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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

BARILLI

Renato Bologna 18 agosto 1935. Critico letterario, critico d’arte. Ordinario al DAMS di Bologna. Studi su Giovanni Pascoli, Luigi Pirandello,
Italo Svevo, Gabriele D’Annunzio. Ha preso parte alla neoavanguardia degli anni Sessanta, culminata nel
Gruppo 63. Come critico d’arte ha storicizzato le esperienze d’avanguardia, dalla pop art alla body art • «Verso il ‘68 la ricerca letteraria è entrata in crisi, il Gruppo 63 si è sciolto. Il fatto è che la letteratura è rimasta abbarbicata all’aspetto gutenberghiano del libro, senza aprirsi all’impatto delle nuove tecnologie di specie elettronica, come invece è avvenuto nel campo delle arti visive, che hanno vissuto l’inebriante capitolo delle nuove tendenze nel segno del comportamento, della
performance, dell’installazione, del concetto. Perciò mi sono sentito attratto dall’arte, che poi a ben vedere stava vivendo la crisi nota anche come “morte dell’arte”, ovvero sfiducia nei mezzi pittorici tradizionali e attenzione ai mezzi
cosiddetti extra-artistici, come la foto, il video, il corpo, gli oggetti tali
e quali. Per la letteratura, qualcosa di simile poteva essere dato dalle
ricerche di poesia sonora, o visiva, o simbiotica, ovvero dal capitolo detto
anche della “nuova scrittura”, comunque lungo tutti gli anni Settanta il territorio letterario sembrò condannato a una certa stasi, o addirittura a un carattere regressivo e
reazionario. è vero che anche in arte, dopo la fase avanzatissima delle tendenze attorno al 68
ci fu una fase di riflusso, da me preconizzata quando nel 74 organizzai una
mostra presso lo Studio Marconi di Milano intitolata
Ripetizione differente, col che si apriva l’avventura della “citazione”, del “ritorno a”, del recupero del museo e fenomeni simili. Sono d’accordo su quelle che Dorfles ha chiamato le “oscillazioni del gusto”. Si pensi alle coppie chiuso-aperto, formale-informale ecc. Oggi quella più di attualità è la coppia data da materiale-immateriale, dove però non è detto che il secondo termine vinca senz’altro sul primo. Non credo che si proceda inevitabilmente verso indici di
smaterializzazione sempre più spinta, con ruolo via via accresiuto di internet, computer art e simili. Da un
momento all’altro potrebbe scatenarsi una reazione di segno opposto e l’arte potrebbe desiderare di rituffarsi in una materalità ostentata. Nessuno può fissare limiti all’arte, la quale si può fare con qualsivoglia mezzo, anzi, è bene sperimentare ogni nuovo medium proposto dalla tecnologia. Sono stato tra i
primi ad occuparmi di videoarte, forse il primo in assoluto, nel 70, ad andare
a trovare gli artisti nei loro studi o a portarli en plein air, con una esigua
squadra di tecnici imprestatimi dalla Philips, per riprendere direttamente su
nastro, con telecamere amatoriali, le loro operazioni. Già nel 1986 ho tenuto, alla Besana di Milano, una mostra intitolata
Arte e computer, questo a riprova che non arretro di fronte ad alcun passo innovativo. Però non credo neppure che ciascuno di questi passi sia irreversibile e costituisca
un punto di non-ritorno. Ora, per esempio, l’eccesso di videoarte che ci circonda francamente mi annoia, semmai mi piacciono
quelli che ci danno delle specie di cartoni animati; e anche l’invasione dei siti internet mi lascia perplesso e poco appagato» (a Paolo Giuliani, gennaio 2008). [Lauretta Colonnelli]