Il Catalogo dei viventi 2009, 6 luglio 2011
BENVENUTI
Nino (Giovanni) Isola d’Istria (Slovenia) 26 aprile 1938. Ex pugile. Fu medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma (1960), campione del mondo dei medi juniores (1965),
campione del mondo dei pesi medi (nel 1967 e poi dal 1968 al 1970). Nel 2008 ha
commentato per la Rai le imprese della boxe azzurra alle Olimpiadi di Pechino. «Il pugile è un bambino forte che pensa di avere il mondo sempre in pugno» • «è stato l’uomo dei sogni e chi l’ha visto all’opera proprio non se lo può dimenticare. Bello, elegante, luminoso, etereo, charmant dentro e fuori dal
ring, dava l’impressione di danzare sull’aria, un dio caduto sulla terra, perfetto per affascinare e per dare la scossa
al cuore del pubblico tra pugni, emozioni, flirt, copertine delle riviste
glamour, vittorie fantastiche e sconfitte micidiali. Nessuno è stato amato quanto lui» (Marco De Martino)
• «Sapeva picchiare. Il jab sinistro era il baricentro della sua boxe, ma il gancio
sinistro e il montante destro erano le armi con cui poteva risolvere un
incontro con un colpo solo, una qualità rara» (Rino Tommasi) • «Il titolo nazionale dei medi è il primo traguardo, mentre l’Italia dei pugni si spacca in due per una rivalità tra Nino e Sandro Mazzinghi che ricorda quella innescata nel ciclismo da Gino
Bartali e Fausto Coppi. Si dice che Benvenuti piaccia agli spettatori dal
palato raffinato, quelli che privilegiano stile, tecnica ed eleganza, mentre
Mazzinghi è uno spericolato guerriero che entusiasma soprattutto chi ama le emozioni forti.
Inevitabile che si arrivi a una sfida, programmata il 18 giugno 1965 a San
Siro, dove Nino confeziona un capolavoro. Il suo colpo prediletto è il gancio sinistro, ma sul ring milanese è un montante destro, lungamente preparato in allenamento, a stendere al sesto
round Mazzinghi, che al rivale consegna il titolo mondiale dei medi junior.
Sconfitto faticosamente Mazzinghi nella rivincita romana di sei mesi dopo,
Benvenuti conquista anche il titolo europeo dei medi. Una marcia che sembra
inarrestabile si blocca però nel 1966 a Seul, dove il sudcoreano Ki Soo Kim gli infligge il primo insuccesso
da “prof”, complice anche una misteriosa rottura delle corde sul ring. Stanno intanto per
arrivare le tre indimenticabili notti di New York, che tengono svegli milioni
di italiani, incollati prima alla radio e poi alla tv. Sono le notti in cui
Benvenuti affronta per tre volte Emile Griffith, chiudendo il trittico con due
vittorie e una sconfitta e riportando definitivamente in Italia il titolo
mondiale dei medi» (Mario Gherarducci).
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«Il 17 aprile del 1967 uomini e donne che non avevano mai lasciato l’ombra delle proprie case a Little Italy s’avviarono al Madison per assistere al suo trionfo. C’era una New York di paisà imbandierati attorno al quadrato. Quando fu proclamato campione del mondo, al
centro del ring, assieme ai tricolori, sventolavano i fiaschi di Chianti. Era
un uomo felice. Continuò ad esserlo sino al momento in cui Monzon, una belva camuffata da picchiatore
periferico, non rivelò con un’esplosione di fuoco la sua vera natura. La notte del 7 novembre del 1970 Carlos
Monzon gli sparò in faccia un colpo che sembrava il gemello d’una mazzata da baseball. Dall’esplosione alla discesa definitiva del sipario, trascorse poco tempo. Non si è fatto depennare dalla boxe. Lo guardi, lo ascolti e ti vengono i dubbi. Ma
davvero ha abitato lo stesso mestiere di quelli che, appena sentono il din don
d’una campana, si mettono in guardia e puntano terrorizzati un inesistente nemico?
Proprio lo stesso mestiere. Ma lui era strepitosamente bravo, un virtuoso della
propria conservazione, e il grande traguardo, il titolo di campione del mondo,
l’aveva raggiunto, era stampato non nei sogni, ma nella realtà. Aveva conservato la spavalderia per affrontare il secondo atto, quello della
quotidianità in abiti borghesi, strizzando l’occhio al suo sinistro e mimando il gancio contro le avversità» (Gianni Ranieri)
• Ultimo match a Montecarlo l’8 maggio 1971: «Nel famoso combattimento contro Monzon, dopo tre riprese di un incontro ancora
tutto da vivere, vidi volare sul ring quell’asciugamano che avrebbe decretato una resa definitiva, irreversibile. Non servì che dopo tre secondi avessi calciato il telo in platea. Quella volta, nemmeno
le disperate proteste poterono nulla contro il destino che stava scrivendo l’ultimo capitolo della mia vita di pugile. Forse, ma lo capii più tardi, era giusto che si chiudesse così, nella maniera in cui ho sempre desiderato che finisse. Mai avrei accettato di
abbandonare il ring da campione. Mi sarebbe sembrato di evitare l’ultimo sfidante per paura di perdere. Fu così che quella notte, a Montecarlo, finì la mia carriera di pugile. Se avessi rifiutato di incontrare Monzon, la prima
volta a Roma e poi a Montecarlo, avrei potuto continuare ancora. Sì, certo, ma per quanto tempo e con quale spirito, sapendo di aver evitato il
migliore?».
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