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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

RUTELLI

Francesco Roma 14 giugno 1954. Politico. Vicepresidente del Consiglio e ministro dei Beni
e Attività Culturali nel Prodi II. Ex sindaco di Roma (93-2001) • Diploma di maturità classica. Segretario del partito Radicale dall’81 all’89, nel 90 è stato nominato coordinatore nazionale della Federazione dei Verdi. Eletto
deputato per il Partito radicale nell’83 e nell’87, si è dimesso nel 90 (sostituito da Emma Bonino). Rieletto nel 92 per i Verdi, è stato per un giorno ministro dell’Ambiente nel governo Ciampi (si dimise, con gli altri ministri, per protesta
dopo il voto contrario del Parlamento alla richiesta di autorizzazione a
procedere contro Bettino Craxi). Eletto parlamentare europeo nel 99, è stato candidato alla presidenza del Consiglio per l’Ulivo nelle elezioni politiche del 2001. Sconfitto da Silvio Berlusconi
• «A scuola: bravo ma poco impegnato. Alle elementari Rutelli frequentava la
prestigiosa scuola delle suore di Nevers, all’Eur, a due passi dall’elegante casa di una solida famiglia borghese romana: Marcello, il padre
architetto; Sandra, la madre; due sorelle. Scolaro modello e attore in erba, si
distinse interpretando la parte di Sant’Agostino. La formazione cattolica continua al Massimo, esclusivo liceo dei
gesuiti. Diversi i ricordi del padre, raccolti da Gente nel 93: “Francesco, seguendo la moda dell’epoca, faceva il contestatore. Stava per essere cacciato dal Massimo e lo
iscrissi al liceo statale Socrate”. Era il 71: il suo compagno di banco, in III D, era Vieri Maria Manetti, poi
dirigente Ibm. Che lo descrive così: “Estroverso, simpatico, bravo ma non un secchione, per niente politicizzato”. La divisa dei ragazzi di sinistra imponeva l’eskimo e la borsa di Tolfa. Francesco girava in cachemire. A scuola si faceva
chiamare Checco, nomignolo del quale andava molto fiero. Alla maturità, nel 72, se la cavò bene: prese 54, il voto più alto della classe, portando la materia in più: storia dell’arte. La commissione gli consigliò di iscriversi ad Architettura. Laureato? Sì, anzi no. Rutelli ha sempre raccontato il periodo universitario con frasi a
doppia interpretazione: “Ho iniziato a lavorare con mio padre a metà anni Settanta, prima ancora di laurearmi in Architettura” (Gente, 13 dicembre 93). Nell’autobiografia,
Piazza della libertà (Mondadori), del 96, spiega di essersi fermato alla soglia della laurea, con 22
esami. Di fatto, la pecora nera in una famiglia di architetti illustri: il
bisnonno Mario firmò la fontana delle Naiadi in piazza della Repubblica (più nota come piazza Esedra, a Roma — ndr) e la statua di Anita Garibaldi sul Gianicolo. Il padre Marcello, a due giorni
dall’elezione a sindaco, disse (intervista del 93 a Gente, una settimana dopo quella
del figlio): “Mio figlio diede pochi esami, soprattutto quelli dove si chiacchierava, tipico
di tanti tribuni della politica. Lì era bravissimo... Non svolse gli esami tecnici fondamentali: neppure Analisi
matematica, una delle prime prove. Non ci fu nulla da fare per fargli
continuare gli studi”. Lavoro: part-time nello studio di famiglia. Rutelli in
Piazza della libertà si dipinge come un lavoratore indefesso: prima animatore in un villaggio
turistico, poi pubblicitario, infine molto impegnato nell’ufficio del padre. Che invece si lamentava: “Lo invitavo a collaborare. Lui si presentava ogni tanto, ma dopo pochi minuti se
ne andava”. Francesco, giornalista pubblicista, dividerà per un po’ con lo scrittore Carlo Cassola la direzione dell’Asino, rivista antimilitarista con la stessa testata dello storico giornale di
satira politica. E anche sul servizio militare, che Rutelli evita, le cose
appaiono un po’ oscure. Nel 75, a 21 anni, fa domanda per l’obiezione di coscienza, a 23 scrive al ministro della Difesa di allora, il dc
Attilio Ruffini: “Stai boicottando la legge sull’obiezione, dunque io non farò più il servizio civile e ti annuncio che dovrai sbattermi in un carcere militare”. Lo scrive in
Piazza della libertà. è curioso che basti una lettera al ministro, e con quei toni, per evitare la
naja. Panorama ha chiesto lumi allo Stato maggiore della Difesa. Niente da
fare: “Non abbiamo la pratica e poi c’è la legge sulla privacy. Chiedete alla segreteria di Rutelli”. Nel 73 lo studente di 19 anni varca la soglia di via di Torre Argentina 18,
storica sede del Partito radicale. Marco Pannella gli apre la porta. Una
folgorazione» (Panorama) • Straordinario è l’itinerario politico dell’uomo, che ha attraversato e conosciuto ogni tipo d’esperienza. Figlio di padre conservatore, cominciò tuttavia facendo la contestazione (capelli lunghi ecc.) all’Istituto Massimo (gesuiti). Passò quindi ai radicali. Si spostò successivamente sui Verdi. Badò nel frattempo a tenere ottimi rapporti sia col Psi anticomunista che col Pci
antisocialista: e ci riuscì! Gli fu facile quindi essere il punto di riferimento di tutti quanti alle
elezioni per il sindaco di Roma del 93. Solo che non aveva ancora vissuto l’esperienza cattolica. Eccolo perciò convertirsi: lo si vede andare a Messa, poi risposa la moglie in chiesa e tende
apertamente la mano al Ppi. è impossibile appiccicargli etichette perché ha una parola buona per tutti: «Con il vecchio Pci, burocratico e non di rado settario, ho avuto molti momenti
di scontro, ma i militanti comunisti non li ho mai considerati avversari. Ho
imparato dagli scritti di Ernesto Rossi a riconoscere il valore e la passione
ideale del “popolo della sinistra”». «Ciampi è un uomo che può dare ancora molto all’Italia». «La formazione culturale e umana della nuova leva di dirigenti del Pds è straordinariamente ricca e diversificata». «Il formidabile Papa Giovanni Paolo II». «Non si può avere antipatia per Antonio Di Pietro». «Massimo D’Alema, cui mi unisce un sentimento di autentica stima». Eccetera
• «Fra Marco Pannella e uno dei suoi più brillanti allievi, Rutelli appunto, è da un pezzo che non corre buon sangue. Forse perché così simili, per esempio nella cocciutaggine con cui perseguono una linea,
abbracciano una scelta, applicano una decisione; o nella capacità di muoversi fra i partiti e le loro macerie come un surfista accattivante e
spericolato, senza mai perdere un colpo e gabellando le sconfitte, che pure non
sono mancate, in vittorie. O forse si detestano - politicamente, s’intende - perché si conoscono troppo bene, e da troppo tempo: da quando, nel 75, Francesco,
folgorato dall’incontro con Marco, entra giovanissimo nel Partito radicale. Nell’81 Rutelli è già segretario del partito, naturalmente su proposta e sotto l’egida protettrice di Pannella, che due anni dopo lo fa eleggere capogruppo in
Parlamento e infine, nell’89, lo “manda in missione” fra i Verdi, di cui ben presto, pur a prezzo di una scissione che darà vita ai “Verdi Arcobaleno”, diventa il leader. Il passaggio di Rutelli dal Pr ai Verdi è teorizzato da Pannella, insieme ad altri analoghi passaggi di altri dirigenti,
come strategia del “transpartito”: una sorta di “semina” radicale fra i partiti, per ampliare la sfera di influenza dei radicali o, più semplicemente, per garantirne la sopravvivenza nei momenti difficili. Ma se l’ingresso di Giovanni Negri nel Psdi, per dire, non lascia grande traccia,
proprio dai Verdi nasce l’emancipazione di Rutelli dal “padre” Pannella. Da allora, e poi attraverso il crollo della Prima repubblica e la
successiva nascita del bipolarismo italiano, i due non si sono mai davvero
ritrovati. Nel 91 Occhetto offre a Rutelli la vicesegreteria del nascendo Pds:
lui non accetta ma mantiene buoni rapporti a sinistra, così che proprio il Pds, due anni dopo, lo candiderà come sindaco di Roma. Ed è proprio l’esperienza in Campidoglio, intessuta di rapporti fitti e proficui con il mondo
cattolico e con il Vaticano, a trasformare definitivamente Rutelli - fino alla
scelta di risposarsi in chiesa, rendendo così pubblica una sorta di conversione religiosa»» (Fabrizio Rondolino)
• «Cosa accadrebbe oggi se un gruppetto di deputati, raggiunto di soppiatto il
balcone centrale di Montecitorio, ammainasse il tricolore per issare
polemicamente al suo posto, in cima al pennone, la bandiera bianca e gialla del
Vaticano? Ora. Premesso che ciascuno ha il diritto non solo di dare ascolto
prima di tutto alla sua coscienza, ma anche di poter cambiare le proprie idee
sulle cose della vita senza doverle poi necessariamente rinnegare, ecco: il 15
gennaio dell’86 l’allora presidente del gruppo parlamentare radicale Francesco Rutelli, insieme
con altri cinque deputati del suo partito (Aglietta, Calderisi, Crivellini,
Melega e Teodori), eseguì per l’appunto quel gesto di simbolica e forse perfino giustificata provocazione contro
le leggi (beni ecclesiastici e ora di religione) che attuavano il nuovo
Concordato. Il vessillo della Santa Sede fece a tempo a penzolare per una
decina di minuti. Sulla piazza, nel frattempo, a un comando di Sergio Stanzani,
alcuni sparuti manifestanti tirarono fuori i cartelli. Si leggeva: “La Repubblica cala le braghe”, “Sì allo Stato laico”, “Religione di regime allo stato laido”. Sembra di ricordare che un passante non fosse tanto d’accordo con quelle scritte e con l’ammainabandiera. Ci fu anche - se ne trova traccia sui giornali - un velocissimo
e innocuo alterco con quel cittadino, forse un cattolico. Bene. La vita è cambiata per tutti. C’è un altro papa e da lungo tempo i radicali hanno smesso di movimentare la vita
del Parlamento. Ma nel giorno in cui Francesco Rutelli, come credente e come
leader della Margherita, annuncia di volersi allineare alle disposizioni del
vertice della Cei sul referendum, è arduo non lasciarsi assalire dalla suggestione di quella sua performance. E se
non altro in nome di quell’anonimo passante che non era d’accordo, varrà qui la pena di completare il ricordo. Per cui Rutelli spiegò l’iniziativa del balcone con la stessa risolutezza con la quale più e più volte aveva spiegato l’ostruzionismo in aula contro quelli che i radicali definivano sprezzantemente i
patti “madamensi”, cioè il Concordato. E quindi: “Siamo al cedimento totale delle prerogative e della dignità dello Stato laico, sfogliato come un carciofo”. E poi: “Oggi la tolleranza esige il massimo di rigore e di chiarezza contro un
clericalismo che, estraneo alla coscienza della stragrande maggioranza degli
italiani e degli stessi cattolici, esce trionfante in questo Parlamento”. Va da sé che non si può impiccare una persona e nemmeno un uomo politico - che è e si propone come persona pubblica - a un pezzo del suo passato. Nel caso di
Rutelli, oltretutto, gli anni per così dire “radicali” (79-89 circa) sono comunque ormai molto meno di quelli vissuti al di fuori del
mondo pannelliano. Lui stesso, una volta, ha ricordato di condividere,
risolutamente, un vecchio modo di dire: “Chi non è stato anarchico a vent’anni è un fesso”. Forse anarchico no, ma a quell’età Rutelli era certamente un ribelle. E l’avverbio “certamente” è giustificato, anzi è certificato da un’intervista che preveggenti operatori dell’informazione gli fecero appunto a vent’anni (Raitre l’ha rimessa in onda nel giugno 95). Ma questo non toglie che molte delle cose che
diceva allora a Montecitorio contro un certo furbo “revanscismo” delle gerarchie ecclesiastiche non si adattino perfettamente bene all’odierna situazione. Anche se lui, adesso, sta dall’altra parte. Il problema in effetti sta in quello che si diventa dopo essere
stati anarchici, o ribelli, comunque anti-autoritari, e perciò in qualche misura, necessariamente anticlericali. A 25 anni Rutelli era il
segretario dei radicali del Lazio, fondatore della Lsd (niente paura: si
trattava della Lega Socialista per il Disarmo) e poi della Ldu, organizzazione
sempre disarmista, insieme con lo scrittore Carlo Cassola. A 26 anni - era l’80 - era già precoce e fantasioso segretario nazionale del Partito Radicale. Non c’è nulla, tutto sommato, di cui oggi debba vergognarsi. Di quel tirocinio “massacrante” ha dato conto lui stesso nell’autobiografia
Piazza della libertà: i digiuni (un centinaio di giorni), i tavolini, le marce, i comizi, l’obiezione di coscienza, “le nottate insopportabili di riunioni logorroiche con un barbone estroverso, ‘Tom povero diavolo’, che dormiva nella stanza accanto, avendo fatto l’ultima doccia un paio di mesi prima”, le missioni all’estero, i cani lupo della polizia di frontiera cecoslovacca e anche la galera a
Latina, brevemente, per l’occupazione della centrale nucleare di Borgo Sabotino, minacciata da un poligono
militare. C’era indubbia e salutare autenticità in certe azioni. Con un fantastico blitz, Rutelli riuscì a smontare un cantiere che da anni intasava di automobili la strada sotto casa
del potentissimo Andreotti; e un’altra volta si presentò con certi suoi allegri compagni alla parata militare del 2 giugno con una
scopa-fucile in mano e in testa un elmetto-scolapasta. Parecchi, oggi, anche ai
vertici delle istituzioni, non sarebbero contenti di quel carnevale - e dato l’andazzo, magari ci scapperebbe pure qualche improvvida manganellata. Tra i
primi, è vero, riconobbe che Wojtyla era diverso: “Un papa d’opinione - disse - e non di potere”. Pensava alla campagna sulla fame del mondo. Ma al tempo del referendum sull’aborto fu lui a convocare il 20 settembre un comizio in piazza San Pietro,
addirittura, perché “il papa svolge su tutte le piazze dello Stato italiano la sua campagna ufficiale
contro l’aborto, e quindi chiediamo di poter parlare anche noi in Vaticano”. E nell’88 si schierò per la fecondazione assistita. Poi sì, certo, si sa: è cambiato» (Filippo Ceccarelli)
• A giugno 2006 Mattia Feltri ha raccontato sulla Stampa una sua giornata di
lavoro: «Si alza intorno alle 7 e alle 8 vuole consegnata a casa la rassegna stampa.
Anzi, le rassegne stampa. Ne vuole quattro. Una sulla presidenza del Consiglio,
una sulla Margherita, una sulle attività culturali e una su quelle turistiche. Poi esce di casa, all’Eur, e magari va, com’era in programma ieri, a un convegno di Confitarma, che è la sezione degli armatori di Confindustria. Magari fa un salto al partito per
capire quando convocare il prossimo direttivo. Magari fa un collegamento alla
radio. E poi arriva al ministero dove ha la posta, l’elenco delle telefonate, i fax, gli appuntamenti, le interviste, le riunioni.
Servirebbe piuttosto una flebo. “Macché, è una giornata normale”, dice lui tutto soddisfatto. è vero. Probabilmente è una giornata normale. Infatti i politici sono gente malata. A mezzogiorno
arriva una quarantina di rappresentanti dell’industria cinematografica. Ci sono il presidente dell’Anica e delegati di associazioni minori. Ci sono pure Carlo Vanzina, Massimo
Ghini e Andrea Occhipinti. Rutelli li accoglie in una fantastica sala del
ministero, in via del Collegio Romano. Comincia il confronto, Rutelli dice quel
che deve dire, e cioè che l’industria cinematografica è fichissima, va sostenuta in tutti i modi, morali ed economici, favorita,
incoraggiata, sviluppata. Anche lui si è trovato fra le mani quel mostro che si chiama “Fus”. è il fondo unico dello spettacolo, attraverso il quale il governo finanzia tutto
ciò che rientri nella voce: cinema, musica, teatro, circo, bande di paese. è felice perché ha strappato centocinquanta milioni di euro per il prossimo triennio, cinquanta
in più di quelli previsti dallo scorso governo. E allora sono tutti contenti. Lui
dice: attenzione, ora devo andare al Consiglio dei ministri, spero non ci
facciano scherzetti. E tutti noi, naturalmente, speriamo che quel denaro non
serva per pagare film con titoli tipo
La puerpera di Stalin, diciotto spettatori nelle sale di Sesto Fiorentino. Lui fila a Palazzo Chigi. “Mangerà un panino in piedi”, dice il portavoce. Pare mangi sempre panini in piedi, con una Coca. Se può mangiare alla scrivania, insalata e ananas. L’obiezione è ovvia: pare la descrizione del Duce, con la finestra sempre accesa a Palazzo
Venezia. Non saremo all’apologia? Ma lì al ministero girano certe facce e sopra c’è scritto: “Ma quale apologia, questi politici sono malati”. Vabbè, poi la cultura è una cosa a parte. Prima era un ministero di serie B. Si chiamava ministero per
i Beni culturali e ambientali. Ci si immaginavano i titolari - i Dario
Antoniozzi o gli Oddo Biasini - alle prese con cataloghi di incunaboli o con
anfore del II secolo a.C. Ora c’è chi ci ha costruito una carriera fatta di notti bianche, concerti di Simon e
Garfunkel, feste di compleanno per attori della commedia all’italiana. Insomma, una cosa molto à la page, uno straordinario catalizzatore di simpatie (e voti). Rutelli respinge
l’accusa: “Penso che il consenso lo si raccolga o lo si disperda sui temi economici. Per
quanto mi riguarda, questo ministero l’ho fortemente voluto perché è per i beni culturali che io sono a Roma”. è la storia di famiglia. Il trisavolo costruì il Teatro Massimo a Palermo. Suo figlio, bisnonno di Francesco, si distinse
nell’arte della scultura e fu chiamato a Roma, dove realizzò la fontana delle Najadi a piazza Esedra e la statua di Anita Garibaldi al
Gianicolo. Si chiamava Mario, e una sua vittoria alata orna il Vittoriano. Poi
c’è il nonno materno, che sposò la figlia dell’Ispettore delle Belle arti, Ottavio Marini. Lui, Francesco, colleziona libri su
Roma: guide, almanacchi, cronistorie. E poi foto, stampe. Diciamo che aveva il
bernoccolo. Torna al ministero poco dopo le 15. Ora ha l’incontro con i sovrintendenti delle fondazioni liriche. Se quelli del cinema ce
l’avevano con la pirateria che minaccia la loro arte somma, quelli della lirica ce
l’hanno con la tv che ignora la loro arte somma. Ma non c’è speranza di strappare una cattiveria a Rutelli. Nemmeno sul fatto che tutti
battono cassa: “Eh, ma hanno le loro ragioni...”. Preferisce parlare delle cose che ha fatto e di quelle che farà. Il recupero delle opere d’arte trafugate, la riapertura della Domus Aurea, i musei gratis per gli
handicappati, la riduzione dell’Ici per le dimore storiche, una fortissima collaborazione fra il mondo del
turismo e quello della cultura. E mille, mille altre, un po’ come Silvio Berlusconi quando elencava per delle mezze ore da Bruno Vespa.
Fortuna che non c’è tempo. Incombe la riunione con gli autori del cinema, poi la serata per il
premio Strega. E oggi sarà a Torino per l’inaugurazione della restaurata Villa della Regina. La malattia è incurabile, la gloria sicura»
• è sposato con Barbara Palombelli • Tifa per la Lazio • Superstizioso: ha fatto togliere dal suo ufficio di palazzo Chigi due quadri del
Settecento che rappresentavano due naufragi.