moderna» (Il Foglio), che fosse in grado di intervenire nei punti strategici del sistema
e specialmente nell’acquisizione eventuale delle reti elettriche, del gas e telefoniche (su cui vedi
anche ROVATI Angelo), sulla proprietà dei porti e degli aeroporti ecc. Bazoli ha smentito con forza l’esistenza di questo asse. Prima rispondendo alla domanda di un piccolo azionista
durante l’assemblea dei soci del 3 maggio 2007: della fusione col Sanpaolo nessun uomo
politico venne informato in anticipo e Intesa non può «essere etichettata come amica o vicina a un personaggio pubblico. A me pare un’idea infondata e persino grottesca [...] Questa ipotesi non trova e non troverà mai riscontro in una nostra delibera, comportamento o dichiarazione. Non posso
accettare che venga messa in discussione l’autonomia e l’indipendenza della nostra banca dalla politica». Poi, una seconda volta, in un’intervista al direttore del Sole24 Ore, Ferruccio De Bortoli: «è del tutto scorretto attribuire al mio rapporto di amicizia con Prodi, che
risale ai tempi degli studi post universitari e che è cresciuto grazie alla frequentazione comune di un grande amico, Beniamino
Andreatta, significati che trascendono la sfera personale. Da quando ho assunto
la responsabilità di una banca non c’è stata una sola decisione che sia stata adottata su pressioni del mondo
politico. E aggiungo, per quanto mi riguarda personalmente, che mi sono sempre
inibito di partecipare a manifestazioni politiche. Non ho mai firmato un
manifesto. Con una sola eccezione, quello in difesa della Costituzione che è la carta dei valori di tutti gli italiani».
[nr]


I sospetti intorno alle intenzioni di Bazoli si basano tuttavia anche sulla
filosofia che lo stesso Bazoli ha con insistenza pubblicizzato: l’inclinazione verso un capitalismo «temperato di taglio europeo» piuttosto che verso un «capitalismo aggressivo all’americana» (Federico Fubini). Dice lo stesso Bazoli, sempre a De Bortoli: «L’interesse generale è conciliabile con quello aziendale. Ne parlai presentando un libro sul
Mediocredito Centrale. Citai in quell’occasione una frase di Giordano Dell’Amore, banchiere cattolico e liberale. Gliela ripropongo. Scriveva Dell’Amore: “Senza dubbio ogni banca deve mantenere il proprio equilibrio finanziario, e
assicurare la copertura dei costi di gestione con una adeguata remunerazione
dei capitali investiti. Ma occorre ispirare tutta la politica di raccolta e di
impiego al dovere di concorrere al massimo grado nell’accelerare lo sviluppo economico”. Io ho sempre creduto che un progetto aziendale possa essere inquadrato in un
più ampio disegno di carattere etico-civile». Non la pensa così Bruno Tabacci: «Se Alessandro Profumo (
ad di Unicredit — ndr) dice che cerca di creare valore per gli azionisti internazionalizzando la banca,
chapeau. Ma se invece uno mi dice che vuole fare banca nell’interesse del Paese e qual è questo interesse lo decide lui, allora non mi va più bene. Penso che sia mosso da obiettivi di solo potere» (a Danilo Taino). Secondo Mario Monti la questione non riguarda solo Bazoli, ma
tutto il sistema bancario così come è andato configurandosi negli ultimi quindici anni: «In passato si diceva che lo Stato fosse una sorta di banca occulta, data la
grande attività finanziaria che svolgeva. Oggi si guarda alle banche come a una forma di
governo occulto». Federico Fubini: «Dagli anni Trenta ai Novanta, le banche sono state di proprietà pubblica e di dimensioni modeste. Lungi dall’influenzare il governo, ne erano pesantemente condizionate. Di più: per tutto quel tempo, le banche non hanno potuto assumere partecipazioni,
salvo Mediobanca che, proprio per questo, si è posta al centro dell’alta finanza. Le banche sono arrivate al potere in seguito a tre trasformazioni
ormai storiche: la privatizzazione, che ha emancipato il credito dalla
politica; la concentrazione, che ha reso più forti gli istituti maggiori; il Testo unico del 1993, che ha autorizzato le
banche a prendere partecipazioni nelle imprese, una svolta che sarà ampliata con l’applicazione dei principi di Basilea 2. Ma l’allarme odierno ha anche una ragione vicina: la fusione Intesa-Sanpaolo, che
forma un soggetto forte del 20% del mercato domestico del credito e propenso a
utilizzare gli spazi aperti nel rapporto con le imprese, con ciò proponendosi come il vero concorrente del sistema Mediobanca, ormai privo della
coesione dei tempi di Enrico Cuccia e dell’Iri».
[ns]


Profumo, incorporando Capitalia (settembre 2007), si trovò in possesso, attraverso l’aumento della quota in Mediobanca, di un ulteriore pacchetto di Generali. E Generali possiede il 5% di
Intesa. Nonostante le assicurazioni di Profumo e Geronzi, Bazoli rispose a
questa incursione con grande aggressività, acquisendo a sua volta un 4% di Unicredit. Sul terreno Generali il confronto è ancora in corso. A questo proposito furono importanti le mosse dell’amico finanziere Roman Zaleski (socio in Mittel e in Intesa Sanpaolo) che in due
anni, a partire dal 2005, raggranellò il 2,2% della società triestina. Da sommare, nella bilancia delle influenze, all’1,6% di Cariplo e al 2,3% già nelle mani di Bazoli. Sull’altro problema provocato dall’incorporazione - e cioè il conflit
to di interessi tra Unicredit e Mediobanca - Bazoli, ancora con De Bortoli, si
espresse così: «“è da sempre pacificamente riconosciuto che il problema di Mediobanca consiste
nell’esistenza di un conflitto di interessi con le banche azioniste. A me pare che il
problema si aggravi passando da due banche a una sola, anche se con una
partecipazione dimezzata”. Ma, mi scusi, professore, Intesa Sanpaolo non era disponibile a entrare nel
capitale di Mediobanca? “Abbiamo letto che questa ipotesi è stata esclusa in ragione del conflitto di interessi in cui ci saremmo trovati.
Noi siamo d’accordo, ma le stesse considerazioni dovrebbero valere anche per tutti gli altri
istituti di credito. A questo riguardo, sembrerebbero possibili due soluzioni:
o la nuova banca riduce in modo significativo la propria partecipazione in
piazzetta Cuccia (assicurando così pienamente l’autonomia della merchant bank), oppure - non sembri paradossale quello che
affermo - meglio che Mediobanca diventi, a tutti gli effetti, la merchant bank
del gruppo Unicredit. Ma, in questo caso, dovrà evidentemente essere risolto il problema della partecipazione in Generali.
Delle due soluzioni, è evidentemente preferibile quella che vede Mediobanca operare in piena autonomia
e indipendenza”».
[nt]


Il contrasto al tentativo degli Angelucci di impadronirsi dell’Unità (poi effettivamente fallito) va letto nel quadro della lotta per il controllo
del comparto finanziario con Cesare Geronzi, «sulla carta arcinemico» (Paolo Madron), e gran protettore degli stessi Angelucci. «Nella concezione della gestione dei processi di potere di Bazoli, i giornali
sono uno strumento essenziale anche per costruire nuovi equilibri, e non solo
editoriali» (Il Foglio) • In questo senso, cruciale è il ruolo di Bazoli all’interno del patto di sindacato Rcs, «in nome di quella funzione di grande supervisore delle vicende di via Solferino che l’avvocato Agnelli gli ha tramandato poco prima di passare a miglior vita» (Giovanni Pons). Battuto in occasione del defenestramento di Folli, scavalcato da Mieli nel
giorno dell’endorsement a Romano Prodi (editoriale dell’8 marzo 2006, che gli avrebbe provocato grande irritazione), s’è poi rifatto favorendo l’ingresso nell’azionariato (ma non ancora nel patto) dell’imprenditore Giuseppe Rotelli, vicinissimo a Bazoli e ideale «ponte tra il mondo Intesa — che lo ha finanziato nell’acquisizione delle cliniche di Ligresti e l’ha seguito fino all’ultima avventura transalpina (la gara per le cliniche Vitalia, poi abbandonata —ndr) — e quello di stampo più berlusconiano» (Ettore Livini). Rotelli, rilevando le azioni Rcs di Ricucci, ha quasi raggiunto una partecipazione del
10 per cento, terza dopo quella di Mediobanca e della Fiat. Essendo
potenzialmente anche questa una zona di conflitti d’interessi, Bazoli s’è detto d’accordo con l’idea di Profumo di abbandonare ogni partecipazione editoriale e di conferire le
quote a una Fondazione (vedi MARCHETTI Piergaetano). Per ora non è successo niente
• Il progetto di fondere la sua Mittel (la finanziaria di cui Bazoli è presidente e che ha in portafoglio, tra l’altro, l’1,3% di Rcs) con la Hopa di Emilio Gnutti, portato avanti con l’appoggio di Zaleski e del Monte dei Paschi e avente come obiettivo anche un
rafforzamento in Telecom, è sfumato per l’opposizione di Geronzi e per l’attiva azione di contrasto di Unipol, che hanno all’ultimo momento orientato la trattativa verso Palladio (andata a monte comunque
anche questa). In seguito alla perdita delle ambitissime azioni Telecom che aveva in pancia
(3,6%), la finanziaria di Gnutti non sembrava far più gola a nessuno. Ma, nel luglio 2008, è proprio Bazoli a salvare Hopa. Testa di ponte è il fondo d’investimenti di Salvatore Mancuso Equinox, «
fin dagli albori molto vicino all’istituto presieduto da Bazoli, per via dell’amicizia saldatasi ai tempi del salvataggio della finanziaria Santavaleria tra i
siciliani Gaetano Micciché, capo del corporate di Intesa, e lo stesso Mancuso, e per il legame sancito dai
vincoli azionari» (Walter Galbiati). Poi arriva Mittel: attraverso una Newco compartecipata al 66,6% (la quota restante fa capo a Mps e
Banco Popolare, principali creditori) rilevano il 38,7% della società, evitando fallimenti e conseguenze giudiziarie per Gnutti e l’ex razza padana
• Sul ruolo di Intesa nella vendita di Telecom, vedi TRONCHETTI PROVERA Marco.
Sul ruolo di Intesa nella vendita di Alitalia, dove si è esposto soprattutto l’amministratore delegato Corrado Passera (con qualche eccesso che a Bazoli è dispiaciuto), vedi BERLUSCONI Silvio. [nu]


Vita Il nonno Luigi, come racconta lo stesso Bazoli a Francesco Anfossi, «dopo essere stato praticante nello studio di uno dei numi tutelari di Brescia,
Giuseppe Tovini (fondatore di giornali, di scuole e del Banco Ambrosiano, e poi proclamato “beato” - ndr), fondò un proprio studio legale, che chiuse nel breve periodo in cui fu deputato del
Partito popolare, ritenendo che ci fosse incompatibilità». In questo studio entrarono in seguito il padre di Bazoli, Stefano, suo zio
Ercoliano e Ludovico Montini, fratello maggiore del futuro Paolo VI, pontefice
col quale Bazoli ebbe grande familiarità • La madre Beatrice Folonari (dei Folonari industriali del vino) morì a soli 29 anni, quando Bazoli aveva tre mesi, in seguito all’infezione provocatale dalla puntura in viso di una spina di rosa • Il padre Stefano fu anche deputato della Dc all’Assemblea Costituente. Il fratello, Luigi, militava nella sinistra Dc, assessore
all’Urbanistica di Brescia e nemico di Prandini. La cognata Giulietta Banzi (moglie
del fratello Luigi) fu tra le vittime della strage di piazza della Loggia del
28 maggio 1974 • Dopo la laurea in Legge, esercita la professione di avvocato nello studio di
famiglia a Brescia, insegna Diritto pubblico all’Università Cattolica e, nel 1974, entra nel Consiglio d’amministrazione del Banco San Paolo di Brescia (di cui poi diventerà vicepresidente). La svolta nel 1982: a giugno Calvi viene trovato impiccato
sotto il Ponte dei Frati Neri di Londra e poco dopo si deve provvedere alla
liquidazione dell’Ambrosiano. Quattro banche private (Popolare di Milano, San Paolo di Brescia,
Credito Romagnolo e Credito Emiliano) si dichiarano pronte a farsi carico del
50% del Nuovo Banco Ambrosiano. L’altro 50% resterà in mano alle tre grandi banche pubbliche, Bnl, San Paolo di Torino e Imi. Le
quattro banche private, su suggerimento di Nino Andreatta, indicano come loro
garante il poco conosciuto Bazoli. Bazoli racconta di aver molto esitato ad
accettare e di essere stato convinto da Ciampi. Alla sua obiezione: «Non ho nessuna esperienza economica, sono laureato in Legge», Ciampi, che in quel momento era governatore della Banca d’Italia, rispose: «Si figuri che io sono laureato in Lettere».
[nv]


Resta il rapporto molto stretto con la Chiesa: Bazoli è tra i più fervidi partecipanti al Gruppo cultura etica e finanza che si riunisce in via
Broletto sotto la supervisione di monsignor Attilio Nicora. «Qui Bazoli si segnala come il predicatore più acceso della crociata contro la finanza laica e il suo nume Enrico Cuccia» (Il Foglio, ma vedi soprattutto Giancarlo Galli Finanza Bianca. La Chiesa, i soldi, il potere Mondadori 2004). Comincia, in effetti, una guerra con Cuccia. L’uomo di Mediobanca, inizialmente molto pessimista sul salvataggio dell’Ambrosiano («non ho mai visto una banca fallita sopravvivere a se stessa [...] è come allacciarsi un cappotto partendo dal bottone sbagliato»), quando il nuovo istituto prende a marciare (a fine 85 il titolo tornò in Borsa, nell’86 fu annunciato agli azionisti il ritorno all’utile e al dividendo), tenta di ridurlo sotto il suo controllo: nel 1989, la
Popolare di Milano cercò di vendere la sua quota alle Generali e Bazoli riuscì a dirottarla, invece, sul Crédit Agricole. Nel 94 la Banca commerciale italiana (Comit) provò a lanciare un’Opa sul Nuovo Banco Ambrosiano, «respinta al termine di alcuni giorni che furono tra i più drammatici dell’intera mia esperienza». «Nel 97 infine la Comit si contrappose a noi nell’acquisto della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde (Cariplo)», venendo però sconfitta
• La banca di Bazoli, intanto, era cresciuta tumultuosamente: nell’89 s’era fusa con la controllata Banca Cattolica del Veneto dando vita al Banco
Ambrosiano Veneto. L’Ambroveneto aveva poi comprato la Banca di Trento e Bolzano e, al sud, aveva
incorporato Banca Vallone, Citibank Italia, Banca Marsicana, Società di banche siciliane e, dopo l’acquisto di Cariplo, la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza (98). L’attacco vittorioso alla Cariplo del 97 era avvenuto in un momento in cui i
rapporti con Cuccia s’erano addirittura rovesciati e i due erano diventati amici. Bazoli ha raccontato
a Massimo Giannini: «Con Cuccia si era instaurato un rapporto così positivo e confidenziale che io gli avevo parlato della nostra intenzione sulla
Cariplo. Lui mi aveva incoraggiato a procedere. Senonché, all’ultimo momento, spuntò un’offerta concorrenziale, ricalcata sulla nostra, da parte della Comit. Cuccia
allora mi scrisse e prese esplicitamente le distanze da tale iniziativa. Il
giorno dopo la Fondazione Cariplo approvò all’unanimità la nostra offerta». Fu Cuccia stesso a consegnare la Comit a Bazoli, nel 1999, ponendo come sola
condizione che Intesa (il nome che l’istituto aveva assunto dopo l’acquisto della Cariplo) uscisse dal capitale di Mediobanca, nel quale era
presente - come Ambrosiano - fin dalla Fondazione. Il consenso pressoché plebiscitario all’Opa sulla Comit portò Intesa al primo posto tra i grandi gruppi bancari italiani, con cento società, 4.300 sportelli, 73 mila dipendenti.
[nw]


All’inizio del decennio parve cadere in disgrazia: «Si è ripreso la ribalta della finanza italiana lunedì 9 settembre 2002, dopo un lungo periodo in cui la sua immagine sembrava sempre
più appannata. Il ritorno del presidente di Banca Intesa è stato sancito da due fatti distinti. Il primo, più clamoroso, avvenimento è il successo ottenuto nel fuoco di sbarramento contro l’ingresso dell’imprenditore Salvatore Ligresti nella stanza dei bottoni del maggiore quotidiano
nazionale, il Corriere della Sera. Il secondo fatto, altrettanto rilevante per
la scena finanziaria, è l’alleanza stretta dal suo istituto con la banca d’affari francese Lazard. Il tratto che unisce questi due avvenimenti è l’avversario comune che, su entrambi i fronti, Bazoli si è trovato davanti: Mediobanca e il suo numero uno Vincenzo Maranghi. L’istituto di piazzetta Cuccia era infatti lo sponsor più importante dell’ingresso di Ligresti nel patto di sindacato che governa la Hdp, la holding a cui
fa capo il Corriere. Ma Mediobanca è anche la principale banca d’affari italiana, ed è stata proprio Lazard, negli ultimi anni, a insidiarne la leadership. Per
risorgere Bazoli ha lavorato duro per molti mesi. Il suo annus horribilis aveva
raggiunto il punto più basso quando aveva subìto la dura reprimenda del governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. L’accusa: una finanziaria da lui presieduta, la Mittel, protagonista della scalata
ai danni di Montedison, aveva fatto da apripista all’arrivo in Italia del colosso francese dell’elettricità, la Edf. Ma già i mesi precedenti erano stati contrassegnati dalle cattive notizie. Nel gennaio
del 2001, infatti, ancora Fazio aveva detto di no al progetto di fusione tra
Banca Intesa e Unicredito. Sul fronte domestico, invece, il professore
bresciano aveva dovuto arginare i tentativi della Casa delle Libertà di aprirsi una breccia più ampia nel principale azionista italiano di Banca Intesa, la Fondazione Cariplo,
nonché far fronte alla crisi nei conti del proprio istituto, appesantiti fra l’altro dai crediti concessi a società, come la Enron, travolte dalla crisi e dagli scandali. Bazoli e il nuovo
amministratore delegato di Banca Intesa, Corrado Passera, hanno così dovuto lavorare su molti aspetti. Già ai tempi della scalata di Montedison, Bazoli si era cosparso il capo di cenere
e aveva accolto gli inviti di Fazio, accettando di entrare assieme a Banca di
Roma e Sanpaolo Imi nella nuova Italenergia, al fianco di Fiat ed Edf. Il
secondo passo era stato l’ingresso come socio finanziario in Olimpia, la scatola creata da Marco
Tronchetti Provera e dai Benetton per prendere possesso di Olivetti-Telecom» (Luca Piana)
• L’ultima operazione, quella che dà il profilo definitivo alla banca, è la fusione col San Paolo di Torino deliberata il 1° dicembre 2006. Con questo atto Intesa diventa la prima banca italiana (lo
resterà fino all’incorporazione di Capitalia da parte di Unicredit) con 5.500 sportelli, 13
milioni di clienti, un valore di Borsa superiore ai 65 miliardi di euro, 500
miliardi di attivi e 300 di raccolta. Bazoli nel nuovo grande gruppo viene confermato presidente del consiglio di sorveglianza, mentre, in un’inedita governance duale, il consiglio di gestione tocca a Enrico Salza
• «Si è trattato, di volta in volta, di ragioni di ordine etico-sociale, di ordine
storico, di ordine civile. Furono, all’origine, le ragioni stesse che mi convinsero a prendermi carico di un’eredità rischiosa come quella lasciata dal fallimento del Banco Ambrosiano. Furono,
nelle fasi successive, le motivazioni delle sfide combattute per difendere dall’aggressione di forze soverchianti l’indipendenza e l’integrità umana e morale dell’azienda risanata. Sono stati, più recentemente, gli obiettivi di ordine civile e sociale, sottesi a quelli
economici, che hanno ispirato le più recenti operazioni riguardanti il sistema bancario del nostro Paese»
• Tra le altre, numerose cariche, ha quella di presidente della Fondazione Cini di
Venezia. Docente di Diritto amministrativo e di Istituzioni di diritto pubblico
alla Cattolica di Milano (ha lasciato l’insegnamento nel 2001). Cavaliere del Lavoro, Ufficiale della Legion d’Onore • Per gli amici “Nanni” • è sposato con Elena Wührer (della famiglia produttrice della celebre birra). Hanno tre figli.
Francesca (1967), avvocato, è sposata con Gregorio Gitti (Brescia 21 giugno 1964.) avvocato, docente all’Università di Milano, tra gli ispiratori del Partito Democratico. [nx]


Frasi Luigi Accattoli, vaticanista del Corriere della Sera, recensendo Mercato e disuguaglianza (Morcelliana 2004): «Lasciato a se stesso, il mercato - osserva Giovanni Bazoli uomo di banca - “aggrava le disuguaglianze” tra i popoli della terra e quello “globale” non si sottrae a tale destino. C’è la possibilità - chiede il Bazoli giurista - che la società regolamenti il mercato in modo da indurlo non solo a creare ricchezza ma anche
uguaglianza? Questa possibilità dev’esserci, risponde il Bazoli cristiano» • «La storia quasi sempre riscontra una grande distanza tra l’utile e il giusto, ma noi uomini abbiamo il dovere di continuare a credere e a
impegnarci perché tale distanza sia colmata, anche quando ci sembra incolmabile» • «Se guardiamo alla prova fornita sotto il profilo etico dagli imprenditori
cattolici italiani negli ultimi decenni, dobbiamo riconoscere che essa è risultata alquanto deludente, così da indurre ad una risposta dubitativa. Invece di riscontrare comportamenti
esemplari, si è dovuta lamentare persino l’inosservanza di quei valori etici “minimi”, che sono radicati nella coscienza comune e che sono codificati nelle leggi. La
diffusione di pratiche illegali nei rapporti tra affari e politica era
accettata dai più come normale o inevitabile, senza suscitare una tempestiva attenzione e una
forte reazione di rigetto da parte del mondo cattolico»
• «Nel tracciare un bilancio della mia vita professionale, penso che l’essermi impegnato a dare una testimonianza, sia pure modesta e imperfetta, di
correttezza nel raggiungere i risultati valga più dei risultati stessi». [ny]


Commenti «Il Bazolismo è un singolare fantasma che, dopo la fusione Intesa-Sanpaolo Imi, si aggira per l’Italia virtuale dei giornali, ma non solo. Secondo questa teoria, il banchiere
Giovanni Bazoli sarebbe riuscito a costruire la prima banca italiana grazie ai
favori del premier (Prodi - ndr), come lui cattolico democratico e allievo di Nino Andreatta. E ora, con l’aiuto delle fondazioni bancarie egemonizzate dal fido Giuseppe Guzzetti, il
campione nazionale si accingerebbe a esercitare la sua influenza su tutta l’alta finanza» (Massimo Mucchetti nel febbraio 2007) • «Il liberal bresciano gli interventi “politici” li auspica anche a dimensione planetaria: considera necessario che “siano rafforzati sia i poteri sia la rappresentatività democratica dei maggiori organismi di governo soprannazionali” se vogliamo che “le situazioni più gravi di disuguaglianza siano rimosse”. Egli ritiene sia compito dell’umanità di oggi, caduta l’utopia comunista, di trovare la via perché gli “obiettivi solidaristici” risultino “compatibili con quelli del mercato”» (Accattoli)
• «Nei cenacoli spirituali Bazoli conta come un’icona teo. Conta pure in altri circoli, per esempio in quello del patto di
sindacato Rcs che controlla via Solferino, dove il presidente di Banca Intesa è stato, almeno finora, proprio deus ex machina» (Denise Pardo) • «Bazoli lo dipingono sempre come un signore che fa parte di un potere organico,
sia esso il centrosinistra o il prodismo. Invece lui è uno dei pochi che non è organico a nessuno, tranne ai suoi valori» (Angelo Rovati) • «Uno che la banda montiniana fatta modello di profitto e virtù l’ha esportata ovunque, soprattutto a Milano, dove tremano nel vederlo sgusciare
tra la folla dei pendolari della seconda classe» (Pietrangelo Buttafuoco).


Politica A De Bortoli ha confermato che, alla vigilia delle Politiche del 2001, il gruppo
dirigente del centrosinistra gli chiese di candidarsi contro Berlusconi. «Ho detto di no perché mi ritenevo impegnato ad assolvere fino in fondo la responsabilità che aveva assunto nella banca». Il cognato Sandro Fontana (ha sposato l’altra sorella Wührer) ha spiegato: «Se glielo chiedesse un vasto schieramento dell’Ulivo e se l’invito avesse il tono di una richiesta di servizio al paese, allora è possibile che accetterebbe. Poi però dovrebbero anche consentirgli di farsi un programma di governo come vuole lui»
• è stato lui, con Andreatta, a spingere Prodi in politica (metà anni Novanta) • «Bazoli è al centro di molti snodi unionisti: relazioni eccellenti con Piero Fassino, con
Carlo De Benedetti, con i quarantenni della Margherita Enrico Letta e Filippo
Andreatta» (Il Foglio). Di Enrico Letta fu lui, nel 2006, a preannunciare la promozione a
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. [nz]


Tifo è tifoso del Brescia: «Tifoso focoso, di quelli che preferiscono la gradinata alla tribuna d’onore perché gli piace discutere con la gente. Anche se col passare degli anni la comodità vuole la sua parte e rende più sopportabile lo sforzo dell’autocontrollo, pedaggio che Bazoli si impone in tribuna» (Enrica Speroni) • «Mi piace vedere il Brescia giocare bene. Sono appassionato, sono tifoso, ma se
non c’è bel gioco vado in altri stadi. Giocare soltanto per il risultato non mi piace. Sono refrattario a una mentalità cinica, al risultato separato dal modo». [Pietro Saccò]