Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
FERRAROTTI
Franco Palazzolo Vercellese (Vercelli) 7 aprile 1926. Sociologo • «Un intellettuale di alto livello. Non è più tanto in auge; quelli che seguono le mode, compresi diversi sociologi, lo
considerano un vecchio attrezzo di una stagione passata e prescientifica. Non
possiamo dimenticare che chi ha portato la sociologia in Italia, facendola
uscire dalle facoltà di Medicina (Lombroso e altri) è stato Ferrarotti. Persona certo non favorevole all’econometria e alle classificazioni sociologiche, ma niente affatto personaggio
del passato. Dire che cosa è stata ed è la sociologia per Ferrarotti, non è facile» (Valentino Parlato)
• «Torino, Ivrea, Roma. Sono alcuni luoghi, “fisici e mentali”, della biografia intellettuale di Franco Ferrarotti, professore emerito di
Sociologia nell’Università La Sapienza, Premio per la Sociologia 2001 dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Ferrarotti li rivisita, con estrema lucidità, e legittima soddisfazione, nel libro La società e l’utopia, dove esprime giudizi anche caustici. A Torino, ferita dai bombardamenti e
dalla fame, Ferrarotti arriva, molto giovane, “povero di soldi, ricco di energia”, nel 1943, dopo aver tagliato i ponti con la famiglia. L’obiettivo è conquistarla. Studia 10 ore al giorno. Conosce la città “camminando da pensione a pensione, da alloggio a alloggio”. Si dà molto da fare per tradurre, il suo modo per sopravvivere. Si imbatte in alcuni “amici straordinari”, per puro caso e persino per errore: Felice Balbo; Cesare Pavese, che gli dà da fare delle traduzioni, attorno alle quali si costruisce il loro rapporto e
con il quale si intende “a occhiate”; Nicola Abbagnano, dalla cui collaborazione nascono
I Quaderni di Sociologia (il primo numero esce nell’estate del 1951). “Abbagnano riconobbe nella sociologia lo strumento che gli dava la possibilità di uscire dalla filosofia tradizionale e di dare alla sua coscienza
problematica un fondamento scientifico”. Sono anni meravigliosi. E deve ringraziarli: gli fanno capire che “la ricerca sociale, empirica, di fatto consentiva, per prima cosa, la
partecipazione dell’umano all’umano... E poi significava anche lotta contro l’ufficialità”. Che è il pane per uno studente universitario che si considera un “anarco-sindacalista”, interessato alla sociologia critica americana. A dispetto di Benedetto Croce
che aveva stroncato sul Corriere della Sera la sua traduzione del saggio di
Thorstein Veblen
La teoria della classe agiata. Ivrea suggella l’incontro, politico, ideologico, spirituale e ideale, con Adriano Olivetti, e i
primi collaboratori delle Edizioni di Comunità, sulla strada dell’utopia. “L’utopia era industrializzare senza rovinare l’ambiente. Anticipavamo di 50 anni le chiassose polemiche odierne contro il G8.
Eravamo l’avanguardia, misconosciuta, del ‘popolo di Seattle’”. L’ingegnere è “la possibilità di avere una sintesi della ricerca sociale, sociologica, e dell’impeto trasformatore e riformatore che era in fondo ciò che volevo”. A Ivrea non esisteva la parola licenziamento; c’era un grande rispetto per l’ambiente in cui la fabbrica era nata e si sarebbe sviluppata. Ed è “nel Canavese”, punto di partenza, che “avevamo la possibilità di praticare le nostre idee”, di affiancare l’attività pratica allo studio teorico. “La comunità canavesana cresceva senza perdere la sua anima contadina. Questo è il punto: senza perdere la sua stabilità fondamentale”. Ma l’esperimento comunitario si infrange, agli inizi degli anni Sessanta, per l’odio dei partiti politici e delle strutture esistenti. A Roma, dove arriva quasi
per caso nel 53, si dipana il terzo scenario della inarrestabile volontà di ricerca di Franco Ferrarotti, alimentata dalle borgate, dai grattacieli
proletari e sottoproletari, naturalmente dall’università e dall’insegnamento» (Luigi Vaccari).